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Libia in un limbo, secondo esperti il voto non risolverà l’instabilità

In Libia lo stallo politico non trova ancora soluzione. Dal rovesciamento del regime di Gheddafi nel 2011, la nazione è rimasta bloccata in un vuoto di governance, con servizi pubblici in costante disintegrazione e sistematiche violazioni del diritto umanitario internazionale. I gruppi terroristici e le milizie armate hanno sfruttato i disordini e utilizzato il Paese come base per la radicalizzazione e la criminalità organizzata. Finora, il conflitto prima e la crisi endemica poi hanno sfidato qualsiasi tentativo di sforzo nazionale e internazionale per trovare una soluzione politica.

Le elezioni libiche previste inizialmente per dicembre 2021 sono state rinviate senza una data certa e questo non ha fatto altro che esacerbare lo scontro per la leadership. Il 2022 è stato cruciale proprio per il radicamento della lotta di potere, che di fatto ha allontanato ogni possibile spiraglio di un accordo preparatorio alla tornata elettorale.

Attualmente, confusione politica e frustrazione sociale dominano la scena interna. Il Paese è drammaticamente diviso: da una parte c’è il Primo ministro in carica Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, eletto nel febbraio 2021 a capo del Governo di Unità Nazionale (GNU) e riconosciuto dalle Nazioni Unite. Dall’altra, l’ex ministro dell’Interno Fathi Bashagha, eletto Primo ministro dalla Camera dei Rappresentanti (HoR) – l’istituzione libica con sede a Tobruk, che governa la Libia orientale e che ha approvato una mozione di sfiducia contro il Governo di Unità Nazionale – nel febbraio 2022, con l’appoggio dell’esercito nazionale libico e del generale Haftar. 

Il 2022 è stato particolarmente complesso. Il Paese ha vissuto momenti di alta tensione ad agosto. Bashagha ha dichiarato la sua intenzione di entrare nella capitale per rilevare le redini del Governo e ha invitato Dbeibeh a garantire il trasferimento pacifico del potere. In risposta, il GNU ha dichiarato lo stato di emergenza a Tripoli e ha mobilitato le forze armate per difendere la città. Gruppi armati rivali si sono però scontrati e hanno costretto i sostenitori di Bashagha a ritirarsi.

Abdul Hamid Mohammed Dbeibeh, Primo ministro ad interim da marzo 2021, nominato attraverso il Forum di dialogo politico libico- Foto da video di Africanews

Per cercare di sedare uno stato latente di guerriglia e di grave insicurezza e per tentare di dare una speranza di futuro unitario, il 2 settembre 2022 Abdoulaye Bathily è stato nominato Rappresentante speciale del Segretario generale delle Nazioni Unite per la Libia. Nonostante i suoi sforzi per sbloccare l’impasse, la nazione non è riuscita ancora a concordare un nuovo quadro costituzionale o una nuova data per le elezioni. Non solo, sempre nel 2022 la popolazione ha espresso malcontento scendendo in piazza per protestare contro condizioni economiche insostenibili.

Il 2023 è quindi iniziato con l’auspicio di trovare finalmente una strada condivisa verso le elezioni, mentre la popolazione sembra ormai frustrata da una lacerazione che appare insanabile. Nel comunicato ONU del 27 febbraio scorso, a margine della riunione del Consiglio di Sicurezza, si legge che la popolazione è scoraggiata dalla mancanza di progressi politici e impaziente di vedere un cambiamento.

Abdoulaye Bathily, a capo della missione di sostegno delle Nazioni Unite in Libia (UNSMIL), ha affermato che i libici hanno commemorato l’anniversario della rivolta del 2011 contro Muammar Gheddafi esprimendo la loro determinazione a raggiungere un futuro migliore e rinnovando le loro richieste di pace e stabilità a lungo termine. “Il processo politico rimane lungo e non è all’altezza delle aspirazioni dei libici, che cercano di eleggere i loro leader e rinvigorire le loro istituzioni politiche. La popolazione è impaziente e molti mettono in dubbio la volontà e il desiderio degli attori politici di tenere elezioni presidenziali e legislative inclusive e trasparenti nel 2023, come previsto”, ha detto.

