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Zimbabwe, finita l’era Mugabe tutto sembra come prima

The Former Vice-President of the Republic of Zimbabwe, Honourable Mr Emmerson Dambudzo Mnangagwa paid a courtesy call on President Jacob Zuma before heading back to Harare, Zimbabwe today 22 November 2017. Both leaders paid tribute to Former President Robert Mugabe and acknowledged his immense contribution to struggle for the decolonisation of the continent in general and the liberation of southern Africa in particular.

[Traduzione a cura di Benedetta Monti dall’articolo originale di Henning Melber pubblicato su Pambazuka]

Incontro tra il presidente Jacob Zuma e Emmerson Mnangagwa. Foto Flickr dell’utente GovernmentZA

Seguendo gli eventi che si sono susseguiti in Zimbabwe dalla metà del mese di novembre (cfr la cronologia separata, in fondo), mi è venuta in mente la Rivoluzione dei Garofani iniziata il 25 aprile 1974 quando, durante un colpo di Stato pacifico, l’esercito portoghese rovesciò il regime dittatoriale di Marcelo Caetano, portando la fine anche della dominazione portoghese nelle colonie africane. Da allora il 25 aprile viene celebrato in Portogallo come la Giornata Nazionale della Libertà.

Lo Zimbabwe ha ottenuto l’indipendenza sei anni più tardi, il 18 aprile 1980, come fase finale di una transizione politica negoziata in base all’Accordo di Lancaster House. Ma nonostante la sovranità, la popolazione dello Zimbabwe non è mai stata veramente libera. Gli scenari che si sono visti ad Harare e in altri luoghi più di 37 anni dopo l’indipendenza, sabato 18 novembre e martedì 21 novembre, hanno fatto tornare in mente altri ricordi, quando la popolazione ha celebrato per la strada il diritto all’auto-determinazione, soltanto per capire in seguito che tale diritto non è mai stato rispettato dai leader dell’Unione Africana Nazionale dello Zimbabwe (ZANU) che ha assunto il potere.

I massacri genocidali compiuti dai Gukurahundi a Matabeleland tra il 1983 e il 1987; la coercizione del partito rivale del Fronte Patriottico Nazionale dello Zimbabwe (ZAPU) con a capo Joshua Nkomo nel nuovo partito ZANU-PF (Fronte Patriottico); la scomparsa degli studenti dell’Università dello Zimbabwe che protestavano a metà degli anni ‘90; le elezioni presidenziali manipolate del 2002; l’Operazione Murambatsvina che ha avuto inizio durante la Giornata dell’Africa del 2005 per “ripulire” i centri urbani dagli abitanti delle baraccopoli; la repressione sistematica dei media indipendenti e la persecuzione dei giornalisti alla fine del secolo; le uccisioni o le sparizioni, le mutilazioni, gli arresti e le torture ai danni di migliaia di oppositori politici e attivisti della società civile e le altre elezioni truccate del 2008: nel corso di 37 anni come Stato sovrano, la popolazione dello Zimbabwe, gli “Zimbo”, non hanno mai avuto la libertà.

Le libertà civili sono state negate dal pugno di ferro del solo e unico leader, Robert Gabriel Mugabe, che ha sviluppato un sistema di “mugabismo” governando il Paese come se fosse una proprietà privata, un apparato civile, politico e di sicurezza militare consolidato nell’egemonia del partito ZANU-PF. Di conseguenza, alla fine del secolo scorso la repressione politica unita al declino economico e al deterioramento sconvolgente delle condizioni di vita, hanno portato alcuni milioni di zimbabwesi a lasciare il Paese per sopravvivere in altro luogo, spesso in condizioni disumanizzanti e miserabili, per sostenere le proprie famiglie rimaste in patria. Durante il periodo della lotta per la liberazione, il regime ha fatto sì che gran parte della popolazione si trovasse in una sorta di esilio piuttosto che resistere al colonialismo.

Se Mugabe è stato il fattore trainante e il volto, il mugabismo e l’Unione ZAN dell’ex “gioiello africano” (il presidente della Tanzania Julius Nyerere a Mugabe durante la cerimonia di indipendenza) è stato un sistema radicato più profondamente. Mugabe non ha mai agito da solo.

