[Traduzione a cura di Davide Galati dall’articolo originale di Michael Edwards* pubblicato su openDemocracy.]
Domanda: “Perché sei così idiota?”
Risposta: “Perché gli imbecilli come te possono respirare e rubare l’aria agli esseri umani? ”
Se qualcuno si avvicinasse a voi in questo modo, lavorereste insieme a lui su questioni comuni? Probabilmente no, ma questo tipo di scambi è sempre più diffuso: ho preso queste battute dalla pagina Facebook della mia comunità nelle Catskills.
“Benvenuto tra gli idioti d’America. Puoi anche fondare la tua ‘No Hate Army‘ [Esercito contro l’Odio, NdT] ma devi capire che ti odieremo ancora.”
“Ti ringrazio, Country Boy @ jump396. Forse tu sei il ‘bevitore di birra, mangiatore di carne, possessore di pistola, quello che odia i terroristi, che è contro i liberali, che sventola la bandiera, che ama l’America, che uccide i commie, quel motherfucker da cui Obama ti ha messo in guardia’ che vedo sugli autoadesivi del paraurti al parcheggio del mio centro commerciale.”
“Dovrebbero mandarti da quelli dell’ISIS per essere ucciso con veri coltelli per aver messo su una versione a tema Trump di Giulio Cesare nel Central Park di New York. Davvero – hai mai visto l’ISIS in azione? Sì, è vero, io sono un ‘libtard‘ – l’abbreviazione sempre più popolare per ‘liberale ritardato’ tra coloro che vedono il liberalismo come una ‘malattia mentale’ e i progressisti come ‘ammalati’.”
Quelli di noi che stanno a sinistra non vogliono pensare a sé stessi come parte di questa tendenza nociva: sono sempre “loro” e non “noi” che creano il problema – ma ecco una selezione del mio recente twitterfeed con riferimento a persone (ovvero esseri umani) che hanno votato per Donald Trump: “teste di c… di destra”, ”spazzatura bianca”, “contadini deficienti”, “scoppiati nazisti”, “stupide p… bianche”, “razzisti”, “bigotti”, “fascisti” e “fanatici religiosi a cui hanno fatto il lavaggio del cervello”.
A me queste espressioni sembrano una forma di follia in cui le differenze di opinione sono ingigantite nell’equivalente mentale ed emotivo del Muro di Berlino; simboli di un’identità tribale da mostrare con orgoglio in “campagne d’odio” [scorn wars nell’originale, NdT] che si stanno rapidamente espandendo in America e altrove. Non si tratta solo di disaccordo, ma di un disaccordo che viene montato e manipolato con conseguenze potenzialmente gravi per la democrazia in un corpo politico le cui arterie stanno irrigidendosi.
Il risultato è una guerra civile a bassa intensità, pronta ad esplodere in atti di violenza ad ogni momento, in un campo da baseball in Virginia, su un treno pendolari a Portland, all’interno di una chiesa episcopale africana a Charleston, Carolina del Sud. La destra uccide la sinistra che uccide la destra e mantiene il diritto di uccidere. A me non interessa chi brandisce il coltello o la pistola.
Questi sviluppi sono incredibilmente importanti. Non mi si dica che la lingua è irrilevante, che la politica è uno “sport di contatto”, che dovrei semplicemente diventare un po’ più tosto e smetterla di essere un tale “snowflake” [eccessivamente sensibile, NdT]. Il linguaggio violento è una forma di violenza, sia direttamente nociva nei confronti dei suoi obiettivi che anticipatrice di una reale aggressività fisica. Ma il veleno va molto più in profondità di questo, penetra nelle nostre relazioni, nei nostri tentativi di risolvere i nostri problemi e nei nostri sforzi per costruire la comunità.
Quando non c’è una comunicazione autentica, le possibilità di un consenso negoziato scemano, aprendo la via ai conflitti tra diverse versioni della verità, ciascuna sostenuta dalle proprie strutture esclusive di conoscenza, magari attraverso i social. Sia la sinistra che la destra possono pensare che solo la loro vittoria finale garantirà il successo, quindi ognuno è determinato a smantellare i risultati ottenuti dall’altro una volta al potere.
