[Traduzione a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Emma Parker pubblicato su The Conversation]
Lo scorso luglio, in occasione della Biennale di Liverpool, è stata esposta l’opera d’arte The List, che contiene i 34.361 nomi dei migranti e rifugiati rimasti vittime nell’ultimo ventennio mentre cercavano di raggiungere l’Europa. In settembre l’installazione è stata deturpata con scritte razziste del tipo “invasori non rifugiati“.
Sebbene le autorità locali abbiano giudicato i colpevoli dei “teppisti fascisti”, negli ultimi anni la retorica che mira a identificare i rifugiati come “invasori” anonimi è stata usata più volte dai leader politici europei. Un linguaggio simile disumanizza volutamente i quasi 65 milioni di persone coinvolti nella crisi globale dei rifugiati.
A fronte di tutto questo ha visto di recente la luce un filone di fumetti che raccontano le storie personali di rifugiati e migranti. Così, in risposta alla quasi costante diffusione mediatica di notizie circa il passaggio dei migranti verso l’Europa negli anni 2015 e 2016, si assiste all’esplorazione di viaggi personali, esperienze di detenzione e tentativi di ricostruire le loro vite in territori stranieri.
Dopo il webcomic vincitore del Premio Pulitzer, pubblicato sul sito del New York Times, “Welcome to the New World” di Jake Halpern e Michael Sloan e il romanzo grafico “Threads From the Refugee Crisis” di Kate Evans, un grande numero di artisti e giornalisti ha iniziato ad impiegare storie per immagini al fine di condividere le esperienze di migrazione tratte dalla vita reale. Sulla base di un interesse crescente per il reportage grafico, la House of Illustration di Londra ha aperto a novembre una nuova mostra intitolata Journeys Drawn: Illustrations from the Refugee Crisis e costituita da quaranta lavori originali che mettono in primo piano le esperienze di profughi e rifugiati.
In risposta alla narrazione stereotipata dei rifugiati come invasori anonimi, i fumetti riescono a raccontare le storie di “coloro che non contano“, come spiega Evans nel suo libro. Spesso i comics raffigurano scene che i fotografi della stampa non riescono a immortalare. Semplici tecniche, come quelle delle nuvolette di pensiero che illustrano come una storia personale nel presente sia perseguitata da ricordi traumatici del passato. Vignetta dopo vignetta, i vari disegni offrono al lettore la diretta ricostruzione di esperienze difficili e viaggi strazianti.
Rivisitazioni grafiche
Un fattore essenziale nell’impatto di fumetti di questo genere è la loro accessibilità. I fumetti digitali, come il pluripremiato di Karrie Fransman “Over Under Sideways Down“, che racconta la storia vera di un rifugiato adolescente di nome Ebrahim, dimostra quanto siano versatili i graphic novel. Disponibile online gratuitamente, il fumetto raffigura le esperienze di fuga dall’Iran del quindicenne e la sua terribile odissea in Turchia e in Europa. Durante il viaggio, è vittima di terribili violenze, tra cui lo stupro e il furto dei suoi documenti d’identità. Sebbene si tratti di una storia vera, la reale identità di Ebrahim viene tutelata.
Eppure la sua storia prende vita attraverso i disegni di Fransman: il protagonista lascia l’Iran portando con sé un prezioso tasbih (rosario musulmano), un regalo d’addio di sua madre. I semplici grani del rosario si trasformano in un cordone ombelicale che legano la genitrice al figlio. Sotto di loro si estende una cartina geografica e la costellazione dei grani traccia la strada percorsa da Ebrahim dall’Iran alla volta del Regno Unito. La storia inizia e finisce con un’immagine del ragazzo seduto su una poltrona, le perline attorno al polso. Ma la catena di perline bianche ha ottenuto un grande significato simbolico in tutte le venti pagine del fumetto. Rappresentano, infatti, al tempo stesso il segno del suo viaggio e il simbolo di tutto ciò che gli è costata la sua nuova vita in Inghilterra.
I fumetti sui viaggi dei rifugiati vengono inoltre inseriti sempre di più in progetti di ricerca, e le autorità statali li menzionano anche nei loro discorsi. “Fleeing into the Unknown“, un breve fumetto realizzato dall’organizzazione britannica PositiveNegatives, narra le esperienze di Mehra, una profuga eritrea che ha lasciato la sua casa per sfuggire alla coscrizione forzata.
Il fumetto ripercorre il viaggio disperato della ragazza attraverso fiumi infestati di coccodrilli, deserti soffocanti e mari pericolosi, prima di raggiungere il Regno Unito. Con l’aiuto delle didascalie e delle immagini monocromatiche, i lettori sono in grado di vivere tappa dopo tappa il suo viaggio, condividendo la sua crescente disperazione a fronte di ogni nuova difficoltà.
Fleeing into the Unknown faceva parte di un più ampio studio sul processo decisionale e la migrazione, oltre ad indagare sul come e il perché i migranti intraprendessero passaggi così difficili verso l’Europa. Altri fumetti online realizzati da PositiveNegatives sono stati menzionati dal Parlamento inglese e in dibattiti pubblici sui diritti dei rifugiati.
L’arrivo non significa la fine
Il graphic novel è anche un prezioso strumento per esplorare gli effetti a lungo termine dell’essere un rifugiato. Nel suo graphic memoir e best seller americano, “Il nostro meglio“, Thi Bui narra, nelle vesti di quando era ancora una bambina, il viaggio disperato dei suoi genitori che scappano da un Vietnam devastato dalla guerra per ricostruire una nuova vita in America. “Sebbene i miei genitori mi stessero portando via dal luogo del loro dolore… alcune ombre del passato restano e gettano una grigia immobilità sulla nostra infanzia“, spiega l’autrice.
Bui illustra come le storie dei profughi non finiscano tutte con un arrivo sicuro e liberatorio. Al contrario, i ricordi traumatici di viaggi difficili possono tornare a galla anche dopo decenni. L’ombra dell’inchiostro che scorre tra le pagine del fumetto rispecchia come il trauma della migrazione forzata venga trasmessa di generazione in generazione. Nel caso della fumettista vietnamita, questi ricordi sono diventati una presenza permanente e persistente all’interno della sua vita familiare. Attraverso parole e immagini, descrive come i suoi genitori convivessero con “demoni non esorcizzati” e il tormento di dover rinunciare “a quelle abitudini acquisite nel corso di tanti anni di sopravvivenza“.
Tramite la documentazione di viaggi reali, la rappresentazione di ricordi traumatici e persino la trasposizione di ricerche complesse in una serie di immagini, i fumetti sulle storie dei migranti sono diventati un potente strumento per far luce sulle loro singole vite oscurate dalla crisi globale.