Emmerson Mnangagwa (nato nel 1942), è stato il suo compagno fedele per più di cinquant’anni. All’inizio come sua guardia del corpo, è stato per molti anni in prigione insieme a Mugabe, così simili da sembrare due uccelli con le stesse piume, e insieme hanno tramato l’eliminazione (a volte anche fisica) dei rivali politici dagli anni dell’esilio. Durante le lotte di potere Mnangagwa è stato fedele a Mugabe, perseguendo la sua stessa ascesa politica all’ombra del fratello maggiore. È stato un influente membro del Governo e il legame della sicurezza dello Stato dall’Indipendenza. Durante le elezioni del 1980, precedenti all’Indipendenza, ha partecipato alle campagne di intimidazione della popolazione a favore del partito ZANU e, da allora, ha coordinato la maggior parte delle campagne elettorali per il partito.

La manipolazione delle elezioni è stato il suo campo e la sua responsabilità allo stesso modo di Mugabe e dell’esercito, che ha governato progressivamente dalle caserme. Mnangagwa, come ministro della Sicurezza di Stato, ha presieduto il commando congiunto responsabile del brutale massacro di più di 20.000 Ndebele da parte della Quinta Brigata nell’area del Gukurahundi. Si è riferito ai dissidenti chiamandoli scarafaggi e alla Quinta Brigata come DDT, ha respinto le critiche della Chiesa Cattolica rigirando il Discorso della Montagna, affermando: “Benedetti sono coloro che seguiranno il sentiero delle leggi del Governo, e i loro giorni sulla terra saranno più lunghi. Ma guai a coloro che sceglieranno il sentiero della collaborazione con i dissidenti, perché sicuramente renderemo più brevi i loro giorni sulla terra.”

Non a caso è stato soprannominato “il coccodrillo” (nel linguaggio Shona, ngwena è associato a una persona subdola e crudele). In diverse occasioni, ha dichiarato con orgoglio di essersi “guadagnato” tale soprannome. E probabilmente si è trattato di un avvertimento nei confronti di Mugabe stesso: dopo tutto un coccodrillo potrebbe mordere se attaccato.

Le apparenze pubbliche di questo vecchio leader – Mugabe – hanno mostrato i segnali di un uomo fragile il cui talento di stratega scaltro e ingegnoso ha iniziato a scemare. Apparentemente non più consapevole di quello che stava succedendo, è diventato sempre più controllato dalla moglie Grace di quarant’anni più giovane. Soprannominata “Gucci Grace” per le sue folli spese di lusso, la First Lady, affamata di potere e ambiziosa, è diventata la rivale più feroce di Mnangwaga nella successione al marito. Nata nella noiosa cittadina mineraria di Benoni, nel Witwatersrand, nel 1965 (dove è nata l’attrice hollywoodiana Charlize Theron dieci anni dopo), ha iniziato la propria carriera come giovane dattilografa per Mugabe. Poi è diventata la sua amante e madre dei suoi figli durante la malattia della first lady Sally Mugabe, proveniente dal Ghana (dove Robert è stato insegnante prima di iniziare la carriera politica). Durante il corso degli anni, la sua influenza sul marito è cresciuta fino ad essere lei a condurre il gioco.

Si pensa che anche le dimissioni di Mnangagwa siano state decise “in camera da letto”, implicando che il vecchio dittatore fosse sempre più sotto il controllo della moglie. Il suo gruppo di supporto all’interno del partito (i G40) era composto da una nuova generazione di funzionari statali più giovani, ambiziosi, affamati di potere e avidi, compreso Jonathan Moyo. Come giovane studente all’Università dello Zimbabwe, è stato uno dei critici più espliciti del partito ZANU-PF dalla fine degli anni ‘80 e ha lasciato il Paese per ragioni di sicurezza a metà degli anni ‘90. Accusato di malversazione e appropriazione indebita di fondi dai alcuni suoi dipendenti all’estero, è tornato in Zimbabwe nel 2000 diventando un esecutore dei metodi della polizia di stato. Come ministro dell’Informazione ha avviato la repressione dei media indipendenti. Contrariamente al “Team Lacoste” (in riferimento al coccodrillo come marchio), il G40 è un gruppo di novellini (il 40 si riferisce all’età, anche se non avevano quell’età) guidati da una donna che non era né popolare né accettata come una cittadina dello Zimbabwe, ma che era nella posizione di essere il successivo presidente della nazione per dare vita a un’altra dinastia.

