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Isis, opere d’arte, marketing del terrore e consenso sui social

[Traduzione a cura di Stefania Gliedman dall’articolo originale di Emma Cunliffe e Luigi Curini pubblicato su The Conversation

Le immagini della devastazione di Palmira, città dichiarata Patrimonio dell’umanità dall’Unesco, sono diventate un’icona del conflitto in Siria. Diventate immediatamente virali, hanno scatenato l’indignazione del mondo andando ad aggiungersi alla lista di barbarie e gravissime violazioni di diritti umani perpetrate dallo Stato Islamico, a partire dal massacro degli Yazidi.

Eppure, secondo un nostro recente studio condotto con il patrocinio delle Università di Newcastle e Milano e apparso sulla rivista Antiquity, sulle varie piattaforme social (Twitter in particolare) una parte considerevole di utenti di lingua araba si è dimostrata favorevole ad azioni di questo tipo.

Non si tratta certo del primo caso in cui una forza militare usa la distruzione di opere d’arte come tattica di guerra – si pensi ad esempio al Buddha di Bamiyan in Afghanistan, fatto saltare in aria dai talebani; eppure sembra che “la grancassa mediatica” dello Stato Islamico abbia avuto un’eco di ben più vasta portata.

Ai fini della nostra ricerca, per comprendere quale fosse la posizione del mondo di lingua araba al riguardo, abbiamo usato la “sentiment analysis, una tecnica che consiste nel catalogare reazioni positive, negative e neutrali, nonché le motivazioni a giustificazione di tali schieramenti. Questo tipo di ricerca di solito è manuale, al fine di cogliere idiomi e sfumature ironiche, sarcastiche o scettiche che di solito sfuggono agli algoritmi. In nove mesi abbiamo analizzato accuratamente e sistematicamente un milione e e mezzo di tweet in lingua araba sull’argomento.

Tombe a torre della necropoli di Palmira, in Siria, distrutte dallo Stato Islamico nel 2015, immagine su licenza CC.

Abbiamo esaminato numerosi resoconti di distruzione, ampiamente condivisi sui social media con reportage, immagini e video, ma anche episodi scoperti solo grazie a immagini satellitari. Abbiamo incluso casi di demolizione a scopo di ricostruzione o di “riqualificazione” (come quella di una chiesa trasformata in stazione di polizia), poiché ritenevamo che, al pari di altri, avessero avuto un certo peso sul sentimento dell’opinione pubblica nei confronti del gruppo estremista.

La ricerca ha evidenziato che un quinto (21.7%) dei tweet erano di fatto in favore degli attacchi al patrimonio artistico da parte dell’IS. Vista la risonanza data dai media occidentali alla distruzione di Palmira, abbiamo deciso di concentrarci sull’impatto di tale episodio sui nostri risultati.

Abbiamo quindi analizzato un sottogruppo di dati contenenti reazioni alla distruzione di siti archeologici, alla ricerca di quelle favorevoli. Successivamente abbiamo rivisto i dati rimuovendo Palmira come variabile, per capire se gli utenti approvassero l’attacco a Palmira o ai siti di valore artistico in generale.

Ecco una dei tanti commenti esaminati:

I leoni dello Stato Islamico hanno fatto saltare il Tempio (di Baalshamin) nella città di Palmira, e presto, per volontà di Dio, distruggeranno le piramidi e la Sfinge.
[Tweet del 23 agosto 2018 tradotto dall’arabo].

L’offensiva dello Stato Islamico

Il periodo dello studio va dal 1 agosto 2015 al 30 giugno 2016. Nel maggio 2015 lo Stato Islamico aveva conquistato Tadmur e il vicino sito archeologico di Palmira. L’IS trasformò l’antico teatro romano in un’arena per esecuzioni di massa, distrusse la statua della dea Al-Lat , e per finire fece saltare in aria l’intera zona.

