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Catastrofe della fame, è quanto si prevede già nell’anno in corso

Foto Flickr Creative Commons World Bank

Una catastrofe della fame e crescenti bisogni si stanno espandendo nel mondo: i popoli della terra sono affamati e il cibo scarseggia. La questione non è di adesso, ma oramai suona come urgente e richiede risposte valide immediate.

Un mix di fattori emergenti, come pandemia e guerra in Ucraina, e meno nuovi: crisi climatica, sfruttamento dell’ambiente, capitalismo sfrenato, ingiustizia sociale, inflazione alle stelle dei beni primari, ha innescato una bomba a orologeria, che potrebbe esplodere lasciando milioni di persone senza mangiare.

L’agricoltura è in affanno, le materie prime sono carenti e troppo costose; terre, mari e fiumi sono inquinati e sempre meno fruttuosi nel dare cibo come dovrebbero. Tutti i fragili equilibri rimasti a legare attività agricole, commercio di beni alimentari nel mondo e vendita di cibo a livello globale si stanno spezzando.

Le stime del WFP (World Food Programme) parlano chiaro: 47 milioni di persone in 81 Paesi sono sull’orlo della carestia. Nel report annuale del Global Report on Food Crises l’analisi non lascia spazio a dubbi:

negli ultimi cinque anni, il numero di persone che soffrono la fame acuta e che necessitano urgentemente di cibo, nutrizione e assistenza per i mezzi di sussistenza è stato costantemente superiore a 100 milioni. L’edizione di quest’anno segnala un aumento allarmante del numero di persone nelle fasi più gravi di insicurezza alimentare acuta, registrando livelli di fame senza precedenti nel mondo.

Nel 2021, quasi 193 milioni di persone in 53 Paesi o territori hanno sofferto di una grave insicurezza alimentare, il che significa che la mancanza di pasti rappresentava una minaccia costante e immediata per le loro vite. La cifra è in rialzo rispetto ai 155 milioni in 55 nazioni dell’anno precedente e un record nei sei anni dall’inizio del rapporto. Ben 236 milioni di persone hanno vissuto in condizioni di stress, al culmine della fame acuta e 26 milioni di bambini hanno sofferto di deperimento per malnutrizione acuta in 23 gravi crisi alimentari conteggiate dagli analisti.

I conflitti in Paesi come l’Etiopia (Tigray) e l’Afghanistan hanno peggiorato le crisi e gli shock economici della pandemia di Covid-19 hanno frenato l’accesso al cibo in oltre 20 Stati. Anche il clima estremo, come la grave siccità in Madagascar e nel Corno d’Africa, sta esacerbando la situazione.

Inoltre, un indicatore dei prezzi alimentari mondiali è balzato di circa il 75% dalla metà del 2020 – eclissando i livelli visti nel 2008 e nel 2011 che hanno contribuito alle crisi alimentari globali – aumentando la pressione sui Governi, dallo Sri Lanka al Perù.

La situazione dovrebbe peggiorare nel corso di quest’anno e il rapporto ha fatto riferimento soprattutto a deterioramenti di crisi alimentari nel Nord della Nigeria, nello Yemen, in Burkina Faso e in Niger a causa di conflitti, così come in Kenya, in Sud Sudan e in Somalia, in gran parte per l’impatto di stagioni aride. Sebbene ci sia ancora incertezza sull’evolversi della guerra, circa 2,5-4,99 milioni di persone in Ucraina avranno probabilmente bisogno di assistenza umanitaria a breve termine. 

Kenya, bestiame decimato dalla siccità. Foto da video Al Jazeera

Solo per citare alcuni esempi, l’anno in corso potrebbe spingere nella catastrofe della fame almeno tre Paesi. Si prevede che, per il quinto anno consecutivo, lo Yemen vedrà la popolazione in condizioni pessime e critiche sui bisogni primari. Il Sud Sudan probabilmente non riuscirà a evolversi dalla realtà di bisogni a causa degli effetti cumulativi di conflitto/insicurezza, condizioni meteorologiche estreme e sfide macro-economiche. In Somalia, la siccità prolungata potrebbe spingere 81.000 persone solo quest’anno verso la catastrofe e anche nello scenario meno peggiore, il rischio di carestia potrebbe emergere in questo Paese entro la metà del 2022. Se le piogge della stagione di aprile-giugno dovessero essere limitate, se il conflitto si intensifica, se la siccità aumenta lo sfollamento e se i prezzi dei generi alimentari continuano salire la crisi alimentare non potrà che moltiplicare i bisogni inattesi dei somali. 