Questo è stato un momento critico per l’esercito, che aveva interessi acquisiti ed era la spina dorsale del mugabismo sotto il comando di Robert Mugabe. Ma il mugabismo sotto il comando di Grace Mugabe avrebbe rischiato di non essere più sotto il controllo militare. Il coccodrillo era il loro uomo e allo stesso tempo la personificazione della regola della prima generazione che era nata nei giorni della chirumenga (la lotta rivoluzionaria). Tuttavia fermare una dinastia non significa certo la nascita della democrazia.

Mentre l’esercito era impaziente di ribadire che la “misura correttiva” era interamente interna al partito e pertanto un affare interno e non un colpo di Stato, ha continuato a riconoscere Mugabe come proprio comandante che era sempre ufficialmente in carica anche se agli arresti domiciliari, cercando di costringerlo alle dimissioni. Ma osservando il comportamento disorientato di Mugabe ci si potrebbe chiedere se il despota comprendesse davvero la situazione e che il suo tempo era finito. Alla fine, dopo una settimana di rifiuto, ha rassegnato le dimissioni per iscritto senza trasmetterle personalmente al pubblico. Il modo in cui le dimissioni sono state date non ha provocato però alcun fastidio alle persone per cui stava iniziando una nuova era per la prima volta dall’indipendenza.

Per l’esercito la missione è stata compiuta con l’instaurazione di un’altra struttura governativa politica civile, continuando a mantenere legami con coloro che detenevano il potere in Zimbabwe senza occupare posizioni politiche. Anche se esiste una data di scadenza dal punto di vista biologico, la prima generazione di lotta adesso continua ad avere il controllo sul Paese e ha respinto l’attacco delle nuove leve che, come missili senza alcuna guida, sono stati percepiti come una minaccia ai loro interessi acquisiti. Questa situazione potrebbe essere definita come una sorta di mantenimento della sicurezza alla maniera dello Zimbabwe, con un nuovo presidente di partito e uno Stato che sono più o meno gli stessi.

La popolazione dello Zimbabwe è consapevole del fatto che una nuova era per loro non sarà un’era di diritti civili e di libertà. Durante le celebrazioni pubbliche ad Harare il 18 novembre è stato pubblicato un tweet con questa metafora: Attualmente ci stanno trasportando da una prigione all’altra, e ci godiamo l’aria fresca seduti nel furgone.

E mentre gran parte della popolazione che è stata forzata alla diaspora non vede l’ora di tornare dalle proprie famiglie, è anche consapevole che con un tasso di disoccupazione vicino al 90%, le possibilità di guadagnarsi da vivere in patria sono scarse. In una commovente storia scritta sul South African Sunday Times, un cliente ha iniziato a parlare con un tassista dello Zimbabwe a Cape Town proprio quando le ultime notizie parlavano dell’intervento dell’esercito. Alla fine, il tassista ha commentato con le lacrime agli occhi di sentire la mancanza del cibo della sua patria e che a Harare era la stagione dei manghi. Si può solo sperare che, se non proprio un rinnovamento democratico, sia una ripresa economica a consentire a coloro che sono lontani dalle proprie case di tornare a gustarsi il sapore dei manghi appena raccolti.

Come ha commentato un zimbabwese, Mugabe ha cercato di abbattere l’umanità delle persone, ma non ci è riuscito. Tuttavia la cultura politica di repressione rimane parte del DNA di coloro che lo hanno costretto alle dimissioni. Mentre il suo successore e suo compagno di lunga data Emmerson Mnangagwa nel suo primo discorso pubblico ha promesso “una piena democrazia”, nel discorso separato ai membri del partito ZANU-PF in lingua Shona ha dichiarato che il treno continua a proseguire anche se i cani abbaiano. Un versetto umoristico pubblicato su Twitter la mette in un altro modo: “In Zimbabwe which just had a coup,/They say that Mugabe is through./Mnangagwa’s the chap/Who’ll fill in the gap,/Though he is an autocrat too.” [In Zimbabwe, con il colpo di Stato dicono che Mugabe è finito. Sarà Mnangagwa il tizio che prenderà il suo posto. Anche se è un autocrate anche lui, NdT]. Come dice il proverbio un leopardo non cambia le proprie macchie. La questione è se un coccodrillo cambierà la sua armatura….

