[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Philippa Williams e Lipika Kamra pubblicato su The Conversation]
Già da tempo le prossime elezioni nazionali in India (programmate tra aprile e maggio) sono state presentate come le cosiddette “Elezioni WhatsApp”. In un contesto in cui si respira un rapido miglioramento della connettività Internet e un aumento dell’uso dello smartphone, il numero di individui che utilizzano WhatsApp (dal lancio di questo servizio di messaggistica a metà del 2010) è salito vertiginosamente fino ad arrivare a oltre 200 milioni di utenti, la cifra più alta che sia stata mai registrata in qualsiasi altro Paese democratico. E ora i partiti politici locali si stanno muovendo al fine di sfruttare al meglio questo mezzo di comunicazione di massa.
Tuttavia, visto che WhatsApp era già stato utilizzato in altre elezioni con l’obiettivo di disinformare gli elettori e diffondere fake news dannose, causa di gravi violenze in India, c’è il pericolo che ora questo strumento possa rappresentare anche una minaccia al processo democratico.
Il partito nazionalista al Governo, il Bharatiya Janata Party (BJP, il “Partito del Popolo Indiano”), desideroso di estendere il potere dei social network mobilitati durante le elezioni del 2014, sta cercando di raggiungere più elettori possibili in possesso di uno smartphone. Più di 900.000 volontari [i cosiddetti Panna Pramukh, attivisti via smartphone incaricati di coinvolgere un determinato numero di elettori – NdT] stanno creando dei gruppi WhatsApp di quartiere volti a divulgare informazioni riguardanti i risultati ottenuti dal BJP e le attività di campagna elettorale del Primo ministro Narendra Modi. Nel frattempo, il partito dell’opposizione, il Congresso Nazionale Indiano, sta cercando di recuperare terreno con il lancio della sua nuova applicazione “Digital Sathi” e la nomina di volontari per il coordinamento delle campagne digitali locali.
La diffusa popolarità di WhatsApp nel Paese è già una buona ragione per credere come questa possa influenzare negativamente le elezioni. Prima di tutto, le elezioni brasiliane del 2018 e le recenti elezioni a livello statale in India sono solo due esempi che ci mostrano come WhatsApp sia utilizzato, a fini politici, per condividere velocemente messaggi volti a disinformare gli elettori.
Inoltre l’India presenta specifiche condizioni legate all’utilizzo di questo servizio. Sebbene, infatti, i partiti di tutto lo spettro politico indiano – così come a livello globale – cerchino sempre di trarre vantaggio dalle fake news manipolando l’opinione pubblica, la destra indù ha ottenuto molto più successo nel processo di mobilitazione di un’identità socio-politica comune attraverso WhatsApp. In particolare, i gruppi (solo su invito) hanno diffuso messaggi virulenti e velenosi che hanno giocato un ruolo nella costruzione di una forte identità nazionalista.
Il recente conflitto con il Pakistan riguardo il Kashmir, che avrà probabilmente un ruolo influente nelle elezioni, ha portato non solo alla diffusione di contenuti virali che hanno alimentato la tensione pubblica ma anche a un’ondata di disinformazione.
In alcuni casi, quando le forme più pericolose di disinformazione sono diventate virali, l’impatto sulla vita sociale in India è stato letale. L’uso improprio di WhatsApp è stato ricondotto ad almeno 30 casi di omicidio e linciaggio, alcuni a seguito di voci su rapimenti dei bambini.
WhatsApp stessa, preoccupata per l’involontario lato negativo del prodotto, specialmente all’interno di uno dei loro più grandi mercati, ha deciso di lanciare una campagna di educazione pubblica nel Paese per convincere gli utenti a “diffondere gioia, non dicerie”. Ha inoltre apportato semplici modifiche al design del prodotto per incoraggiare gli utenti a fermarsi un attimo prima di inviare messaggi; hanno limitato il numero di persone a cui si può inviare un messaggio contemporaneamente e il numero di volte che si può inoltrare. Da allora tale aggiornamento è stato introdotto a livello globale. Solo negli ultimi tre mesi, WhatsApp ha bloccato oltre 6 milioni di account apparentemente automatizzati e potenzialmente pericolosi.
Queste misure sono un punto di partenza ma non bastano. Innanzitutto, nonostante i limiti d’invio, si possono ancora mandare messaggi a 256 persone contemporaneamente e inoltrarli fino a cinque volte, il che significa condividere qualcosa con 1.280 individui in pochi secondi.
Inoltre, ricerche mostrano che un altro ostacolo è rappresentato dal fatto che le persone si preoccupano meno della validità della fonte del messaggio e del suo contenuto, e più del mittente e del suo potenziale di intrattenere o rafforzare un senso d’identità. Quindi, gli sforzi giornalistici per verificare i contenuti circolanti su WhatsApp forse avranno solo un effetto limitato sull’alfabetizzazione mediatica e sull’impatto negativo delle fake news.
Accuse reciproche
Una parte del problema riguarda la questione controversa e politicamente accesa su chi sia responsabile della diffusione di disinformazioni. I politici hanno incolpato WhatsApp invitandoli a rintracciare e fermare la fonte di messaggi ostili. La società dal canto suo è risoluta sul non consentire l’accesso ai messaggi criptati inviati tramite la sua applicazione e sul fatto che, anche se potesse, condividerli con il Governo costituirebbe un processo di sorveglianza di massa, una posizione sostenuta anche dalla Corte Suprema indiana. I vertici dell’azienda hanno inoltre accusato i partiti politici indiani di “abuso” dell’applicazione durante il periodo delle elezioni.
In definitiva, il ruolo di WhatsApp nella politica indiana deve essere compreso attraverso l’interazione della tecnologia con questioni sociali e culturali più ampie. E’ uno strumento che amplifica alcune tendenze già esistenti nella società indiana. Ad esempio, gli episodi di linciaggio potrebbero essere ricondotti di più al fenomeno dell’incitamento alla violenza all’interno di una società divisa, piuttosto che a un’applicazione che potenzialmente facilita la diffusione di voci. Allo stesso modo, i messaggi che promuovono l’odio sulle questioni religiose, di casta e di genere, dipendono prima di tutto dalle predominanti scissioni presenti a livello sociale.
Evidentemente è necessaria una maggiore comprensione dei legami emergenti tra la politica digitale e la sfera pubblica. Sarebbe importante capire come la diffusione di (dis)informazioni da parte delle applicazioni di messaggistica sia legata alle forme più tradizionali di campagne politiche, tra cui le propagande porta a porta, i comizi e i discorsi. E in che modo queste diverse sfere influenzano in modi differenti la partecipazione e l’appartenenza politica? Comprendere questi aspetti rappresenta un punto di partenza di qualsiasi intervento mirato ad affrontare il ruolo di WhatsApp nell’ambito della disinformazione durante le elezioni.