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Parlare di povertà, progetto d’inclusione tra il Ghana e l’Italia

Non avrei mai immaginato, qualche anno fa, di fare della povertà un argomento di riflessione. Di “utilizzare” la povertà per pensare e far pensare. Per discutere su cosa vuol dire, chi la vive, come si “calcola”. E di farlo non solo per me stessa, ma con ragazzi giovanissimi. E attraverso ragazzi giovanissimi. Diverse le loro storie, le loro vite, i continenti in cui vivono. Eppure sento che sto creando dei legami, che – se anche adesso i ragazzi in questione forse non lo sanno – avranno degli sviluppi. Sia nella crescita dei giovani coinvolti, sia nel loro modo di pensare.

Questo è almeno quanto Ashanti Development Italia e Voci Globali si augurano. E questo è il motivo che ci ha spinti ad elaborare un progetto sulla percezione della povertà. Per cominciare il progetto ha riguardato 65 ragazzi tra i 13 e ai 18 anni di quattri villaggi della Regione Ashanti del Ghana che frequentano la Junior High School. A loro, lo scorso mese di giugno, è stato consegnato un questionario, le domande erano del genere: chi è una persona povera? Elenca tre cose che ti fanno capire che la persona che hai di fronte è povera; i tuoi sono poveri, se sì perché li consideri poveri? I poveri come si guadagnano da vivere per sopravvivere? Ci sono poveri nella tua classe?

Sui 65 ragazzi – 30 femmine e 35 maschi – 58 hanno detto che nella loro classe ci sono ragazzi poveri e solo 7 hanno risposto no. I poveri sono: “chi non ha soldi, cibo, vestiti. Chi non può provvedere a sé e alla propria famiglia, chi tenta di rubare per sopravvivere“. E ancora: “è qualcuno che possiede una sola maglietta, ha capelli spettinati e ha sempre un’aria molto triste“… “Una persona che deve raccogliere la legna nel bosco o l’acqua del ruscello o  trasportare pesi ai mercati per gli altri per guadagnare dei soldi. Una persona che vive in una povera capanna, circondata da sporco, che cresce male e debole, non trova soldi o vestiti per i propri bambini e gli utensili di casa sono sporchi“… “le femmine diventano ragazze madri, quello che mangiano non va bene (riferendosi alla scarso apporto di proteine e vitamine. Interessante è notare che alcuni citano esplicitamente malattie come il rachitismo oppure il marasma infantile, o “kwashiorkor” n.d.r) e “si mettono di fronte alle persone che mangiano perché hanno fame“.

In Ghana il reddito medio è pari a 1,67 dollari al giorno (fonte FMI) e nonostante sia il Paese cresciuto di più negli ultimi anni –  nel 2012 la crescita è stata pari all’7.5% grazie anche all’estrazione del petrolio e ai tradizionali oro e cacao – il livello di indigenza è ancora altissimo. Soprattutto nelle zone interne e nei villaggi. E gli squilibri, dunque, sono troppo forti.

Ai ragazzi che hanno risposto al questionario sono poi state date macchine fotografiche compatte digitali con la consegna: ora fotografa quello che per te rappresenta la povertà. Questo il risultato del loro lavoro.

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Si tratta, inutile dirlo, delle loro case, dei loro familiari, dei loro parenti o vicini… semplicemente è la loro realtà.

Tutto questo – e altro materiale – è diventato oggetto di un seminario dal titolo “Povertà reale, povertà apparente. Esperienze dall’Africa” che Ashanti Development e Voci Globali propongono nell’ultima classe delle elementari e nelle scuola medie. Abbiamo cominciato con una scuola “di frontiera”, la scuola media di Monghidoro. Paese dell’Appenino, ultimo Comune emiliano prima del confine con la Toscana, Monghidoro per anni ha avuto il primato regionale della popolazione straniera residente,anche se negli anni questa è diminuita in maniera notevole (-3,4%). Resta comunque alto il numero di stranieri e soprattutto quello dei ragazzi nati in Italia da genitori stranieri. Un’integrazione a volte difficile e sofferta ma, comunque, inevitabile.

I risultati della partecipazione al seminario (107 ragazzi) sono stati incredibili. Partecipazione, domande, interazione: sono le caratteristiche degli incontri che durano l’intera giornata scolastica, dalle 8,30 alle 16 circa. Si mostrano video, si fanno giochi, si scrive, si disegna, si discute. E si scopre che sulla povertà non c’è solo da dire, ma da imparare. E chi impara di più forse sono io, da quel ragazzo di prima – ad esempio – che scrive: “la povertà non è una malattia” o dall’altra che definisce “cuore bianco” quello di chi realizza progetti in Africa o dovunque la povertà sia estrema. O da chi – nel gioco/riflessione dei desideri dice: non desidero niente, ho già tutto quello che mi serve, mentre il compagno vicino aveva appena detto: vorrei un Iphone 5 perché ho solo un Nokia. E un altro, invece: desidero diventare un agricoltore. E quando domandiamo: siete d’accordo che la povertà è mancanza di libertà? Perché? – c’è chi risponde: perché la libertà si ottiene se si è felici e loro non riescono ad esserlo perché sono poveri…

Noi cerchiamo di non dare giudizi, ma parliamo e raccogliamo materiale. Si tratta di materiale prezioso. Da una parte e dall’altra. E sappiamo che, anche noi adulti, da questa esperienza continueremo ad imparare.

 

 

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