Il lungo e difficoltoso cammino verso la giustizia per il popolo nigeriano degli Ogoni ha raggiunto una tappa importante lo scorso 1 maggio. Il Tribunale distrettuale dell’Aja, infatti, ha annunciato di poter accogliere il ricorso delle vedove Ogoni contro la multinazionale Shell. Inoltre, non ci saranno limiti temporali per il processo e la compagnia petrolifera dovrà consentire la consultazione di documenti interni agli avvocati delle ricorrenti, che potranno anche chiamare testimoni significativi.
Il processo si riferisce ad una vicenda culminata nel 1995 con l’impiccagione di nove nigeriani della popolazione Ogoni, nel Delta del Niger. Senza avere prove sufficienti durante un processo farsa in un tribunale militare governativo, questi uomini furono giudicati colpevoli di assassinio di quattro anziani Ogoni contrari alle idee del Mosop.
Il Mosop – Movement for the Survival of the Ogoni People (Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni) – e la sua missione sono elementi chiave per comprendere origini e conseguenze di questa storia nigeriana. Nato nel 1990 per dare voce alle rivendicazioni del gruppo degli Ogoni, abitanti di una porzione del grande delta del Niger, ricco di risorse petrolifere, il movimento iniziò una battaglia sfociata in pochi anni in tragedia umanitaria.
Il fondatore Ken Saro Wiwa diventò portavoce carismatico di richieste ben precise scritte nella Carta dei diritti degli Ogoni. Tra queste spiccavano: l’autonomia politica nella terra Ogoniland; l’equa distribuzione dei proventi del petrolio estratto; interventi mirati a riportare giustizia per una popolazione devastata dalle trivellazioni e ridotta alla povertà a vantaggio dei pochi; una politica di compensazione che fosse rapportata agli ingenti danni ecologici che avevano distrutto l’intera area abitata da queste popolazioni.
Si preannunciava, quindi, una lotta tra giganti economici del settore petrolifero appoggiati dal Governo militare al potere e piccole parti di popolazione – per lo più formata da contadini e da pescatori – frustrate e costrette a subire saccheggi e privazioni.
Il Mosop si rivolgeva principalmente al Governo e alla compagnia petrolifera Shell, attiva sul territorio da decenni. La multinazionale del petrolio olandese iniziò lo sfruttamento della generosa terra nigeriana già nel 1956, quando lo Stato africano era ancora colonizzato dagli inglesi. Da quel momento in poi, il giro di affari e l’intensità delle estrazioni nel delta del Niger aumentarono a dismisura. Nel territorio noto come Ogoniland, negli anni Novanta Shell gestiva 96 pozzi dislocati in cinque giacimenti petroliferi. La sua produzione ammontava a circa 28.000 barili al giorno, il 3% del totale.
Proprio nel 1993, anno cruciale della lotta del Mosop e della sua repressione, Shell stava concordando con i governanti nigeriani e alcuni creditori internazionali un piano di espansione da 4 miliardi di dollari, il Liquefied Natural Gas project. A cinque giorni dall’esecuzione dei nove cittadini Ogoni, l’annuncio ufficiale della compagnia fu di proseguire il progetto di ampliamento.
L’ostinata attività petrolifera nei primi anni Novanta fu accompagnata dalla determinata protesta del Mosop. Le prime richieste dirette alla Shell per risarcimento dei danni dello sversamento e per i mancati vantaggi economici per la popolazione locale arrivarono nel 1992 sotto forma di ultimatum. Il 4 gennaio 1993 una manifestazione di 300.000 Ogoni intimò alla Shell di abbandonare la propria terra in quello che sarà ricordato come “Ogoni day”. La compagnia interromperà le operazioni solo per un breve periodo.
In uno Stato fortemente instabile come era la Nigeria in quegli anni, la repressione del dissenso e delle pacifiche dimostrazioni del Mosop divenne sempre più violenta. Quando nel novembre del 1993 il generale Abacha prese il potere con un colpo di stato, il Paese assunse una organizzazione militare e il controllo dell’Ogoniland si fece sempre più violento e spietato. Uccisione di pacifici manifestanti, devastazioni di villaggi e case, violenze su donne e minori, esplosioni nelle abitazioni, arresti ingiustificati, torture nelle prigioni si moltiplicarono e divennero azioni ufficiali del governo nigeriano contro le rivendicazioni del Mosop.
