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Fondi pensioni e investimenti, la sfida dell’Africa Sub Sahariana

Per combattere povertà e gap sociali in Africa si potrebbe partire dalle pensioni. Fino a solo un decennio fa si calcolava che appena il 10% della popolazione anziana dell’Africa Sub Sahariana avesse accesso a una pensione contributiva. Oggi, la situazione è migliorata ma non di molto, considerato che nella maggior parte dei Paesi, la sola sicurezza di ricevere un trattamento pensionistico è lavorare per il settore pubblico, per grandi aziende oppure essere parte delle classi agiate che possono permettersi uno schema privato. La maggioranza della popolazione vive però del lavoro nel settore informale e dell’agricoltura che – nella maggior parte dei casi – non consente un accumulo di capitali da investire in assicurazioni o contribuzioni volontarie che, nell’Africa Sub Sahariana, sono poco diffuse.

Nel settore informale è impegnata la gran parte della popolazione dell’Africa Sub Sahariana. Per queste persone non esiste pensione, lavorano finché possono, poi devono contare su figli e nipoti. Foto di Antonella Sinopoli

Intanto, se il 40% della popolazione è al di sotto dei 15 anni, cresce anche la popolazione over 60, aumentata del 50% negli ultimi 15 anni. Godere di anni di vita in più rischia però di creare ulteriori problemi alla struttura sociale del continente dove il mutuo aiuto – generato e sostenuto da modelli tradizionali  rimasti in vita – richiede ai figli di non dimenticare i genitori, ma anche ai nonni di non dimenticare i nipoti. Avviene così che in casi dove i genitori non possono occuparsi dei figli perché morti – vedi epidemie di AIDS o Ebola – o perché vivono altrove, o perché non hanno mezzi sufficienti per farlo, a prendersene cura sono i parenti più anziani. Spesso però questa cura può fermarsi ai bisogni primari, cosicché i bambini e ragazzi devono presto smettere di andare a scuola. Cosa che in futuro non farà che aumentare la popolazione di illetterati che non potranno accedere a lavori meglio pagati. E cresce, appunto, la percentuale di giovani che si dedicano a lavori di basso profilo a scopi di sopravvivenza andando ad aumentare i tassi di povertà.

L’ILO ha calcolato che nella regione sub sahariana 64.4 milioni di giovani vivono – facendo piccoli lavori – in condizioni di povertà con un guadagno di meno di 3 dollari al giorno. Questi sono anche i giovani che dovrebbero sostenere gli anziani ma che invece cercano di cavarsela – soprattutto quando mettono su una propria famiglia – o di emigrare.

Un circolo vizioso insomma a cui si sta cercando comunque di mettere fine attraverso riforme o, almeno, dibattiti affinché queste vengano fatte. Una delle ultime analisi è un lavoro del 2015 della World Bank  in cui oltre ad analizzare la situazione, anche dei singoli Paesi, si sollecitano riforme – anche legate alle tassazioni – e nuovi meccanismi di protezione sociale. Intanto, se lo schema del servizio civile – quello che riguarda appunto il settore pubblico – è diffuso in tutti i Paesi, le pensioni di vecchiaia hanno invece una scarsa diffusione. Solo il 3% dei 65enni vi hanno accesso in Burkina Faso, il 9% in Ghana, il 10% in Senegal.

Oltre all’idea e allo schema delle pensioni minime e benefici sociali come l’accesso gratuito alle cure mediche, i cui esempi si trovano in Paesi come il Botswana, la Namibia, il Sud Africa, si sta diffondendo sempre di più la consapevolezza che le pensioni e i contributi sono indispensabili per programmare il futuro. Lo sanno bene le aziende finanziarie e di investimento che da un po’ di anni sono diventate consulenti di Governi e imprese al fine di utilizzare e amministrare i fondi pensione.

Secondo una delle più grandi agenzie che lavorano in questo senso, ci sono circa 350 miliardi di dollari del sistema pensionistico in Africa, il 75% del quale nel solo Sud Africa, pronti ad essere investiti. E di fatto alcuni Paesi stanno già lavorando in questo senso. La Nigeria, per esempio, dove alcune riforme al sistema pensionistico avrebbero permesso un accumulo di 30 miliardi di dollari a partire dal 2006.

Come utilizzare questi capitali?  Educazione e sanità sembrano essere i settori privilegiati, ma si sta diffondendo l’idea di investimenti in altri ambiti che favoriscano lo sviluppo del continente. Uno degli ultimi – e rari esempi  – è dato dalla Tanzania il cui Fondo sociale pubblico ha finanziato la costruzione di un ponte di 680 metri e ne detiene il 60% della proprietà. L’opera – affidata a un’impresa cinese e inaugurata nell’aprile 2016 – comprende sei corsie e due passaggi per pedoni e ciclisti e connette Dar es Salaam e il distretto di Kigamboni. Un esempio che, secondo gli analisti, dovrebbe essere seguito e incrementato dalle altre nazioni africane.

Kigamboni Bridge in Tanzania. Foto dell’utente Miltonisaya pubblicata su Wikipedia con licenza CC

Infrastrutture di questo tipo dovrebbero servire quindi ad accelerare movimenti e scambi e portare la Regione Sub Sahariana a livelli competitivi con il resto del mondo. Ma i piani su cui operare sono diversi e vanno affrontati nella loro complessa unità. Senza lavoro e senza un sistema pensionistico adeguato ai vari settori, compreso e soprattutto quello informale che in Africa ha ancora la parte più massiccia, non c’è accumulo. Settori deboli come l’agricoltura e la pesca, soggetti ai cambiamenti climatici e a imprevisti come siccità o alluvioni, rendono vulnerabili milioni di famiglie che, senza l’accesso a un welfare specifico, sono tagliati fuori anche dai trattamenti pensionistici e possono contribuire ben poco a una politica di risparmio, anche semplicemente aprendo un conto in banca.

È una sfida enorme che, nei prossimi anni, risentirà anche di valutazioni non proprio ottimistiche per il futuro. Dopo la crescita costante dal 2010 al 2014 del Prodotto Interno Lordo dell’Africa Sub Sahariana ci si aspetta un declino, tra l’altro già iniziato nel 2015 con un calo del 3.2%. E il 2016 ha segnato la perfomance peggiore negli ultimi vent’anni con solo l’1.3% di PIL. Colpevoli sono soprattutto il calo dei prezzi dei beni esportati e l’aumento del prezzo del petrolio, ma è significativo che ad essere colpiti meno da questa crisi siano Paesi come l’Etiopia e la Tanzania che – tra le altre cose – hanno investito di più e meglio in infrastrutture.

Investire nelle infrastrutture e negli anziani, elaborando sistemi pensionistici e di tutela sociale adeguati. Questi due fattori non sono affatto scollegati e mostrano, laddove sono applicati, la loro forza e il loro successo, perché entrambi avranno un forte impatto sul futuro.

 

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