[Traduzione a cura di Daniela Versace dall’articolo originale di Martin Kirk e Joe Brewer pubblicato su Think Africa Press]
Proprio in questo periodo è in corso un processo lungo e complicato per sostituire gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (c.d. MDGs ovvero Millenium Development Goals) che scadono nel 2015, con i nuovi Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (c.d. SDGs Sustainable Development Goals). Questi fisseranno i parametri per uno sviluppo internazionale. Questi parametri saranno l’obiettivo che ogni Governo, Agenzia delle Nazioni Unite, grandi Corporazioni, Organizzazioni non governative e anche i miliardi di cittadini di tutto il pianeta, dovranno perseguire per i prossimi quindici anni.
Essere giudicati in base a quanto si produce rappresenta un problema che può essere descritto con un vecchio aneddoto: c’è un uomo che guida in aperta campagna cercando di individuare la città più vicina. Si accorge di essersi perso e chiede la direzione ad una donna ferma sul ciglio della strada. Questa grattandosi la testa dice: “Beh, non comincerei da qui”.
La migliore prova del punto di partenza degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile è rappresentata dalla versione preliminare (c.d. Zero Draft), rilasciata il 3 giugno e attualmente al vaglio di consultazioni più vaste.
Ciò che si nota prima di tutto sono le grandi differenze con gli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. La più evidente è che mentre con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile si suggerisce la possibilità di porre fine alla povertà entro i prossimi quindici anni, con gli Obiettivi del Millennio ci si poneva l’obiettivo di dimezzarla. La conclusione sarebbe che abbiamo fatto grandi progressi e che siamo in dirittura di arrivo. Poi si nota che con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile ci si pone in maniera più seria il problema del cambiamento climatico. Questo rappresenta il più grande cambio di paradigma che in più va direttamente al cuore del problema: le abitudini di produzione e consumo. Impressionante.
Inoltre, la riduzione delle diseguaglianze “nei e tra” i Paesi rappresenta un obiettivo a sè stante. Il che suggerisce un altro cambio di paradigma peraltro controverso in quanto apre la porta, giusto uno spiraglio, all’idea che i più ricchi mettano a disposizione dei più poveri un ammontare considerevole delle proprie ricchezze.
Di questi tre obiettivi è quasi sicuro che due scompariranno prima che il processo si concluda. Di sicuro i Governi ricchi e le Corporazioni non consentiranno sfide significative ai percorsi di produzione e consumo, ovvero un’attenzione sulla riduzione delle diseguaglianze. Questo è un dato di fatto.
Ad ogni modo, nel documento preliminare si riscontra un problema ancora più importante, che consiste nel fatto che il punto di partenza della questione è formulato davvero male. Lo verifichiamo analizzando il linguaggio che è un codice che contiene molto più di un mero significato letterale. Un’analisi semantica dei passaggi che compongono il documento preliminare fa emergere la logica su cui esso è costruito.
Analizziamo il paragrafo iniziale:
“Debellare la povertà è la più grande sfida globale che oggi il mondo deve affrontare e il requisito fondamentale per uno sviluppo sostenibile. Siamo fermamente convinti di riuscire liberare l’umanità dalla fame e dalla povertà al più presto“.
La povertà può essere concettualizzata in molti modi e in questo passaggio essa è presentata sia come una malattia che può essere prevenuta (debellarla) e sia come una prigione (liberare l’umanità da). In entrambi i casi, il passaggio rivela il punto di vista di chi l’ha scritto, cosciente o meno, della causalità. Le malattie sono parte del mondo naturale, così considerare la povertà una malattia suggerisce che nessuno può essere condannato per averla provocata. Al contempo, la logica della prigione è questa: vi si rinchiudono persone che hanno commesso un crimine. Così, la precedente espressione nega che le azioni umane possano essere causa di ineguaglianza e povertà, l’ultima, invece, invoca l’idea che la povertà sia uno sbaglio, un crimine, dei poveri.
