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Palestina, il primo passo per il riconoscimento

L’adesione a pieno titolo nell’UNESCO (United Nations Educational, Scientific and Cultural Organization) è stata approvata lo scorso 31 ottobre a Parigi dall’Assemblea Generale con 107 favorevoli, 52 astenuti e 14 contrari. Di certo, è impossibile trovare la Palestina sulle cartine geografiche, i suoi confini sono labili, reclamati e assediati ma, finalmente, si è compiuto il primo passo verso il riconoscimento dello Stato Palestinese.

Tra gli Stati storicamente ostili, non s’è fatta attendere la dura reazione di Israele e Stati Uniti. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha minacciato l’”annessione unilaterale di una parte dei territori occupati e la costruzione di nuovi insediamenti israeliani”, ritenendo inaccettabile l’ammissione della Palestina; mentre la portavoce del Dipartimento di Stato Americano, Victoria Nuland, stigmatizzando il risultato del voto, ha dichiarato lo “stop dei finanziamenti all’UNESCO”.

Questa controversa vicenda rappresenta soltanto l’inizio di un processo lungo e tortuoso. Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, con sede a New York, dovrà pronunciarsi a breve sulla richiesta di adesione presentata dall’Autorità Nazionale Palestinese. In quella sede basterà l’esercizio del diritto di veto di uno solo dei cinque membri permanenti per bloccare la richiesta. E gli Stati Uniti, minacciando il blocco dei finanziamenti, non hanno nascosto di certo le loro intenzioni. L’istanza palestinese potrebbe essere poi nuovamente presentata all’ Assemblea Generale, che sarà chiamata a decidere con la maggioranza dei due terzi, ma soltanto per promuovere la Palestina dall’attuale condizione di “entità osservatrice” a quella di “Stato non membro”. L’atteggiamento ostruzionista, quindi, proseguirà la sua corsa. Ma i vantaggi acquisiti dalla Palestina rappresentano senza dubbio un punto di svolta negli equilibri politici. Potrà finalmente aver accesso alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja e alla Corte Penale Internazionale al fine di denunciare le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla forza occupante Israeliana ai danni della popolazione civile.

Nuovi diritti per il popolo palestinese grazie all'ingresso nell'Unesco. Foto dell'utente Flickr Diego.78, rilasciata in licenza CC

Lo storico Goldstone Report (2009), approvato dal Consiglio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, redatto a seguito della cessazione delle ostilità nella Striscia di Gaza, accertò numerose violazioni del diritto internazionale umanitario commesse dalle parti contendenti prima, durante e dopo le operazioni belliche. In quell’occasione, a causa dell’assenza di un riconoscimento formale, venne a crearsi un’area d’impunità giuridica in cui le vittime palestinesi non fruirono di un’adeguata tutela, nonostante le incontrovertibili risultanze del rapporto. L’offensiva militare, durata in totale 23 giorni, si concluse con un bilancio di circa 1.400 vittime. I bambini deceduti furono 313. L’elevato numero di morti civili e le modalità di conduzione delle ostilità, compreso il probabile utilizzo di munizioni al fosforo bianco, rafforzarono il sospetto che la popolazione fosse stata intenzionalmente oggetto di attacchi indiscriminati da parte delle forze armate israeliane. L’annessione della Palestina all’UNESCO, pertanto, potrebbe rappresentare il segnale del cambiamento, del riscatto, il passaggio dall’isolamento alla partecipazione attiva.

Lo scorso 13 settembre a New York, nell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è stato presentato il ReportSpecial Committee to Investigate Israeli Practices Affecting the Human Rights of the Palestinan people and other Arabs of the Occupied Territories”. Lo Special Committee, uno dei più longevi comitati ONU istituito nel 1968 e, peraltro, mai riconosciuto dalle autorità israeliane fin dalla sua creazione, ha accertato numerose violazioni della IV Convenzione di Ginevra, relativa alla protezione dei civili in tempo di guerra, commesse da Israele nei territori occupati, asserendo che “il blocco da parte di Israele, in vigore da oltre 4 anni, continua a punire collettivamente la popolazione civile, senza peraltro minare le autorità di Gaza o aumentare la sicurezza di Israele”. Inoltre, il regime di restrizioni ad esso associato, nega il flusso di beni essenziali e medicinali in violazione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite (1860/2009).

Ragazzi palestinesi lottano per il futuro. Foto dell'utente Flickr Michael Loadenthal, rilasciata in Licenza CC

L’imposizione israeliana delle “buffer-zone“, zone-cuscinetto lungo il confine con i propri territori, ha sottratto alla destinazione agricola circa il 35% del territorio coltivabile di Gaza, ostacolando, in tal modo,ogni occasione di lavoro e sviluppo. E l’arbitrario accerchiamento della popolazione non ha risparmiato nemmeno le acque territoriali. Il governo Israeliano, oltre ad aver ridotto, con decisione unilaterale, da 20 miglia (ex Accordi di Oslo) a 3 miglia nautiche l’estensione dell’area di pesca, si sarebbe reso responsabile nei pattugliamenti a difesa del blocco navale dell’uccisione di alcuni pescatori, oltre al sequestro di numerose imbarcazioni, così come accertato da filmati e testimonianze dirette di numerosi attivisti dell’International Solidarity Movement. Sempre secondo il rapporto dello Special Committee, oltre 90.000 palestinesi non hanno più un posto di lavoro, la disoccupazione ha raggiunto un picco del 40%. Oggi il 38% delle famiglie è vittima di insicurezza alimentare e il 70% del totale della popolazione (circa 1,1 milione di persone) dipende dagli aiuti umanitari. Le conseguenze sulla popolazione, pertanto, sono allarmanti e ben documentate in svariati rapporti e studi delle Nazioni Unite e delle agenzie umanitarie internazionali.

La comunità palestinese, d’ora in avanti, potrà disporre di tutti gli strumenti giuridici per tutelare il proprio patrimonio culturale e preservare il rispetto dei diritti umani, troppo spesso oltraggiati da logiche di potere. L’emarginazione di un popolo è semplicemente una prigione costruita per giustificare le guerre, genera isolamento e conduce alla divisione. Finalmente, si è tracciata la strada verso l’integrazione, si è compiuto un passo in avanti verso la convivenza, si è intrapreso il cammino per l’aggiramento culturale dei conflitti. E in tal senso si è espressa la scrittrice e intellettuale palestinese Suad Amiry, membro dal 1991 al 1993 della delegazione palestinese nei negoziati di pace: “La cultura è speranza. E per chi vive qui, la disperazione è tutto. Questo voto dice che la Palestina è stata accettata dal Mondo”. E con fierezza ha aggiunto: “Adesso la Palestina è sulla mappa, almeno su quella culturale”.

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