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Guerra, armi e tax march, gli USA anti-Trump fanno scudo

L’ultima settimana di Trump è stata caratterizzata da due imprevisti interventi bellici all’estero. Una dimostrazione di forza ai danni della Siria (e della Russia) e poi dell’Isis in Afghanistan. Nel primo caso, dopo aver accusato la Russia di fare da scudo al governo siriano per l’attacco chimico di martedì 4 aprile, c’è stato l’attacco a sorpresa contro le basi siriane con l’arsenale chimico. E ora i rapporti con Putin sarebbero ai minimi storici, manca la fiducia reciproca. Nel secondo caso, è stata sganciata “la madre di tutte le bombe”, l’ordigno più potente a disposizione, se si esclude quello nucleare. Obiettivo una rete di tunnel usati dai jihadisti nella provincia di Nangahar, al confine con il Pakistan (che sembra siano stati finanziati dalla Cia negli anni ’80 contro l’occupazione sovietica).

Mentre vanno susseguendosi le reazioni di ogni tipo in Usa e nel mondo, è diffusa opinione interna – soprattutto sui social media – che entrambe le mosse non siano altro che “armi di distrazione di massa”. Usate cioè per far dimenticare all’opinione pubblica il “Russiagate”, i dissidi istituzionali e i ritardi amministrativi, nonché per risollevare la popolarità di Trump, già al di sotto dei minimi storici (40 per cento, riporta l’ultimo poll di RealClearPolitics). Ciò approfittando del fatto che negli ultimi tempi il ruolo del presidente ha accumulato il potere di avviare interventi militari senza dover attendere o chiedere il nulla osta del Congresso. Senza contare che guerra e armi sono radicati nel Dna storico-culturale del popolo americano.

Forse a preoccupare anche di più sono gli imprevedibili ripensamenti dell’Amministrazione repubblicana. Dopo l’attacco in Siria che ha frantumato il presunto idillio con Putin, analogo il dietro-front nei confronti della Cina, fino all’altro giorno definita “manipolatrice di valuta”. Di tutto pur di ottenere l’aiuto del presidente cinese Xi nel bloccare il programma nucleare nord-coreano. E improvvisamente la Nato non è più “obsoleta”, come dichiarato a gran voce nelle settimane scorse, e anzi potrà contare sul pieno sostegno degli Usa. Sarà basato su queste schizofrenie il futuro internazionale di Trump?

Intanto il fronte d’opposizione non esita a rilanciare gli appelli per ricompattare il movimento pacifista, pur se il compito è tutt’altro che facile. Secondo un’analisi del settimanale The Nation, punto chiave è “l’integrazione tra l’attivismo per la giustizia sociale e quello contro la guerra“:

Gli ultimi mesi ci hanno offerto un’anteprima delle conseguenze che ci aspettano se non riusciremo a catalizzare la rabbia che molti nutrono nei confronti di un impero americano che porta con sé costi terribili a tanti e benefici per pochi. … Il punto è vedere se quanti vogliono un Paese meno brutale e violento, più giusto e solidale sapranno usare immaginazione e rabbia, coraggio ed energia per costruirlo.

Aumentano nel frattempo coloro che storcono il naso finanche nella base elettorale di Trump. Secondo lo zoccolo duro conservatore, non starebbe facendo granché per imporre il programma “America First” e altre promesse che gli avevano garantito forte sostegno durante la campagna elettorale. Secondo Kurt Schlichter, noto commentatore di destra, i “conservatori si fidano assai poco dei politici Repubblicani che spesso li hanno traditi“. E preme sul presidente affinché “prenda azioni immediate, per quanto ridotte, per calmare i suoi sostenitori“. In pratica, come per gli imprevisti voltafaccia a livello internazionale di cui sopra, c’è chi teme lo stesso accada con i punti qualificanti dell’agenda populista vittoriosa lo scorso novembre.

Proseguendo nei tagli ai programmi sociali di base, arriva poi una risoluzione appena firmata dal presidente che consente ai singoli Stati di negare i fondi per Planned Parenthood e altre cliniche che offrono servizi sanitari per le donne a basso costo, pillola e aborto inclusi. Viene così ribaltata la norma a sostegno degli Health and Human Services stabilita da Obama lo scorso anno. Decisione controversa e che non mancherà di suscitare reazioni a tutto campo: pur se al momento se ne parla poco sui media, proprio per via delle manovre belliche, secondo recenti sondaggi 3 su 4 elettori appoggiano i finanziamenti pubblici per Planned Parenthood.

Fervono infine gli ultimi preparativi per la #TaxMarch di sabato 15 aprile: previsti migliaia di manifestanti nell’evento nazionale a Washington, oltre a tanti altri sparsi a livello localeUtile anche il digital supporter toolkit appositamente realizzato: consigli e indicazioni per dare massimo risalto all’attivismo online. Vi si trovano fra l’altro siti e risorse per saperne di più, tweet già pronti da rilanciare e post da piazzare su Facebook.

Obiettivi primari dell’evento sono ovviamente la trasparenza sui conflitti d’interessi di Trump e la diffusione della sua dichiarazione dei redditi – come vorrebbe quasi l’80 per cento degli americani, secondo un recente sondaggio. E tra le varie petizioni in circolazione online, ce n’è anche una che chiede di premere sui parlamentari perché approvino un apposito un disegno di legge fermo in Congresso. Vista la situazione, sembra però impossibile raggiungere questi risultati immediati, ma si tratta comunque di un ulteriore opportunità per avere ampia visibilità da parte del variegato movimento dell’altrAmerica. È anzi il prossimo passo obbligato nei “primi 100 giorni di resistenza”, che si chiuderanno a fine aprile in concomitanza con i primi 100 giorni dell’era Trump.

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