Ma ripercorrendo la Storia recente, i periodi di crescita accompagnati da eguaglianza si sono basati su un più ampio consenso attraverso la società a protezione di un nucleo fondamentale di obiettivi: sicurezza sociale e economica, salute ed educazione per tutti, un ambiente pulito e una forte democrazia – ciò di cui tutti hanno bisogno per prosperare anche a fronte di molte differenze. Un simile consenso è esistito negli Stati Uniti e in gran parte d’Europa dopo la Seconda guerra mondiale per circa 30 anni, anche se il razzismo e il sessismo abbondavano.
Per definizione, questi “interessi comuni” possono essere trovati solo attraverso l’impegno democratico e il dibattito – non possiamo trovarli se non li cerchiamo insieme. Ma ciò presuppone una capacità e una volontà di impegnarsi attraverso le linee di differenza. Cosa succede quando entrambi questi aspetti vengono erosi?
Non è difficile vedere come ci ritroviamo in questo caos: un clima di paura e di insicurezza rende le persone più sensibili ai demagoghi e ad altri che beneficiano delle divisioni – gruppi speciali di interesse come la National Rifle Association, ad esempio, shock-jocks [trasmissioni scioccanti, NdT] sulle stazioni radio, politici alla ricerca di consenso elettorale e siti web dove mostrano che c’è davvero una cospirazione contro di te, un nemico che deve essere distrutto.
Spazi dove persone di diverse opinioni politiche possono incontrarsi e impegnarsi l’uno con l’altro sono molto più difficili da trovare ora che le vecchie organizzazioni di volontariato impegnate su problemi trasversali come le associazioni genitori-insegnanti sono state sostituite da gruppi monotematici e da altri gruppi esclusivi, e gli spazi virtuali su Internet non li hanno sostituiti.
Scambiare insulti può anche essere catartico, forse più di quanto molti di noi sono disposti ad ammettere. È un modo per canalizzare tutte le generiche frustrazioni in un singolo e visibile bersaglio – Trump o Clinton, la sinistra o la destra, abortisti o anti-abortisti; una possibilità, finalmente, di “buttare fuori tutto” quello che abbiamo contro chi pensiamo ci ignori o ci screditi. Questa non è una conversazione ma un combattimento di wrestling, “mano a mano” [in italiano nell’originale, NdT], nessun prigioniero né condizioni di resa.
È difficile capire come affrontare questi problemi: a livello personale ci si presenta la più elementare delle questioni: quando si incontra quell’altro essere umano, chi vediamo? Spazzatura bianca, o i vigili del fuoco volontari che vengono a salvarti, gli agricoltori che coltivano il tuo cibo, o i ragazzi che d’inverno curano le strade che percorri?
Allo stesso modo, se hai votato per Donald Trump vedi i liberali come “ritardati”, o persone altrettanto meravigliose di quelle che ami e che hanno una visione diversa su aborto, controllo delle armi e regolamentazione governativa, persone che hanno gli stessi tuoi diritti di amare e sposare chi vogliono, di assumere libere decisioni sui propri corpi e di essere protetti dalla brutalità della polizia?
Ovunque ci si trovi nello spettro politico, la nostra responsabilità è la stessa: spezzare il ciclo, anche se “l’altro lato” inizialmente ti respingerà. Questo significa dimostrare maturità emotiva nella pratica. Dovremmo contribuire a costruire l’”amata comunità“, come una volta ha affermato Martin Luther King, non l’amato partito politico o movimento sociale (per quanto importanti siano comunque). E in una comunità ci dovrebbe essere posto per tutti, impedendo l’accesso agli estremisti violenti che devono essere controllati e trattati attraverso i dispositivi di legge.
A livello politico abbiamo bisogno di nuove istituzioni che riuniscano le persone in progetti comuni, riorientando gli incentivi al di là delle divisioni e dei conflitti esagerati a favore della responsabilità e di un processo decisionale congiunto, in cui ciascuno ha un ruolo, e che promuova il più ampio livello possibile di sicurezza economica, sociale e politica. La gente è molto più incline a mettersi in comunicazione e a creare collegamenti con gli altri quando non deve combattere per la sopravvivenza, per il rispetto o per il riconoscimento. Come le rocce in un torrente, i bordi affilati delle nostre differenze possono essere ammorbiditi nel tempo mentre ci urtiamo l’uno con l’altro nell’azione collettiva.