La crisi del cibo sta prendendo linfa da più fonti. Innanzitutto, la spinta maggiore – e forse più evidente agli occhi di tutti – è quella proveniente dalla guerra in Ucraina. Le ripercussioni sulla sicurezza alimentare e sulla stabilità socioeconomica interna di numerosi Paesi sono già visibili. Russia e Ucraina sono produttori cruciali di cereali e oli vegetali. Dall’inizio del conflitto, le spedizioni dal Mar Nero sono state drasticamente ridotte, con un impatto immediato sui Paesi che importano questi beni direttamente da tale rotta, in particolare quelli della regione MENA, ovvero del Nord Africa e Medio Oriente. 

Con la produzione agricola ucraina interrotta dalle operazioni militari e le esportazioni russe stoppate dalle sanzioni occidentali, i prezzi del grano a livello internazionale si stanno impennando rapidamente, con un rialzo di oltre il 30% da febbraio, così come sta accadendo per altri cereali quali il mais. 

Inoltre, la Russia gioca un ruolo fondamentale come produttore sia di fertilizzanti che delle principali materie prime utilizzate per la loro produzione, come azoto, fosforo e potassio. Le sanzioni occidentali, combinate con i limiti all’esportazione imposti dalle autorità cinesi e russe, stanno facendo salire i prezzi di questi composti a livelli record, con il prezzo dell’urea, per esempio, triplicato nell’ultimo anno. Si stima che l’attuale incremento dei costi riduca l’uso di fertilizzanti nella maggior parte dei Paesi, influenzando probabilmente i prossimi raccolti e, quindi, la futura disponibilità di prodotti agricoli sui mercati internazionali.

Di nuovo, i numeri aiutano a capire la portata delle conseguenze sulla crisi alimentare di questo balzo inflazionistico dei fertilizzanti (che significa anche meno uso dei prodotti perchè troppo costosi e, in generale, e più domanda rispetto all’offerta disponibile).

L’industria agricola peruviana sta affrontando un deficit di 180.000 tonnellate di urea e la produzione di prodotti di base come riso, patate e mais potrebbe crollare fino al 40% a meno che non siano disponibili più fertilizzanti. L’International Rice Research Institute ha previsto che i raccolti potrebbero diminuire del 10% nella prossima stagione, il che significa che ci saranno 36 milioni di tonnellate di riso in meno, sufficienti per sfamare 500 milioni di persone.

Nell’Africa subsahariana, la produzione alimentare potrebbe ridursi di circa 30 milioni di tonnellate nel 2022, equivalente al fabbisogno alimentare di 100 milioni di persone.

In Brasile, il più grande produttore mondiale di semi di soia, una riduzione del 20% del consumo di potassio potrebbe comportare un calo dei raccolti del 14%. In Costa Rica, una cooperativa di caffè che rappresenta 1.200 piccoli produttori vede la produzione diminuire fino al 15% l’anno prossimo se i coltivatori perderanno anche un terzo della normale applicazione di fertilizzanti.

C’è un’ulteriore minaccia alla sicurezza alimentare scatenata dalla guerra in Ucraina: l’ondata globale dei controlli governativi  sull’esportazione di cibo. Nel giro di poche settimane, il numero di Paesi che hanno imposto restrizioni all’export di prodotti alimentari è balzato del 25%, portando il numero totale a 35 Solo per citarne alcuni: l’Ucraina ha limitato le esportazioni di olio di girasole, grano, avena e bovini nel tentativo di proteggere la sua economia dilaniata dalla guerra. La Russia ha vietato la vendita di fertilizzanti, zucchero e cereali ad altre nazioni. L’Indonesia, che produce più della metà dell’olio di palma mondiale, ha interrotto le spedizioni in uscita. La Turchia ha bloccato le esportazioni di burro, manzo, agnello, capra, mais e oli vegetali. L’India sta valutando la possibilità di limitare le spedizioni di grano all’estero. Tutto questo a livello economico significa meno cibo nel mondo (soprattutto in quei Paesi che non producono e sono dipendenti dagli acquisti) e a prezzi molto più elevati.

