C’è qualcosa di magico e commovente in una piazza piena di persone, in un serpente di folla che striscia per le strade della città, danza, canta, grida e rivendica il sacro diritto della manifestazione dei corpi. Sembra una vita fa, ma era solo il 2019 quando migliaia di persone affollavano le piazze di tutto il mondo al grido “there is no planet B“. Erano masse di corpi e di voci riunite per chiedere azioni concrete in contrasto al cambiamento climatico e alla distruzione del pianeta.
Prendeva forma quell’anno, il Fridays For Future, un movimento internazionale, nato nel 2018 dall’iniziativa dell’allora quindicenne Greta Thunberg, che per due settimane ha scioperato seduta davanti al parlamento svedese. “Skolstrejk för Klimatet” – sciopero scolastico per il clima – così recitava il suo cartello, oggi simbolo della protesta pacifica attuata poi ogni venerdì dalla studentessa svedese e da altri giovani attivisti. Da qui il tag #fridaysforfuture che in poco tempo diventa virale e coinvolge moltissime persone a livello globale, per la maggior parte giovani studenti.
Già a novembre 2018 si mobilitano gli studenti in Belgio, Svizzera e Inghilterra. Anche qualche città italiana si unisce poi alle manifestazioni. Il 15 marzo 2019 si dà vita al primo Sciopero Globale per il Clima, il primo di una lunga fila di pratiche, tutt’ora realizzate (fisicamente e digitalmente). In occasione del Summit Onu sul clima, tra il 20 e il 27 settembre 2019 scendono in piazza circa 8 milioni di persone. La partecipazione è reale e sentita, il movimento ad oggi coinvolge 7.500 città in tutto il mondo.
Durante le proteste si respira aria fresca, giovane, pacifica, che l’ironia delle scritte sui cartoni riciclati rende accogliente e leggera. Ma ciò per cui si scende in piazza non ha niente di leggero: i reclami sono seri e urgenti. I giovani – ma anche genitori, bambini, insegnanti – richiamano all’azione politica, si appellano alla scienza e alla giustizia, mettendo in campo entusiasmo e voglia di partecipazione. Tutto ciò accompagnato da una matura consapevolezza critica delle connessioni presenti nel sistema in cui viviamo e dei paradossi che lo compongono.
I movimenti sociali in generale sono una fonte primaria di insegnamenti e fungono spesso da lenti di analisi per una migliore comprensione del presente. Fridays For Future ha tanto da dire: è un movimento giovane, capace di comunicare in modo non solamente efficace e acuto, ma anche inclusivo, attento a non ripetere dinamiche ingiuste ed ideologismi inutili.
Del movimento e degli aspetti che lo contornano, abbiamo parlato con Giovanni Mori, giovane attivista bresciano di Fridays For Future Italia, con il quale abbiamo avuto occasione di riflettere anche sugli effetti delle misure adottate per contrastare l’attuale crisi sanitaria.
Siamo partiti soffermandoci sull’ “internazionalità” del movimento e sui differenti connotati che essa può acquisire. Di quali significati quindi si impregna il termine “globale” nel caso di Fridays For Future e quali dinamiche lo caratterizzano?
La prospettiva glo-cale sembra quella più adatta per guardare al movimento e alle sue dinamiche. Fridays For Future si connota – in Italia e all’estero – di eterogeneità, questo perché è composto da gruppi locali e cittadini che agiscono in primis sul proprio territorio, cercando di rispondere alle esigenze che ogni zona presenta. L’ottica però rimane sempre direzionata verso la globalità del tema e l’urgenza di una strada comune da intraprendere a livello mondiale. Uno sguardo ai siti ufficiali e alle pagine social comprova questa modalità glo-cale di elaborare reclami ed azioni.
Tra i gruppi dei vari Paesi – che troviamo diffusi in ogni continente – ci si organizza spesso tramite sondaggi e corrispondenze virtuali – per esempio riguardo alla data da scegliere per lo sciopero globale o, in Europa, in occasione della questione relativa alla PAC (Politica Agricola Comune). Naturalmente le possibilità attuali di comunicazione permettono agli attivisti di avere continui contatti. Alcuni tra i Paesi coinvolti hanno una persona portavoce e non tutti i gruppi si presentano col nome Fridays For Future, ma scelgono altri nominativi, come nel caso della Francia o della Gran Bretagna. Generalmente gli attivisti sono giovani studenti e Giovanni ci dice che rispetto all’estero, l’Italia ha una media di età poco più alta.
A livello internazionale, molta attenzione viene rivolta al cosiddetto Global South e quindi alle aree dove gli effetti delle politiche distruttive verso l’ambiente e le popolazioni sono concreti e visibili già oggi. Un esempio è lo sciopero nazionale (in piazza e nelle strade, distanziati) organizzato da Fridays For Future Italia per il 9 ottobre 2020, che ha avuto come focus i MAPA – Most Affected People and Areas, cioè le regioni e le popolazioni del mondo che vivono oggi le conseguenze del cambiamento climatico. Di MAPA hanno parlato anche recentemente, con l’attivista filippino Jon Bonifacio e con l’attivista Fousseny Traore, del Mali, in una serie di interviste dedicate ai MAPA e visibili sul canale youtube del movimento italiano.
Con Fridays For Future si sono mosse milioni di persone in tutto il mondo, forse anche perché la causa per cui si manifesta ha carattere globale. La massa che occupava lo spazio pubblico è stata il punto di forza del movimento, a livello planetario. E ora?