Priorità evidenti includono la rimozione dei sistemi elettorali strettamente maggioritari e di pratiche come il gerrymandering [manipolazione dei distretti elettorali, NdT] che accentuano la polarità della politica e rendono molto più difficile la costruzione del consenso. Ad esempio, sotto il “Fair Representation Act” recentemente introdotto dal parlamentare Don Beyer, i distretti congressuali avrebbero molteplici rappresentanti, ciascuno eletto tramite l’introduzione di un sistema basato sulle preferenze [“ranked choice voting” nell’originale, NdT]. Il risultato consisterebbe in più Democrats nelle aree rurali, più Repubblicani in quelle urbane, più politici provenienti da altri partiti e una maggiore pressione a collaborare per una legislazione che incida sulle esigenze condivise di tutti i costituenti.
Lo stesso vale per la società civile, che dovrebbe essere il luogo in cui “gli sconosciuti possono incontrarsi e non per estrarre il coltello” come ha scritto lo studioso John Keane. Ciò significa mescolare persone con diversi punti di vista e background culturali in associazioni di volontariato – un’inversione delle ultime tendenze. “Stare spalla a spalla con le persone, andando oltre le reciproche differenze e creando nuove intuizioni e visioni insieme è dove sta il vero potenziale trasformativo“, dicono le attiviste Peroline Ainsworth e Kiran Nihalani sulla base della loro esperienza nelle cooperative femminili nei sobborghi a Sud di Londra.
Anche i social media con intenti sociali possono essere utilizzati in questo modo, anche se non sono mai un sostituto per fare cose insieme, faccia a faccia e mano nella mano. Ad esempio, si visiti l’Echo Chamber Club o l’esperimento di Jeff Rasley su Facebook che ha inventato alcune regole fondamentali per discutere tra i suoi amici pro e anti-Trump. Tra le principali, puoi attaccare un’idea o un politico, ma non puoi attaccare le persone. Non è solo che dobbiamo “ascoltare le storie di ciascuno”; dobbiamo anche condividere gli impegni e le esperienze di ciascuno – per quanto difficile possa essere.
Mentre le nostre differenze politiche affondano in spirali che portano alla guerra tribale, questi esperimenti controculturali saranno sufficienti per riportare maggiore armonia nei nostri rapporti con gli altri? L’armonia è un’idea molto potente, e un’aspirazione comune quando ci discostiamo dagli shock-jocks e dai filtri-bolla che ci spingono nella direzione opposta. Il mio dizionario la definisce come “concordia, accordo, la qualità del formare un insieme piacevole e coerente“.
Amo questa visione, ma l’armonia richiede davvero un accordo? Io non lo credo. Le differenze politiche e culturali stanno durando molto più a lungo di quanto potessi immaginare, apparentemente innestate negli esseri umani e nelle società che questi creano. La differenza è il “nuovo normale”, si potrebbe dire, quindi è fondamentale cercare modelli e relazioni che preservino le differenti convinzioni al contempo negoziando un terreno comune più ampio – un’orchestra che non imponga divieti alle trombe o musica di un unico compositore.
È un compito che sfida molte delle nostre assunzioni sulla politica, sull’attivismo e sulla struttura delle comunicazioni. Ci spinge ad abbandonare la fissazione sull’accumulazione di un potere sufficiente per distruggere definitivamente i nostri nemici, a favore della trasformazione dei rapporti di potere cosicché possano essere create nuove alleanze. La mia ipotesi è che la maggior parte della gente preferirebbe così. Dopo tutto, nelle nostre comunità dobbiamo continuare a vivere con persone con le quali non siamo d’accordo; non possiamo limitarci a trovare modi sempre diversi per odiarle.
Quando raggiungeremo l’armonia? Non quando saranno scomparsi tutti i nostri disaccordi. Sembra un’utopia. Ma non c’è motivo per cui non possiamo unirci agli altri mantenendo alcune delle nostre differenze intatte. In realtà, è questo l’unico modo per sopravvivere.
* Michael Edwards è uno scrittore e attivista che ha lavorato in molteplici fondazioni, think-tank e istituzioni internazionali occupandosi principalmente di società civile, filantropia e trasformazione sociale. Nel 2013 ha lanciato la sezione “Transformation” all’interno della piattaforma online openDemocracy.