Thomas Hill, esperto di Nord Africa per l’Istituto per la Pace negli Stati Uniti, ha osservato:

Il Paese è ormai da quasi 10 anni in questo conflitto violento e sospetto che l’interesse pubblico nel processo democratico stia perdendo, se non l’ha già perso, slancio. Un altro fallimento non fa che aumentare la probabilità che i libici si rassegnino alla convinzione che solo un ‘uomo forte’, capace di imporre la pace attraverso la forza militare, sia la via da seguire.

Mentre, quindi, si cerca allontanare lo spettro di una nuova guerra civile, piccoli passi in avanti sono stati compiuti. Il rappresentante speciale ONU per la Libia l’11 marzo scorso ha dichiarato che gli organi legislativi, la Camera dei Rappresentanti (HoR) e l’Alto Consiglio di Stato (HSC), hanno concordato di formare un comitato misto di sei membri ciascuno per redigere leggi elettorali. Ha anche affermato che le elezioni presidenziali e legislative potrebbero tenersi entro la fine dell’anno se, per il mese di giugno prossimo, saranno in vigore una chiara tabella di marcia e leggi elettorali.

Fathi Bashagha, Primo Ministro eletto dal Parlamento con sede a Tobruk. Foto da video di Euronews

Non solo, il 16 marzo scorso Bathily ha ospitato la riunione della Commissione militare mista 5+5 (JMC) – che riunisce rappresentanti delle forze armate della Libia orientale e occidentale – nella capitale tunisina per discutere la via da seguire nel percorso di sicurezza e di riunificazione delle istituzioni militari.

I leader militari dell’Esercito nazionale libico (LNA) con sede a Est e della coalizione militare con sede a Tripoli, inclusi alcuni membri del JMC, si sono quindi incontrati il ​​26 marzo a Tripoli sotto gli auspici delle Nazioni Unite per lavorare all’unificazione delle forze armate.

Le tessere del mosaico da ricomporre sono davvero tante. Alcuni esperti di questa area geografica hanno avvertito che “l’ossessione” della comunità internazionale per le elezioni potrebbe essere fuorviante, poiché il voto non risolverà del tutto l’instabilità politica e altri problemi endemici come la corruzione radicata e il malessere economico.

La nazione del Nord Africa si è di fatto trasformata in un pantano politico e ha lasciato la sua popolazione di quasi 7 milioni con poche speranze e in balia di ambizioni di dominio di attori internazionali. Uno stuolo di potenze rivali in lizza per l’influenza all’interno della Libia, tra cui Russia, Turchia, Egitto, Emirati Arabi Uniti (EAU) e i principali Paesi europei, ha esacerbato l’instabilità ed è servito a prolungare la crisi. Gli Emirati Arabi Uniti e la Russia, per esempio, sostengono l’esercito nazionale libico di Haftar nel conflitto, mentre la Turchia è intervenuta a sostegno del Governo riconosciuto dalle Nazioni Unite.

Mosca ha mantenuto un’impronta militare nella nazione attraverso l’ormai conosciuto gruppo mercenario Wagner. I funzionari occidentali sono preoccupati più che mai oggi – con la guerra in Ucraina in corso – che la potenza russa possa rafforzare la sua influenza libica attraverso un’intrusione non trasparente nelle elezioni del Paese. I timori sono che Mosca agisca senza dare sostegno al piano elettorale mediato dalle Nazioni Unite. Tanto più ora che gli Usa hanno preso di mira l’organizzazione militare Wagner, etichettandola formalmente come “organizzazione criminale transnazionale” e colpendola con sanzioni.

Se, però, l’interesse a risolvere lo stallo politico libico non è primario nelle agende delle grandi potenze (se non per soddisfare strategie di dominio particolari e non sempre a vantaggio della popolazione libica), ciò che mantiene vigile l’occhio verso Tripoli è la sua potenzialità energetica. E in questo campo l’Italia continua a giocare un ruolo da protagonista, con l’esclusivo intento di colmare il vuoto del gas russo. E soddisfare la sete di affari dell’Eni.