Come ha influito sul movimento la pandemia covid-19 e le misure restrittive ad essa relative? Che tipo di riflessioni propone il movimento?
Come per molti altri casi, il digitale è certamente utile e ha compensato in parte l’impossibilità di azione e incontro fisico. Ma il movimento vuole stare nel reale, vuole tornare in piazza, vuole la relazione, l’incontro tra persone. Manifestare fisicamente nello spazio pubblico è il modo più coerente e significativo di proporre reclami.
A proposito di pandemia, Fridays For Future ci ricorda che la crisi climatica e ambientale corrisponde ad una vera e propria pandemia, ma al rallentatore (più o meno). Quindi, come reclama il movimento, treat every crisis like a crisis: è essenziale e giusto considerare ogni crisi come tale e agire di conseguenza. L’emergenza relativa al Covid-19 ha mostrato come si è in grado – sotto pressione – di mettere in campo risorse (umane ed economiche) ad una velocità sorprendente: questa dovrebbe essere la modalità di risposta da adottare anche alla crisi climatica, alle crisi in generale.
Particolarmente durante il 2020, ma anche in precedenza, il movimento ha proposto campagne di richieste specifiche e ha scritto lettere aperte (in collaborazione con scienziati ed esperti) ai Governi e alle Organizzazioni Internazionali. Nel caso italiano in questo momento è in atto la campagna #NonFossilizziamoci, accompagnata dalla lettera al Governo in cui si delineano le precise richieste da includere e rispettare nella proposta di Recovery Fund – lo strumento di rilancio economico adottato dalla Commissione Europea e che nel resto d’Europa viene chiamato col nome originario, Next Generation EU.
Non dobbiamo dimenticare – nonostante l’urgenza con cui attualmente si guarda alla pandemia – che questo mese si è tenuto un anniversario amarissimo: sono passati cinque anni dall’Accordo di Parigi, ma i risultati a cui si ambiva – forse con ottimismo – sono ben lontani dall’ essere raggiunti. Ogni cinque anni dovrebbe essere attuata una revisione della situazione attuale in riferimento agli impegni presi tra le 192 nazioni, ma ciò non è avvenuto. Si è tenuto comunque un Climate Ambition Summit il 12 dicembre, in cui sono stati discussi nuovamente i target di riduzione delle emissioni nocive. Per ribadire l’importanza degli accordi presi nel 2015 e la necessità di mantenere la temperatura globale sotto i 2 gradi, Fridays For Future ha messo in atto in tutto il mondo la campagna #fightfor1point5 e l’11 dicembre gli attivisti sono scesi nuovamente nelle piazze (rispettando le misure anti-Covid), scioperando per “chiedere ai leader mondiali cosa pensano di progettare per essere sicuri di non ripetere gli ultimi anni devastanti per il clima”.
Gli attivisti di tutto il mondo continuano a compiere un lavoro di inform-azione che merita di essere valorizzato. In Paesi come il Brasile, Fridays For Future si è impegnato anche nella promozione di forum di discussione relativi al Covid-19, in aggiunta alle costanti trasmissioni di notizie sul clima e rapporti relativi alla foresta amazzonica e alle popolazioni toccate dai danni che la regione continua a subire. La campagna Conheca Algumas – Vozes Pela Amazônia, dà voce ai giovani attivisti indigeni, impegnati nella lotta contro la distruzione ambientale e delle loro terre.
È innegabile ormai il consenso di cui gode Fridays For Future e la sua presenza nel discorso pubblico e scientifico. L’appassionato attivismo dei comitati locali e la grande capacità di coesione a livello mondiale, ha fatto si che il tema del cambiamento climatico guadagnasse attenzione anche nei discorsi politici. Sembra che il discorso pubblico si sia dotato di una nuova sensibilità: si parla sempre ormai – ed è quasi scontato farlo – di cambiamento climatico e giustizia ambientale. Quello che manca però sono i fatti, le azioni concrete. Il movimento continua a ribadirlo. Esiste un estremo divario tra le proposte teoriche e la realtà. Anche l’ Emissions Gap Report redatto ogni anno dall’ UN Environment Programme – di cui Giovanni ci consiglia la lettura – conferma lo scarto tra gli obiettivi aspirati e l’effettività delle azioni attuate.
Il consenso di cui gode la sostenibilità e la giustizia ambientale (e i movimenti che le sostengono), probabilmente non è ancora abbastanza per muovere la politica (e l’economia) nazionale e internazionale; forse – ci chiediamo, insieme a Giovanni – il tema non è ancora percepito come una priorità, una sorta di prerogativa etica che dovrebbe andare al di là di ogni ideologia.
Non è un caso che siano i giovani tra i più attivi nell’ambito climatico e ambientale. Il tema oggi non fa solo tendenza, ma porta con sé il desiderio di partecipazione e riconoscenza politica. “Noi giovani e giovanissimi facciamo parte di generazioni che hanno fatto fatica a riconoscersi in valori o ideologie comuni; questa potrebbe essere la nostra causa, quella per cui sentiamo di essere responsabili”, aggiunge Giovanni Mori. La dedizione e la competenza con cui gli attivisti collaborano a livello globale dovrebbe richiamare ad una responsabilizzazione della società.
Le manifestazioni in piazza hanno sempre sollecitato un impegno reale per il clima e per la società, ribadendo l’esigenza di “cambiare l’intero sistema” e rivalutare quindi i valori che lo rappresentano. Questi appelli vanno ascoltati, e ne vanno approfondite con cura le sfumature di significati che si portano appresso.