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Corea del Nord, test nucleari per la sopravvivenza del regime

[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Virginie Grzelczyk pubblicato su The Conversation]

La Corea del Nord ha recentemente effettuato il sesto test di un ordigno nucleare e, a quanto ne sappiamo, sembra di gran lunga il più potente mai effettuato finora. L’agenzia di stampa di Pyongyang, KCNA, ha descritto il test come un “perfetto successo” e ha affermato che l’ordigno era costituito da una bomba all’idrogeno abbastanza piccola da poter essere collocata nella testata di un missile a lungo raggio.

Sebbene la veridicità di tali affermazioni debba ancora essere confermata, qualunque cosa abbia testato la Corea del Nord è stato chiaramente un ordigno più potente dei precedenti: le registrazioni delle attività sismiche hanno rilevato l’esplosione con un terremoto di magnitudine 6.3, e, secondo l’osservatorio sismologico norvegese, il NORSAR, la forza esplosiva sarebbe pari a 120 chilotoni.

M 6.3 Esplosione – 22km ENE di Sungjibaegam, Corea del Nord. Autore: USGS – https://earthquake.usgs.gov/earthquakes/eventpage/us2000aert#shakemap. Wikimedia Commons

Dopo alcuni mesi di forti tensioni, contraddistinti da una retorica provocatoria, lanci di missili, esercitazioni militari e spostamenti di truppe, sembra che la Corea del Nord sia molto vicina a realizzare ciò che si ritiene stia ricercando: un’arma termonucleare a bordo di missili. È davvero arrivato il momento di scappare nei rifugi antiatomici?

Prima di rispondere a questa domanda, facciamo il punto su ciò che la Corea del Nord ha fatto di recente – e, soprattutto, perché.

Piani ben organizzati

Fino allo scorso 4 settembre, la Corea del Nord ha testato oltre 20 missili nel corso dell’anno: alcuni a breve e altri a medio raggio; molti di questi erano destinati a cadere nel Mar Cinese Orientale. Alcuni lanci sono falliti, ma uno di essi ha sorvolato il Nord del Giappone [un altro ieri, 14 settembre, NdR]. Non sono stati effettuati senza motivo: fanno tutti parte di un’interazione delicata, quasi coreografica tra i principali Paesi dell’Estremo Oriente, una danza di mosse militari, scompigli politici interni e aspirazioni internazionali.

I problemi della penisola coreana sono sempre collegati alle questioni irrisolte della divisione tra le due Coree, dopo l’armistizio della guerra di Corea, e alle migliaia di truppe americane dislocate in maniera permanente all’interno della regione per la ricostruzione e la protezione del Giappone e della Corea del Sud. La presenza militare americana è vista come una minaccia diretta alla sicurezza dell’élite di potere di Pyongyang, e fornisce anche un pretesto per il Governo di Kim Jong-un di affermare di avere la necessità di un forte esercito e di armamenti nucleari.

Nell’ultimo anno, la Corea del Nord ha espresso particolare preoccupazione per lo spiegamento da parte degli Stati Uniti del sistema antimissile “Difesa d’area terminale ad alta quota” [Terminal High Altitude Area Defense, THAAD], dedicato all’intercettazione di missili balistici e prodotto da Lockheed Martin. L’arrivo del THAAD sulla penisola nel mese di marzo è stato criticato sia dalla Cina che dalla Corea del Sud. Nello stesso periodo la Corea del Nord ha testato un missile Pukguksong-2, si ritiene che abbia fatto assassinare Kim Jon-nam, il fratellastro di Kim Jong-un, e il 6 marzo ha lanciato quattro missili balistici a raggio intermedio nel Mar Cinese Orientale.

Con il THAAD schierato e operativo dall’inizio del mese di maggio, e con l’assunzione della carica di un nuovo presidente sudcoreano, nelle settimane successive la Corea del Nord ha lanciato missili di gittate diverse, mentre gli Stati Uniti hanno condotto le solite esercitazioni missilistiche congiunte con la Corea del Sud e hanno inviato navi militari nelle acque in prossimità della penisola coreana.