Nei suoi primi 100 giorni come primo ministro italiano, Giorgia Meloni si è recata in Libia per impegni commerciali e durante la sua visita ufficiale la major petrolifera italiana Eni e la National Oil Corporation (NOC) libica hanno firmato un accordo per la produzione di gas da 8 miliardi di dollari volto ad aumentare le forniture all’Europa.

Secondo molti, l’accordo è considerato il più grande investimento nel settore energetico della Libia in un quarto di secolo e un segno che l’Italia sta assumendo un ruolo di primo piano nell’estrazione di gas in Nord Africa, dimenticandosi tutti gli altri dossier aperti e urgenti, come quello della violazione dei diritti umani dei migranti e della complessa situazione politica dello Stato diviso.

Con la Libia ancora avvolta nel caos gli analisti affermano, inoltre, che il Paese non è un partner energetico affidabile. Prima ancora che la Meloni lasciasse Tripoli nella sua visita a gennaio, il ministro del Petrolio libico aveva definito “illegale” lo storico accordo sul gas, in quanto il NOC non si era consultato con il suo ministero prima di firmare l’intesa.

Non solo, secondo alcuni osservatori l’Italia ha voluto così indirettamente sostenere il presidente della National Oil Corporation libica, Farhat Bengdara, uomo vicino a Haftar. Da evidenziare che a marzo sono emerse accuse tra gli uomini d’affari libici, perché proprio Bengdara è stato additato per il suo presunto sostegno, attraverso lo stanziamento di fondi, delle forze dell’LNA del maresciallo Khalifa Haftar, che potrebbe aver finanziato anche il gruppo russo Wagner.

Giorgia Meloni, Presidente del Consiglio italiana e Dbeibeh, Primo ministro del GNU a Tripoli, gennaio 2023 – Foto da video Euronews

In questo complesso contesto, società, diritti umani e civili ed economia peggiorano ogni giorno di più. Secondo un report della Banca Mondiale del gennaio 2023, il protrarsi del conflitto ha portato alla distruzione di capitale umano, mezzi di sussistenza, servizi di base e infrastrutture. L’indice globale degli Stati fragili classifica la Libia come il Paese più deteriorato tra il 2010 e il 2020. L’ultima tornata di dati raccolti nel 2020 mostra che il 10% dei libici ha una alimentazione inadeguata. Donne, ragazze, migranti e giovani sono particolarmente colpiti.

Il tenore di vita è notevolmente diminuito negli ultimi 10 anni. Per esempio, prima della rivoluzione del 2011, la Libia aveva raggiunto un tasso di accesso all’elettricità di quasi il 100%. Tuttavia, una combinazione di insicurezza, manutenzione e investimenti insufficienti e danni causati dal conflitto hanno portato a regolari blackout. La durata dei servizi di approvvigionamento idrico è diminuita da 24 ore al giorno a 8 ore o meno al giorno nel 2020.

Secondo dati aggiornati ad agosto 2022, quasi 135.000 persone in tutto il Paese sono ancora sfollate a causa del conflitto e non sono in grado di tornare nelle loro aree di origine a causa di danni alle abitazioni e alle infrastrutture, mancanza di servizi di base o problemi di sicurezza. Gli sfollati interni e le popolazioni di ritorno in Libia necessitano inoltre di assistenza umanitaria continua a livello sanitario e non solo.

La minaccia incombente di una recessione potrebbe aggravare le attuali tendenze al ribasso per l’economia. La Libia, insieme a diversi altri Paesi arabi, tra cui Tunisia e Marocco, importano circa il 75% del grano dall’Ucraina o dalla Russia e le catene di approvvigionamento interrotte costringono il Governo a pagare di più per fornitori alternativi. Dal momento che lo Stato sovvenziona una parte delle importazioni di grano e imposta i prezzi ufficiali del pane, l’invasione russa dell’Ucraina ha costretto alla chiusura numerosi panifici. Inoltre, se da una parte la Libia può beneficiare dell’aumento dei prezzi del petrolio, dall’altra la prevista recessione e la diminuzione globale della domanda di greggio nei prossimi decenni minacciano la principale fonte di reddito del Paese.