Avvenimenti – cronologia temporale commentata

6 novembre
Il presidente Mugabe destituisce Emmerson Mnangagawa dalla carica di vicepresidente dello Zimbabwe. Affermando di aver subito tentativi di omicidio, Mnangagawa lascia il Paese per una destinazione sconosciuta (voci hanno menzionato il Sud Africa o la Cina).

14/15 novembre
L’esercito interviene in quella che viene chiamata “misura collettiva” per sbarazzarsi degli “elementi criminali” (a pensarci bene non c’era quasi nessuno nelle alte sfere del partito e dell’esercito che non sarebbe stato classificato come “elemento criminale”). Si faceva riferimento ai membri del gruppo G40 di Grace Mugabe. Alcuni di loro sono stati arrestati, Robert Mugabe messo agli arresti domiciliari e non si sa niente su dove sia Grace Mugabe. A Mugabe viene chiesto di dimettersi, cosa che inizialmente rifiuta di fare.

17 novembre
Il presidente Mugabe partecipa come cancelliere dell’Università dello Zimbabwe a una cerimonia di laurea nel campus. Dopo aver eseguito il proprio compito (con gli studenti che hanno accettato di buon grado la sua benedizione), ha fatto il suo solito sonnellino in pubblico per poi tornare agli arresti domiciliari nella sua residenza.

17/18 novembre
Tutte i dieci uffici provinciali del partito ZANU-PF decidono di revocare la presidenza del partito a Mugabe e di nominare suo successore Emmerson Mnangagwa. Solo poco prima era stato nominato di nuovo dal partito come candidato presidenziale per le elezioni del 2018. Come ha commentato un giornalista: la lealtà è una merce di scambio nel partito ZANU-PF.

18 novembre
La popolazione dello Zimbabwe è libera di manifestare nelle strade a sostegno dell’intervento dell’esercito. Per la prima volta dall’indipendenza, i soldati e i civili non si scontrano ma celebrano uniti. L’unico danno registrato a Harare è stata la distruzione di un enorme manifesto di Mugabe appena fuori il quartier generale del partito ZANU-PF e gettarne nella pattumiera un altro in cui compariva il nome di Mugabe.

19 novembre
Durante quello che è stato considerato un discorso televisivo bizzarro alla presenza dei comandanti dell’esercito, il presidente Mugabe appare confuso e strano, ma abbastanza consapevole da non annunciare le proprie dimissioni anticipate. Dopo il discorso, gli ufficiali dell’esercito più alti in grado sfilano e stringono la mano al propri comandante e presidente Mugabe.

19/20 novembre
Emmerson Mnangagwa viene eletto presidente del partito durante una riunione del ZANU-PF. Mugabe invoca una riunione di gabinetto il giorno successivo, mentre il partito annuncia che sarà avviata una procedura di impeachment del Capo di Stato.

21 novembre
Il Parlamento si prepara per la procedura di impeachment quando arriva la notizia che il presidente ha consegnato la lettera di dimissioni. La popolazione dello Zimbabwe in tutte le parti del mondo si mette a ballare per la strada.

22 novembre
Emmerson Mnangagwa fa ritorno in Zimbabwe. La sera stessa fa il suo discorso sia al pubblico che al partito ZANU-PF. I suoi discorsi mostrano alcune differenze e lasciano ampio spazio all’interpretazione.

24 novembre
Lo Zimbabwe ha un nuovo capo di Stato: Emmerson Mnangagwa. Le persone in tutto il mondo dovranno fare pratica su come pronunciare il suo nome in quanto nel tempo a venire potrebbe diventare un marchio registrato. Sebbene sia più difficile da ricordare di quello di Mugabe, il suo soprannome, il “coccodrillo” è sicuramente più semplice e non sarà come uno scioglilingua per chi non parla lo zimbabwese.

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