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Marijuana, in Africa la sostanza stupefacente dei poveri

[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Lasana Gberie pubblicato su Pambazuka News]


Marijuana, foto Flickr dell'utente Global Panorama, licenza CC.

UNGASS 2016, meeting di tre giorni dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite che si terrà nel mese di aprile, è l’evento più atteso nella storia delle Convenzioni internazionali in materia di sistemi di controllo delle sostanze stupefacenti, soprattutto perché ha attirato il forte interesse della società civile. Per la prima volta, sembra che un enorme numero di persone si sia coalizzato per promuovere un cambiamento radicale dell’attuale approccio repressivo alle droghe, cosicché saranno affrontati maggiormente i problemi della salute pubblica rispetto agli aspetti sanzionatori.

Potrebbe sembrare una richiesta semplice, ragionevole e non controversa, quando in realtà non lo è affatto. Una riforma della politica sulle sostanze stupefacenti, come qualsiasi altro processo di riforma, è sostenuta dai propri promotori che esaltano i benefici che tale riforma comporterà, ma esistono anche i contrari che temono le insidie dovute al cambiamento. Tali soggetti sono principalmente coloro che hanno investito molto nell’affermazione dello status quo, sostenendo che forse l’approccio proibizionista alle droghe può non essere perfetto, ma è sicuramente meglio che far cadere le barriere, come proposto dalla riforma.

Sfortunatamente, sembra che la bilancia propenda per quest’ultimo approccio. Per questo motivo, UNGASS 2016 potrebbe rivelarsi una delusione. L’anno scorso, per i negoziati è stato creato un documento preliminare – “un documento conclusivo breve, sostanziale, conciso e proattivo che comprende una serie di raccomandazioni concrete”. E un documento conclusivo finale, formulato recentemente, dovrà essere approvato dall’Assemblea Generale nel mese di aprile. I contorni dell’accordo finale si stanno delineando: l’aspettativa della società civile e di alcune nazioni che UNGASS possa prendere in considerazione una riforma del quadro giuridico per il sistema di controllo delle droghe, in modo che le nazioni possano essere incoraggiate a evitare l’attuale concentrazione sulla giustizia penale a favore di un’attenzione più orientata alla salute pubblica, potrebbe essere delusa, secondo un nuovo rapporto dell’Università delle Nazioni Unite intitolato “What Comes After the War on Drugs?” (“Cosa avverrà dopo la guerra alle sostanze stupefacenti?” NdT).

Secondo tale rapporto, gli Stati membri vogliono riconfermare il sistema di controllo sulle droghe esistente (proibizionista), unitamente a una richiesta di flessibilità per la relativa attuazione. Tuttavia, tale flessibilità può rappresentare una lama a doppio taglio, cioè per alcune nazioni potrebbe significare un approccio più “umano” verso l’attuazione del sistema di controllo sugli stupefacenti esistente, mentre per altre “la considerazione dell’accordo sulla flessibilità come una risposta che accetta le richieste di rispettare la sovranità dello Stato nell’attuazione di una politica nazionale sulle droghe, compreso l’utilizzo di un approccio repressivo,” si afferma nel rapporto.

Infatti, secondo chi scrive, è improbabile che nel documento conclusivo finale si parlerà di ‘harm reduction‘ [riduzione del danno] – una sorta di feticcio tra i sostenitori della riforma, ma che secondo alcuni governi non solo incoraggerà ma legittimerà la dipendenza dalla droga. Ciò è dovuto principalmente dal rifiuto della Russia. Potrebbe essere suggerita una depenalizzazione della marijuana, collegata però a molti requisiti.

Il che rappresenterebbe una specie di vittoria, sebbene i sostenitori della riforma considerino la depenalizzazione della marijuana un piccolo traguardo: molte persone, incluso me stesso, farebbero tutto il necessario per legalizzarla. Ciononostante, qualsiasi cosa sia affermata nel documento conclusivo, rimane il problema della sua attuazione – che comporterebbe la modifica di politiche, leggi e sistemi burocratici consolidati. Un problema che la società civile deve affrontare al di là di UNGASS.

Questa è l’osservazione che ho fatto quando ho avuto l’opportunità, negli ultimi sei mesi in cui ho lavorato con l’organizzazione Open Society Initiative for West Africa (OSIWA), come consulente riguardo ad UNGASS. Il dibattito riguardo alla riforma della politica sulle droghe è una novità in Africa Occidentale, e spesso è affrontata con perplessità dai funzionari. I funzionari riconoscono che il traffico e il consumo di droghe rappresentano un problema crescente – sebbene in alcune nazioni ci sia un atteggiamento difensivo quando vengono sollevate tali questioni. Il fatto è che alcuni dei timori peggiori – inizialmente alimentati dai funzionari delle Nazioni Unite (dal 2005) – riguardo alla scalata dei signori della droga nella regione che la trasformerebbero in un’area di narcotraffico, sono lontani dal divenire realtà, nonostante la terribile esperienza della Guinea-Bissau.