Sullo sfondo c’è infine la tragedia umanitaria che coinvolge i migranti che si trovano in Libia e che da lì spesso tentano di arrivare in Europa e in Italia. Il 27 marzo, nel suo rapporto finale, la Missione d’inchiesta indipendente delle Nazioni Unite (FFM) sulla Libia ha espresso profonda preoccupazione per il deterioramento della situazione dei diritti umani, concludendo che vi sono motivi per ritenere che sia stata commessa un’ampia gamma di crimini di guerra e contro l’umanità.

Il Consiglio per i diritti umani delle Nazioni Unite ha istituito la FFM nel giugno 2020 per indagare sulle violazioni e gli abusi sui migranti dall’inizio del 2016, al fine di prevenire un ulteriore deterioramento della situazione e garantire la responsabilità dei crimini. Da allora, la Missione ha condotto più di 400 interviste e raccolto più di 2.800 informazioni, comprese immagini fotografiche e audiovisive.

“Il mandato della Missione sta terminando quando la situazione dei diritti umani in Libia si sta deteriorando … le riforme legislative, esecutive e del settore della sicurezza necessarie per sostenere lo stato di diritto e unificare il Paese sono lungi dall’essere realizzate”, afferma il rapporto, aggiungendo “in questo contesto polarizzante, i gruppi armati che sono stati implicati in accuse di tortura, detenzione arbitraria, tratta e violenza sessuale rimangono impuniti”.

Inoltre, l’indagine ha provato che le autorità libiche, in particolare nei settori della sicurezza, stanno riducendo i diritti di riunione, associazione, espressione e credo per garantire l’obbedienza e punire le critiche contro le autorità. La tratta, la riduzione in schiavitù, il lavoro forzato, la detenzione, l’estorsione e il traffico di migranti vulnerabili hanno generato anche entrate economiche significative per individui, gruppi e istituzioni statali e hanno incentivato la continuazione delle violazioni.

Ci sono ragionevoli motivi per ritenere anche che i migranti siano stati ridotti in schiavitù in centri di detenzione ufficiali così come in prigioni segrete e che lo stupro sia stato commesso sistematicamente. Il rapporto ha sottolineato inoltre che le donne sono ripetutamente discriminate in Libia e conclude che la loro situazione è notevolmente peggiorata negli ultimi tre anni.

La questione è drammatica e grave e coinvolge purtroppo anche l’UE e la stessa Italia, da tempo nel mirino degli osservatori dei diritti umani a causa del Memoradum d’intesa con la Libia, con il quale il nostro Paese finanza la Guardia costiera libica.

In un  comunicato del 7 aprile 2023, Human Rights Watch ha espresso sdegno proprio nei confronti dell’Unione Europea che, si legge nella nota, “ha contestato i risultati che criticavano l’UE affermando che la sua cooperazione con la Libia mira a rafforzare la gestione della migrazione e il rispetto dei diritti umani, e ha acconsentito a una risoluzione che ha seppellito qualsiasi rilevante processo di segnalazione di follow-up al rapporto delle Nazioni Unite”.

“L’UE dovrebbe urgentemente cambiare rotta. Dovrebbe approvare e spingere per l’attuazione e per dare un seguito alla raccomandazione del rapporto e quella del capo dei diritti umani delle Nazioni Unite, secondo cui il Consiglio per i diritti umani dovrebbe istituire in una prossima sessione un meccanismo indipendente per monitorare le violazioni dei diritti umani in Libia. L’UE dovrebbe inoltre sospendere la cooperazione con le autorità libiche e attuare una rigorosa due diligence sui diritti umani nei suoi finanziamenti a Paesi terzi fino a quando non smetteranno di inviare persone in luoghi in cui subiscono abusi e condizioni di detenzione disumane”.

L’Italia, forte del suo accordo per il gas libico tramite l’Eni e dei finanziamenti alla Guardia costiera libica, ha già dato sostegno alla bozza della risoluzione del Consiglio dei diritti umani ONU, criticata aspramente da Human Rigts Watch proprio perché si limita a sostenere il rafforzamento delle capacità delle Nazioni Unite e l’assistenza tecnica al Governo di Tripoli, invece di spingere per un processo più incisivo che trovi e punisca i colpevoli di tali atrocità.

Anche da qui, da precise responsabilità del nostro Paese, passa il fallimento dello Stato libico.

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