Rashida Tlaib (Michigan) e Ilhan Omar (Minnesota) sono le prime donne musulmane a entrare nel Congresso. Lo stesso vale per due native americane, Deb Haaland (New Mexico) e Sharice Davids (Kansas). Ayanna Pressley è la prima afroamericana eletta alla Camera in Massachusetts. La socialista Alexandria Ocasio-Cortez (New York) è la più giovane (29 anni). E Jared Polis (Colorado) è il primo governatore dichiaratamente gay. Questi solo alcuni dei nuovi volti Democrat emersi all’indomani delle elezioni di metà mandato statunitensi.
Elezioni che, volendo cimentarsi nell’impossibile compito di trovare una categorizzazione univoca dei risultati, paiono indicare il risveglio del fronte anti-Trump e il profilarsi di un’opposizione più corposa, a partire dall’agone politico e foriera di un attivismo sempre più diffuso.
Tuttavia non c’è stata quella “valanga blu” sbrigativamente prevista da varie fonti, a conferma della volatilità della tornata elettorale intermedia tra le Presidenziali. Presunta valanga invece tenuta a bada da un possente “muro rosso”. Di certo il Paese non è meno diviso e polarizzato, anzi, e la democrazia rimane a forte rischio davanti a manovre improvvise e proclami populisti. Tra queste, la (pur prevista) cacciata del Procuratore Generale, Jeff Sessions, a poche ore dai risultati definitivi: l’ennesimo tentativo di insabbiare le indagini sul Russiagate.
Piuttosto, è plausibile che le spaccature finiranno per moltiplicarsi, visto il colore opposto dei due rami del Congresso e un presidente che considera un anatema il compromesso o la diplomazia. E che non ha perso tempo a sbandierare (su Twitter, ovviamente) il “successo” Repubblicano, soprattutto quello di alcuni suoi fedelissimi, tra cui il senatore Ted Cruz (Texas) e il governatore della Georgia, Brian Kemp, contro candidati assai pompati dal fronte liberal. Invece nella conferenza stampa del giorno dopo, Trump non ha esitato a deridere i candidati GOP che hanno perso, oltre che naturalmente le testate d’informazione.
In ogni caso, le fobie (e bugie) trumpiste degli ultimi giorni pre-voto sul pericolo immigrati e sulle frodi ai seggi hanno trovato scarso riscontro tra gli elettori – il che non è poco, vista l’eco ottenuta soprattutto sui social media da simili “messaggi”, sull’onda del (falso) mantra delle “fake news”.
In un modo o nell’altro l’effetto-Trump si è fatto sentire rispetto all’alta percentuale di votanti, visto che le elezioni di metà mandato vengono tradizionalmente trascurate: sembra che stavolta siano stati circa 113 milioni, ovvero il 49% degli aventi diritto (percentuale toccata solo nel 1966, mentre di solito rimane al di sotto del 40%). E probabilmente anche rispetto un altro dato meno positivo, l’infusione di contanti: secondo un’inchiesta del Center for Responsive Politics, complessivamente le spese per questa campagna elettorale hanno raggiunto la cifra-record di 5,2 miliardi di dollari, con un incremento del 35% rispetto a quelle del 2014.
Nell’attesa di vedere se e quali mosse prenderà tale opposizione con l’insediamento del nuovo assetto a inizio 2019, sulla spinta dei nuovi parlamentari-attivisti, è utile segnalare l’avanzata progressista riguardo a importanti referendum locali. In Arkansas e Missouri è passato l’aumento del salario orario minimo (rispettivamente da 8,50 a 9,25 e poi a 11 dollari nel 2021, e da 7,85 a 12 dollari entro i prossimi cinque anni). In Michigan la registrazione automatica degli elettori (in stile europeo) e in Maryland quella per il voto nello stesso giorno della registrazione. In Florida, passo essenziale per riaffermare il diritto al voto tuttora impedito qua e là da anacronistiche disposizioni tecnico-burocratiche, è stato approvato l’Emendamento 4, che ripristina tale diritto per chi è stato condannato ed ha espiato la sentenza, con l’esclusione di casi di omicidio o reati di natura sessuale: ne beneficeranno circa 1,5 milioni di persone.
In Oregon gli elettori hanno respinto una proposta per limitare l’accesso all’aborto, ma in Alabama e West Virginia sono passate misure di segno opposto. E sul fronte cannabis, in Missouri e Utah ne è stato legalizzato l’uso terapeutico, mentre in Michigan diventa legale anche l’uso ricreativo. Negli Stati di Washington, Arizona e Colorado niente da fare per i quesiti “verdi” e contro la fratturazione idraulica, soprattutto per le pesanti campagne d’opposizione avviate dalla lobby petrolifera, che ha investito qualcosa come 100 milioni di dollari. Invece in Nevada è passata la Question 6, che impone il 50% di energia rinnovabile nello Stato entro il 2030. Infine, altro dato-record, sono stati eletti oltre 150 candidati LGBT, secondo il Victory Fund, comitato autonomo a sostegno di politici che appoggiano espressamente i diritti LGBT (su un totale di 225 ,quasi tutti nelle liste Democratiche).
Tante e variegate le analisi che si accavallano in queste ore del dopo-voto, com’è ovvio: bicchiere mezzo pieno o mezzo vuoto? Chissà. I risultati confermano, se ce ne fosse ancora bisogno, che in futuro non sarà certo facile trovare quell’unità nazionale che tanti invocano, almeno a parole. Anzi, come ha sintetizzato la neo-eletta Alexandria Ocasio-Cortez, già divenuta simbolo dell’ondata progressista, «…ci stiamo dando da fare per cambiare gli equilibri di potere nel Paese».