Nessun funzionario della regione si permette di affermare che l’Africa Occidentale sia solamente un punto di transito per le droghe: i responsabili della politica sono concordi sul fatto che le droghe, come la cocaina e l’eroina, vengono sempre più consumate nella regione. Affermano tuttavia che, dato che tali sostanze non sono prodotte nell’Africa Occidentale, gli sforzi devono essere incentrati sulla prevenzione del loro ingresso nella regione, che siano poi spedite in Europa e in Nord America, oppure consumate. Se si parla di una questione importante come la ‘riduzione del danno’, la risposta istintiva di molti funzionari è quella di affermare che nel contesto dell’Africa Occidentale, la priorità è quella di ridurre l’offerta.

Secondo i funzionari, il problema è quello di garantire che le droghe non arrivino nelle loro nazioni, generalmente minimizzando il fatto che alcune nazioni dell’Africa Occidentale sono note per la produzione e l’esportazione (principalmente dal Sud Est Asiatico) di stimolanti anfetaminici simili (amphetamine-type stimulants, ATS), e che ciò ha scatenato l’utilizzo e la dipendenza da tali sostanze specialmente tra i giovani. I funzionari affermano che tali imprese sono semplici da individuare, isolare e distruggere – prova del fatto che non sono molto diffuse nella regione.

Ciò che questo tipo di approccio non spiega è il motivo per cui il consumo di qualsiasi tipo di droghe sembra essere in aumento, nonostante le politiche repressive e le centinaia di persone che vengono incarcerate ogni anno.

I funzionari dell’Africa Occidentale spesso evitano di parlare delle esperienze di altre regioni riguardo alla politica sulle droghe. Non ho mai incontrato un solo funzionario che abbia seriamente timore che le devastazioni della guerra globale alla droga in America Latina possano accadere anche nell’Africa Occidentale, oppure che gli esperimenti relativi alla ‘riduzione del danno’ in Portogallo (oppure la legalizzazione controllata della marijuana in Olanda) siano accettabili anche per le nazioni dell’Africa Occidentale. Affermano che il nostro contesto culturale ed economico è diverso. E quando si parla di guerra alla droga, l’immagine evocata è quella di soldati incappucciati e armati che presiedono gli inceneritori della droga, oppure che combattono i cartelli in Messico o in Colombia. In realtà vengono effettuati raid simili, sebbene in maniera meno drastica, da parte degli agenti per la sicurezza in tutta l’Africa Occidentale – come conseguenza delle politiche contro le droghe adottate dalla metà degli anni 2000 in reazione ad alcune intercettazioni del transito di cocaina per l’Europa dall’America Latina. Tuttavia, gli obiettivi di questi raid non sono i “boss” ma soprattutto giovani poveri che fumano o vendono marijuana, o altre sostanze stupefacenti, nei propri ghetti e nelle proprie case. Centinaia di questi giovani restano in carcere per mesi senza processo, a volte per anni – una grande farsa e una violazione, nonché una perdita per le nazioni che perpetrano tale violenza.

La marijuana è una droga molto comune nell’Africa Occidentale e rimane una delle droghe più utilizzate dai giovani e dai poveri della regione – come lo è del resto per i 250 milioni di persone nel mondo che fanno uso di droga, e rappresenta circa la metà dei 300 miliardi di dollari del mercato illegale di stupefacenti globale. La legalizzazione della marijuana nell’Africa Occidentale costituirebbe uno stimolo economico per chi la coltiva, nonché la possibilità di utilizzare diversamente le risorse delle forze dell’ordine attualmente incentrate sulla soppressione della produzione, della vendita e del consumo di tale droga. Il governo continuerebbe tuttavia ad avere un ruolo importante, come nei casi delle sigarette e dell’alcool, nella tassazione e nella garanzia che la marijuana non sia pubblicizzata o commercializzata per i bambini.

É interessante come i leader africani sembrino capire i problemi associati alle politiche repressive nei confronti delle sostanze stupefacenti. L’Unione Africana, con la “Common African Position on UNGASS 2016” [“Posizione comune riguardo all’UNGASS 2016”, NdT], concordata nell’aprile del 2015 a Addis Abeba, è esplicita. Tale resoconto afferma che le politiche sulla droga che si incentrano, in modo completo o sproporzionato, sull’applicazione delle leggi, sull’incarcerazione, sulle pene e sulla repressione non sono riuscite a eliminare l’offerta, la richiesta e i danni causati dalle droghe illecite nel continente. Al contrario, tali politiche “hanno comportato conseguenze impreviste e un impatto sproporzionato sui poveri e gli emarginati, al contempo creando un mercato illegale ricco e potente che indebolisce la sicurezza degli Stati.” Perciò, l’obiettivo fondamentale di tali politiche “dovrebbe essere quello di migliorare la salute, la sicurezza e il benessere socio-economico delle persone riducendo l’utilizzo, i pericoli correlati alla droga, il traffico illecito e crimini associati.”

Questa posizione è stata appoggiata da tutti gli Stati dell’Africa Occidentale. Tuttavia, come succede spesso, non sono presenti tentativi per integrare questa posizione progressista nelle politiche degli Stati, comprese le legislazioni e i programmi sanitari: solamente il Senegal ha un programma per la riduzione dei pericoli, anche se rudimentale.

In altre parole, siamo di fronte a un passo importante per chi è a favore una riforma della politica sulle droghe: fare in modo che il proprio governo ponga la Common African Position dell’Unione Africana alla base delle proprie politiche nazionali riguardo agli stupefacenti, ed è molto probabile che questo rappresenterà la sfida successiva ad UNGASS 2016.

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