La storia degli Ogoni diventò, quindi, una storia di gravi violazioni dei diritti umani. La “vicenda dei nove Ogoni” – come viene chiamata l’impiccagione di Ken Saro Wiwa e di altri otto sostenitori del Mosop – ebbe risonanza in tutto il mondo. Lo sconcerto e l’orrore suscitati a livello internazionale da tanta violenza non si tradusse, però, in giustizia per le persone coinvolte in tanta sofferenza. Per questo Esther Kiobel, Victoria Bera, Blessing Eawo e Charity Levula, quattro donne rimaste vedove dopo l’esecuzione del 1995, hanno intrapreso e stanno continuando una battaglia legale per provare la colpevolezza della stessa Shell, complice e sostenitrice delle atrocità governative contro il Mosop.
La pronuncia del Tribunale distrettuale dell’Aja di pochi giorni fa, quindi, suona come una nota “storica” in questa complessa vicenda che vede coinvolta una compagnia petrolifera economicamente potente, chiamata ad assumere un atteggiamento responsabile in nome della verità, della giustizia, del rispetto dei diritti.
L’obiettivo delle quattro donne è proprio di ottenere risposte veritiere dalla Shell sul comportamento assunto in quegli anni cruciali della lotta del Mosop. Esistono prove, infatti, della complicità della potente multinazionale con la politica del Governo militare. Complicità che molto spesso si è tradotta in richieste, sempre soddisfatte, di avere protezione e di arginare in ogni modo le proteste ritenute dannose per la produzione petrolifera in Ogoniland.
Già nel 1990 la Shell chiese e ottenne l’intervento armato per sedare le proteste pacifiche nello stabilimento a Umuechem. La polizia non esitò a saccheggiare i villaggi e ad uccidere 80 manifestanti, i cui corpi furono gettati nel fiume. Nel 1993, subito dopo la grande protesta dell’Ogoni day, la Shell chiamò il Governo nigeriano affinché schierasse l’esercito per proteggere l’attività di un oleodotto nuovo che doveva essere posizionato nel territorio dell’Ogoniland. L’interventò provocò l’attacco al villaggio Biara e l’uccisione di 11 persone.
Non pochi, inoltre, furono gli incontri tra gli alti dirigenti Shell e i funzionari governativi proprio in quegli anni così caldi per le proteste e così importanti per gli affari petroliferi. Ci sarebbero stati anche supporti finanziari alle forze di sicurezza governative da parte della Shell, come testimonierebbe un documento aziendale del 1994 nel quale risulta un pagamento all’unità speciale nigeriana incaricata di ripristinare l’ordine in Ogoniland.
Lo stretto legame di quel periodo tra la dirigenza della compagnia, incontrastata dominatrice delle estrazioni in Nigeria e il Governo, che fiutava arricchimenti ingenti da questo sodalizio economico è innegabile. L’accusa delle donne fa leva proprio su tale stretto rapporto per dichiarare che Shell è parte in causa, responsabile quanto i funzionari governativi delle stragi. Le gravi violazioni dei diritti umani di quegli anni, infatti, erano inevitabilmente note alla multinazionale.
Inoltre, la compagnia negò insistentemente la presenza di un problema ambientale in Ogoniland. Il pagamento di 15,5 milioni di dollari da parte del colosso petrolifero nel 2009, a seguito dell’azione legale dei parenti di Ken Saro Wiwa, non ha di fatto portato giustizia. Piuttosto, ha confermato una responsabilità di Shell.
La dichiarazione del Tribunale dell’Aja accende una speranza, sebbene fioca, per un popolo ancora in cerca di giustizia. Gli stessi piani di bonifica imposti al Governo nigeriano nel territorio degli Ogoni procedono a rilento. L’inquinamento di falde acquifere e dell’aria di questa porzione di terra nel Delta del Niger è stata comprovata dalle analisi dell’UNEP, che da anni monitora questo Stato della Nigeria, dove le attività petrolifere hanno compromesso la salute pubblica.
Il processo delle donne Ogoni contro la Shell assume, dunque, significati ampi. Esso parla soprattutto della responsabilità dei potenti attori economici, che non possono – o non dovrebbero – restare impuniti in nome del profitto.