I pesanti effetti della guerra sull’insicurezza alimentare si sono aggiunti a quelli molto gravi causati dal cambiamento climatico. Il numero di persone spinte alla fame per la siccità nel Corno d’Africa potrebbe salire dagli attuali 14 milioni ai 20 milioni entro la fine dell’anno secondo stime aggiornate da WFP.

In Etiopia i raccolti sono falliti, oltre un milione di capi di bestiame sono morti e circa 7,2 milioni di persone si svegliano affamate ogni giorno nel meridione e nel Sud-est del Paese, dove incombe la più grave siccità dal 1981. In Kenya,  il numero delle persone bisognose di assistenza è più che quadruplicato in meno di due anni. Secondo lo Short Rains Assessment Report, la rapida escalation della siccità ha lasciato 3,1 milioni di persone gravemente insicure dal punto di vista alimentare.

La nazione insulare del Madagascar ha sopportato quattro anni di aridità fino al 2021, provocata da una delle prime carestie al mondo causate dai cambiamenti climatici, con persone costrette a mangiare locuste e foglie selvatiche per sopravvivere. Il Paese è stato a lungo soggetto a siccità e inondazioni, ma questa volta un periodo di carenza di piogge di circa quattro anni ha spinto almeno 30.000 persone al livello cinque di carestia, il più alto grado di insicurezza alimentare riconosciuto internazionalmente. Le prospettive sono leggermente migliori quest’anno, ma con le precipitazioni della stagione che dovrebbero essere ancora al di sotto della media – il sesto anno di condizioni simili degli ultimi sette per gli abitanti – si teme che ogni imminente tregua avrà vita breve. Non solo, spesso le piogge diventano inondazioni, come è accaduto a inizio 2022, colpendo la popolazione, ma anche i raccolti di vaniglia. Tutto questo sta accadendo in una nazione dove più di due terzi degli abitanti vivono in povertà, con un tasso di circa il 90% nel Sud.

Madagascar 2021: a caccia di fiori e frutti di cactus per alimentarsi, a causa della scarsità di cibo e raccolti per la siccità – Foto da video Al Jazeera

Tutto il mondo è coinvolto, in realtà. In Asia, le risaie vengono inondate di acqua salata; in America Centrale temperature più elevate maturano il caffè troppo velocemente; la siccità nell’Africa subsahariana fa appassire i raccolti di ceci e l’aumento dell’acidità dell’Oceano sta uccidendo ostriche e capesante nelle acque americane.

Studi hanno anche dimostrato che l’industrializzazione dell’agricoltura nel secolo scorso ha aumentato la produzione in tutto il mondo, ma quel successo ha anche reso i nostri sistemi alimentari molto più vulnerabili alla crescente crisi climatica. L’agricoltura moderna dipende da monocolture ad alto rendimento con una base genetica ristretta che necessita di molti fertilizzanti, prodotti chimici e irrigazione.

Il grano, il cereale più consumato al mondo che viene coltivato in tutti i continenti (a parte l’Antartico) per fare pane, chapati, pasta, noodles, pizza e biscotti, nutre miliardi di persone, ma è vulnerabile ai cambiamenti climatici.

L’anno scorso i prezzi del grano duro sono aumentati del 90% dopo una siccità diffusa e ondate di caldo senza precedenti in Canada, uno dei maggiori produttori al mondo, seguite pochi mesi dopo da precipitazioni record. Nell’ultimo secolo, gli agricoltori canadesi hanno fatto sempre più affidamento su varietà di grano ad alto rendimento ma geneticamente simili, eliminando quella diversità cruciale per la sopravvivenza delle colture.

Uno scenario desolante si sta palesando: la catastrofe alimentare. E se i segni sono tangibili in regioni del mondo storicamente più deboli, nessun Paese è escluso e la portata dei danni potrebbe essere irriversibile.

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