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Ambiente, nell’atmosfera il pericoloso gas che viene dalla Cina

[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Matt Rigby, Luke Western e Steve Montzka pubblicato su The Conversation]

Da quando è stato ratificato a livello universale negli anni Ottanta, il Protocollo di Montreal – il Trattato incaricato di proteggere lo strato di ozono – è riuscito con successo a portare a forti riduzioni delle emissioni dei dannosi clorofuorocarburi. Lungo il percorso, ha anche evitato una quantità considerevole di riscaldamento globale, dal momento che quelle stesse sostanze sono anche potenti gas ad effetto serra. Non c’è da stupirsi quindi che il processo per la protezione dello strato di ozono sia spesso considerato un modello su come la comunità internazionale potrebbe collaborare per affrontare il cambiamento climatico.

Tuttavia, una nuova ricerca che abbiamo pubblicato con i colleghi di Nature indica che le concentrazioni globali del secondo clorofuorocarburo più abbondante, il CFC-11, dal 2013 sono aumentate a livello globale, principalmente a causa dell’incremento di emissioni provenienti dalla Cina orientale. I nostri risultati suggeriscono quindi una violazione del Protocollo di Montreal.

Dal 2010 è in vigore un divieto globale di produzione di CFC, a causa del loro ruolo centrale nella riduzione dello strato di ozono stratosferico, fondamentale per proteggerci dalle radiazioni ultraviolette del sole. Dal momento in cui le restrizioni globali sulla produzione e l’uso di CFC sono entrate in vigore, gli scienziati hanno osservato di anno in anno una decrescita costante, o accelerata, della loro concentrazione.

Gas che riducono lo strato di ozono misurati nella bassa atmosfera. I declini registrati fin dai primi anni ’90 sono dovuti ai controlli sulla produzione introdotti dal Protocollo di Montreal. AGAGE / CSIRO

Tuttavia, in contrasto con questa tendenza a lungo termine, nel 2013 è emerso uno strano segnale: il tasso di declino del CFC-11 stava rallentando. Prima che fosse vietato, era utilizzato principalmente per produrre schiume isolanti. Ciò significa che eventuali emissioni residue dovrebbero essere collegate a perdite provenienti dalle “banche” di vecchie schiume negli edifici e nei frigoriferi, fenomeno che dovrebbe gradualmente diminuire con il tempo.

Nello studio pubblicato l’anno scorso, però, le misurazioni delle stazioni remote di monitoraggio hanno suggerito che qualcuno stava producendo e utilizzando di nuovo il CFC-11, portando ogni anno a migliaia di tonnellate di nuove emissioni riversate nell’atmosfera. I suggerimenti dei dati disponibili all’epoca suggerivano che l’Asia orientale fosse in parte responsabile dell’aumento a livello globale, ma non era chiaro da dove provenissero esattamente queste emissioni.

“Pennacchi di fumo” in aumento su Corea e Giappone

Gli scienziati (inclusi noi) hanno immediatamente iniziato a cercare indizi tramite altre misurazioni in tutto il mondo. La maggior parte delle stazioni di monitoraggio, principalmente in Nord America ed Europa, confermavano, come previsto, un declino progressivo di emissioni nelle vicine regioni circostanti.

Ma in due stazioni qualcosa non andava: una sull’isola di Jeju, Corea del Sud e l’altra sull’isola di Hateruma, in Giappone.

Questi siti mostravano “picchi” di concentrazione quando passavano pennacchi di CFC-11 da regioni industrializzate vicine, e questi picchi erano diventati sempre più consistenti dal 2013. L’implicazione era chiara: da qualche parte nelle vicinanze le emissioni erano aumentate.

Per restringere ulteriormente il campo, abbiamo sfruttato modelli computerizzati che potevano utilizzare i dati meteorologici per simulare il modo in cui i pennacchi di inquinamento attraversano l’atmosfera.

Osservazioni atmosferiche alle stazioni di monitoraggio di Gosan e Hateruma hanno mostrato un aumento di emissioni di CFC-11, specialmente da Shandong, Hebei e le province circostanti. Rigby et al., immagine fornita da uno degli autori dell’articolo

Dalle simulazioni e dalle concentrazioni misurate di CFC-11 è emerso che si era verificato un cambiamento importante nella Cina orientale. Le emissioni tra il 2014 e il 2017 sono state di circa 7.000 tonnellate l’anno in più rispetto al periodo tra il 2008 e il 2012. Ciò significa più del raddoppio di emissioni dalla regione e rappresenta almeno dal 40% al 60% dell’aumento globale. In termini di impatto sul clima, le nuove emissioni sono più o meno equivalenti alle emissioni annuali di CO₂ di Londra.

La spiegazione più plausibile di tale aumento è che il CFC-11 fosse ancora prodotto, anche dopo il divieto globale, e le indagini sul campo da parte dell’Environmental Investigation Agency e del New York Times sembravano confermare la produzione e l’uso continui di CFC -11 anche nel 2018, anche se non erano in grado di determinare quanto fosse significativo.

Sebbene non sia noto esattamente perché la produzione e l’uso di CFC-11 siano apparentemente ricominciati in Cina dopo il divieto del 2010, queste indagini hanno sottolineato che alcuni produttori di schiuma non erano disposti a passare all’uso di sostituti di seconda generazione (HFC e altri gas, che non sono dannosi per lo strato di ozono) dato che la fornitura dei sostituti di prima generazione (HCFC) è stata limitata per la prima volta nel 2013.

Più grande del buco dell’ozono

Le autorità cinesi hanno dichiarato chereprimeranno” qualsiasi produzione illegale. Speriamo che i nuovi dati del nostro studio possano essere d’aiuto. In definitiva, se la Cina eliminasse con successo le nuove fonti di emissioni, l’impatto negativo a lungo termine sullo strato di ozono e sul clima potrebbe essere modesto e si eviterebbe una quantità di emissioni equivalenti a quelle di CO₂ di una mega-città. Ma se le emissioni dovessero continuare al ritmo attuale, potrebbero annullare parte del successo del Protocollo di Montreal.

La rete di stazioni di monitoraggio a livello globale (AGAGE) e dirette dagli Stati Uniti (NOAA). Luke Western. Immagine fornita dall’autore

Se da un lato questa storia dimostra il valore critico delle reti di monitoraggio dell’atmosfera, dall’altra evidenzia anche una debolezza del sistema attuale. Dato che gli inquinanti si disperdono rapidamente nell’atmosfera, e visto il numero di stazioni di misurazione, siamo stati in grado di ottenere informazioni dettagliate solo sulle emissioni di determinate parti del mondo.

Pertanto, se le principali fonti di CFC-11 fossero state alcune centinaia di chilometri più a ovest o a sud in Cina, o in parti del mondo non monitorate, come l’India, la Russia, il Sudamerica o la maggior parte dell’Africa, l’enigma sarebbe rimasto irrisolto. In effetti, ci sono ancora parti del recente aumento delle emissioni globali che non riusciamo ad attribuire a nessuna regione specifica.

Quando ai Governi e ai responsabili politici verranno forniti anche questi dati atmosferici, saranno in una posizione assai migliore per prendere in considerazione misure efficaci. Al contrario, senza questi dati, il lavoro investigativo rimarrà gravemente ostacolato.

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