[Traduzione a cura di Elena Intra dall’articolo originale di Jamie Carr pubblicato su The Conversation]
I Paesi con livelli alti di benessere umano hanno maggiori probabilità di mostrare un aumento della crescita delle foreste. Questo è il risultato di un nuovo studio condotto da un gruppo di scienziati finlandesi e pubblicato su PLOS ONE. Il loro lavoro dimostra che i Paesi che registrano aumenti annuali della quantità di alberi, in genere ottengono un punteggio elevato nell’Indice di sviluppo umano (HDI) dell’ONU, un sistema che utilizza misure riguardanti l’aspettativa di vita, l’istruzione e il reddito al fine di valutare lo stato di sviluppo. Allo stesso tempo, le nazioni con una perdita annuale netta di foreste ottengono generalmente un punteggio inferiore.
Logicamente si è portati allora a pensare che un rimedio per l’attuale perdita e degrado di molte foreste nel mondo sia dare un’enorme spinta allo sviluppo nei Paesi deforestati. Ma mentre tale nobile impresa sarebbe auspicabile sotto molti punti di vista, questi apparenti legami ambientali meritano un’analisi più accurata.
A quale costo?
Gli autori stessi discutono con riserve i propri risultati, e questo è un aspetto che non dovrebbe essere ignorato. Ad esempio, passare da una perdita netta di foreste ad un aumento altrettanto netto, può semplicemente implicare l’acquisto di oggetti come mobili in legno o polpa di cellulosa dall’estero, spesso da nazioni più povere con politiche ambientali e tutele più deboli. Questo processo, noto come “leakage”, è stato forse meglio descritto e documentato dal geografo Patrick Meyfroidt e colleghi nel 2010. Tra i vari esempi, nel loro studio illustrano questo fenomeno osservando il caso del Vietnam, dove la crescita della copertura forestale era legata a forti aumenti del legname importato, circa la metà del quale era illegale.
Se tali processi sono in atto, allora per quanto tempo si può andare avanti a scaricare gli impatti ambientali su altri?
In ogni caso, queste foreste recuperate spesso non sono tutto ciò che sembrano. In alcuni casi possono includere piantagioni di olio di palma o di gomma – quindi tecnicamente sono “foreste”, ma presentano pochi dei benefici ecologici dell’ambiente che sostituiscono. Anche le foreste apparentemente recuperate in modo naturale sono raramente, se non mai, biologicamente diverse e ben funzionanti come i loro predecessori naturali.
Le cose possono essere aggravate dagli schemi di ripristino forestale che hanno più a cuore i motivi umani, piuttosto che quelli ecologici. In Indonesia, ad esempio, ho assistito a lavori di recupero forestale nei parchi nazionali che favorivano l’uso di specie esotiche utili al posto di quelle forestali native. In Tanzania, ONG locali come il Tanzania Forest Conservation Group fanno pressione per introdurre politiche che promuovano la conservazione delle foreste piuttosto che, o per lo meno in aggiunta, al piantare alberi, citando benefici sia ecologici che di benessere.
Il messaggio chiaro qui è che è preferibile prima di tutto prevenire i danni, piuttosto che provare in un secondo momento a ripristinare le condizioni precedenti.
Foreste e sviluppo
I moderni concetti di sviluppo sostenibile sono rappresentati dai 17 Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (SDG), i quali coprono una varietà di argomenti, tra cui questioni di benessere, infrastrutture e ambiente. Gli studi su come questi obiettivi interagiscono (sia nel bene che nel male) sono importanti se si vuole ottenere uno sviluppo veramente sostenibile.
L’ultimo studio sulla copertura forestale utilizza un indice composito per studiare gli andamenti forestali, i quali potrebbero mascherare un quadro più complesso. Lavori precedenti hanno dimostrato che un miglioramento dell’istruzione (SDG 4) è comunemente associato alla riduzione della deforestazione, mentre l’effetto dell’aumento del PIL (SDG 8) sulle foreste è molto più complicato. Gli autori usano una metrica che combina questi componenti (insieme con l’aspettativa di vita), che però non spiega come interagiscono.
Ulteriori complessità coinvolgono altre aree di sviluppo, ognuna con effetti propri. Ad esempio, nei Paesi con alti livelli di disuguaglianza (SDG 10), lo sviluppo può aggravare i tassi di deforestazione, piuttosto che porvi rimedio. In Brasile, ad esempio, gli sforzi nazionali per aumentare lo stato di sviluppo delle persone si sono dimostrati più dannosi per le foreste nei comuni con elevati livelli di disuguaglianza nella distribuzione di terreni, rispetto a quelli in cui la terra era più equamente condivisa.
Alcuni lavori suggeriscono che i miglioramenti nell’uguaglianza di genere (SDG 5) potrebbero avere esiti positivi per le foreste, mentre le attività di degrado forestale osservate durante i periodi di conflitto suggeriscono che le relazioni pacifiche (SDG 16) favoriscono anche foreste più sane.
D’altra parte, raggiungere la sicurezza alimentare globale (SDG 2), soddisfare i fabbisogni energetici (SDG 7) e sviluppare infrastrutture sostenibili (SDG 11) richiederanno tutti un’attenta pianificazione e monitoraggio per garantire che i loro impatti ambientali siano ridotti al minimo.
In definitiva, questo articolo fornisce ragioni per sentirsi positivi riguardo l’inevitabile sviluppo degli esseri umani e il destino delle foreste del mondo. Ciò implica che, a un certo livello di sviluppo, le foreste perse o degradate in questi processi, comincino a rigenerarsi o ad essere recuperate (in modo naturale o con l’assistenza umana). Ci si augura che il lavoro della squadra finlandese incoraggi le nazioni in tutto il mondo, sviluppate o meno, a ripristinare più foreste possibili.
In un’epoca di rapidi cambiamenti climatici, perdita di biodiversità e crescita della popolazione umana, abbiamo più che mai bisogno delle nostre foreste. Il mondo deve trovare modi di sviluppo sostenibili che non implichino la distruzione di ciò che rimane delle foreste.
Tuttavia, seguire le orme delle nazioni già sviluppate, e semplicemente sostituire le foreste in un secondo momento, non dovrebbe essere considerata una linea di condotta praticabile.