La comunità internazionale ha espresso una serie di rituali condanne nei confronti di tutti i lanci di missili definendoli “inaccettabili, deprecabili, oltraggiosi“. La situazione ha raggiunto il culmine il 5 agosto con la Risoluzione 2371 del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite [seguita poi da quella dell’11 settembre, NdR], che ha preso di mira le esportazioni, le importazioni e i lavoratori stranieri del Paese.

Chiaramente questa risoluzione non ha dissuaso la Corea del Nord dai propri piani: ma sebbene l’ultimo test sembri un enorme passo, in termini di tecnologia e di politica, in realtà è soltanto un piccolo avanzamento.

Ordinaria amministrazione?

Mentre l’attenzione mondiale era soprattutto concentrata sull’escalation diplomatica – specialmente su quello che potrebbe fare Donald Trump se costretto a prendere decisioni concrete sulla Corea del Nord – diverse fonti, compreso il sito “38 North“, stavano già riferendo che il sito del test Punggye-ri era pronto per un nuovo test nucleare, già dal mese di aprile. Un fatto che non stupisce: un ordigno più grande con maggior mobilità rappresenta solo l’ultima fase del programma nucleare ed è sempre stato nell’agenda.

Tuttavia Pyongyang non ha ancora terminato. Anche se fosse già in grado di collocare una bomba ad idrogeno su un missile, deve ancora risolvere altri problemi tecnici, in particolare riguardo al modo in cui progettare missili a basso raggio che possano rientrare nell’atmosfera senza prendere fuoco.

Nel frattempo, senza un’azione militare imprudente e totalmente imprevedibile, sembra che la comunità internazionale abbia pochi assi nella manica all’infuori delle sanzioni e della retorica. Fino ad ora hanno fallito entrambe – e le azioni possono iniziare a ritorcersi contro.

Quando Donald Trump ha minacciato la Corea del Nord di scatenare “fuoco e furia” come ritorsione per i test sui missili ad ampia gittata, ho personalmente suggerito che molto probabilmente questa retorica provocatoria avrebbe solamente incoraggiato Pyongyang a testare un numero maggiore di missili. Sembra che la situazione sia destinata a perdurare. Non appena si è svegliato con la notizia dell’ultimo test nucleare, Trump non si è limitato a riaffermare che la Corea del Nord è uno Stato canaglia, ma che quello che è accaduto deve essere motivo di imbarazzo per la Cina.

Qui c’è un equivoco di fondo. Chiaramente il commercio cinese è molto importante per l’economia nord-coreana, ma è Pyongyang ad essere responsabile del proprio comportamento. Questa crisi non trae energia dal presunto consenso della Cina, ma dal modo in cui la Corea del Nord percepisce la propria sicurezza e la propria protezione – come indicato in precedenza, il punto di vista nord-coreano risale all’epoca dell’armistizio e dei problemi lasciati irrisolti.

Nella situazione attuale, è chiaro che la Corea del Nord abbia sviluppato una tecnologia sufficiente da essere chiamata “potenza nucleare” e se le altre nazioni pensino che ne abbia il diritto oppure no è del tutto irrilevante. Allo stesso modo, qualsiasi incursione militare sul suo territorio incontrerebbe molto probabilmente ritorsioni da parte di uno Stato che detiene armi nucleari; vale a dire che qualsiasi discussione riguardo a un possibile intervento militare convenzionale è senza significato.

Tutte le parti coinvolte ne sono pienamente consapevoli. E l’unica strada da seguire in questa crisi è attraverso qualche forma di dialogo su come controllare l’arsenale nucleare della Corea del Nord. Quando è in gioco la sicurezza di milioni di persone, cercare un dialogo con l’avversario non è un segno di debolezza.

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