Nell’arco di tempo identificato dallo studio, l’IS rase al suolo i templi di Bel e Baalshamin. Nell’ottobre 2015 fu la volta dell’Arco di Trionfo di Palmira, e delle tre colonne a cui vennero legati degli uomini usati come bombe umane. Come evidenziato da immagini satellitari, le 11 tombe a torre furono fatte saltare in aria. Sempre nel 2015 fu decapitato Khalad al-Assad, direttore del sito archeologico di Palmira.

La furia distruttrice dell’IS prosegue ben oltre il periodo dello studio, con una serie di atti vandalici come quello contro il  museo di Palmira, mentre la seconda occupazione della città (dal dicembre 2016 al marzo 2017) è accompagnata da ulteriori saccheggi e distruzioni .

Khaled al-Asaad, al tempo capo del sito archeologico di Palmira, decapitato dallo Stato Islamico nell’agosto 2015, all’età di 83 anni. Immagine tratta da Wikipedia

Bombe e tweet

Nonostante la conversazione in Rete si sia infiammata proprio a seguito della notizia degli attacchi alla città siriana, non sono state rilevati differenze considerevoli tra sentiment positivo e negativo al riguardo. La distruzione di Palmira non ha ricevuto plausi maggiori rispetto a episodi simili verificatisi in altre località di interesse artistico, ma non ha nemmeno intaccato i favori nei confronti dello Stato Islamico.

I segni della distruzione nell’antica città di Palmira. EPA-EFE/Youssef Badawi

Al contrario, si è notato un netto aumento della risonanza mediatica del gruppo estremista, che con Palmira sembra aver messo a segno un efficace colpo propagandistico, o addirittura, come traspare da alcuni tweet, una nuova strategia per reclutare altri adepti. Nei casi in cui gli utenti hanno giustificato la propria posizione nei confronti degli attacchi, un quinto dei tweet a favore (21.5%) facevano riferimento a quello che abbiamo definito un “reclutamento per mezzo della trasmissione della loro ideologia”, che equivale, nella lista di motivi che portano l’utente a essere pro-IS, alla terza in ordine di grandezza.

Grafico (sopra): conversazioni online in lingua araba . Grafico (sotto): livelli giornalieri del sentimento positivo nei confronti dell’IS. I giorni dell’annuncio della distruzione di Palmira sono segnati in rosso. Emma Cunliffe. Immagine fornita dall’autore.

Se da un lato non c’è dubbio sul fatto che lo Stato Islamico possieda una strategia mediatica, non si può dire che questa dimostri coerenza e costanza. Tra gli innumerevoli attacchi all’arte, l’IS ha rivendicato solo quello ai templi, con un articolo su Dabiq 9, rivista di propaganda jihadista; dopo l’uccisione di al-Asaad, una foto del suo corpo senza vita e un video del museo devastato sono diventati virali. Ma altre azioni, inclusi gli atti vandalici della seconda occupazione, sono state scoperte e divulgate da giornalisti, oppure tramite il monitoraggio di immagini satellitari, il che fa pensare che lo Stato Islamico non abbia saputo sfruttare il potenziale propagandistico della distruzione di Palmira.

E mentre proprio su Palmira si è concentrato lo sguardo indignato dell’Occidente, su Twitter una grossa fetta di utenti in favore degli attacchi all’arte inneggia a questa forma di umiliazione delle comunità locali, a prescindere dalla zona o dal tipo di sito. Infine, le reazioni negative più forti non sono state scatenate dall’attacco a Palmira, ma da quello a cimiteri e siti islamici.

Alla luce di tutto ciò, se si vogliono proteggere questi siti bisogna attivarsi all’interno delle comunità che li ospitano, e che sono state prese di mira dall’IS. Concentrarsi esclusivamente su Palmira significa perdere di vista uomini  e donne, e capire il motivo per cui si trovano in pericolo; questa consapevolezza è necessaria per proteggere non solo l’arte ma la compattezza della regione che l’ha creata. Alla luce di recenti episodi in cui altri gruppi estremisti tentano di far proprie le strategie dello Stato Islamico, come accade ad esempio in Yemen dove svariati monumenti sono stati bombardati, questa problematica va affrontata e risolta con la massima urgenza.

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