Si noti ancora l’affermazione: “la più grande sfida globale“. Questa sottolinea la logica per cui vi è una gerarchia dei problemi individuali basati su una importanza relativa, con la povertà messa in cima. La verità è che l’umanità deve avere a che fare con una convergenza di grandi crisi, tutte interconnesse profondamente. Ad esempio sono fortemente correlati tra loro: la corruzione dei Governi, la destabilizzazione ecologica, i debiti strutturali, un iper consumismo che dall’Occidente si è rapidamente diffuso all’Oriente e nel Sud del mondo. Ma etichettare la povertà come “la più grande sfida globale” maschera la rete dei sistemi interconnessi e non la rende passibile, appunto, di essere presa in considerazione.
Il risultato: non si può pervenire ad una soluzione sistematica partendo da una logica che nega una correlazione sistematica dei problemi.
C’è una buona ragione in tutto ciò: proteggere lo status quo. Questa logica convalida il sistema corrente e il potere costituito non considerandoli colpevoli. Anzi affermando che bisogna, anzi si deve, continuare a fare come si è sempre fatto.
Non si può tacere che dal 1990 (l’anno degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio) ad oggi alcuni progressi eccellenti sono stati fatti, ma non c’è nemmeno bisogno di negare che al tempo si registrava un aumento della ricchezza del 66%, che il rapporto tra le entrate medie del 5% dei ricchi ed il 20% dei poveri è cresciuto dal 202:1 a 275:1, e che la realtà mascherata da questi dati è che 1/3 delle morti che si sono registrate dal 1990 sono legate alla povertà.
Sulla base delle cifre delle Nazioni Unite, questo è il doppio delle morti causate dalla Seconda Guerra Mondiale, dal Grande Balzo in avanti di Mao, dalle persecuzioni di Stalin, e di tutte le morti militari e civili causate dalla guerra in Corea, Vietnam, Afganistan e Iraq.
C’è di più, non solo stiamo assistendo a circa quattrocentomila morti l’anno a causa del cambiamento climatico, ma ogni anno immettiamo nell’atmosfera il 61% di gas serra in più rispetto al 1990.
Il punto è questo, alla luce della logica che emerge dal linguaggio. E abbiamo menzionato solo due dei possibili esempi che confermano ciò, ogni esaltazione degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile che abbiamo sentito nell’ultimo anno deve essere vista come un consolidamento della logica che quello stesso linguaggio contiene.
Per contrastare realmente la povertà, l’ineguaglianza e il cambiamento climatico, dovremmo sostituire quella logica con una che accetti il fatto che tali problemi sono il risultato delle azioni umane. E che il fatto di vivere in povertà non deve suscitare commenti, relativi a persone o popolazioni, diversi dalla semplice constatazione del loro vivere in povertà. Questo porterebbe a un tipo e un grado di cambiamento totale del senso comune. Ad esempio, si considererebbe ovvio tassare all’origine le emissioni di carbone e applicare sanzioni contro coloro che sono responsabili di accumulare circa ventisei trilioni di dollari nei paradisi fiscali. Si emanerebbero leggi che diano alle autorità locali il potere di revocare i permessi alle società per danni provocati alle persone e all’ambiente.
Ed ecco la grande questione: il denaro. Per quanto possa sembrare ridicolo, consentiamo alle banche private di controllare la fornitura dei dollari americani, degli euro e delle altre principali monete che accrescono l’economia globale. Queste banche fanno pagare a tutti, inclusi i Governi, gli interessi su ogni banconota, così da garantire un gettito continuo di denaro nelle loro casse, insieme ad un immenso potere. Ma sfortunatamente nessuno di questi temi finirà negli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, in quanto contraddicono l’attuale logica dominante e inoltre comperterebbero la ridistribuzione equa del potere e della ricchezza.
Quando consentiamo di farci coinvolgere da quei processi in cui, ormai lo sappiamo, sono collocati gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile, non facciamo che peggiorare i problemi. Ogni briciola di credibilità attribuita ad ogni singolo passaggio non fa altro che allontanare il centro del dibattito da dove dovrebbe essere. Solo quando le Nazioni Unite useranno i loro poteri, risorse e privilegi, per promuovere politiche basate sui suoi più alti ideali, potremo essere d’aiuto, a ciascuno di noi e al mondo intero, spostando la nostra attenzione per cercare nuove forme di cambiamento.