[Traduzione a cura di Stefania Gliedman dall’articolo originale di Kerry Cullinan, Masutane Modjadji, e Christi Nortier pubblicato su OpenDemocracy]
Un’inchiesta di openDemocracy ha recentemente smascherato la campagna di disinformazione a danno della popolazione femminile di tutto il mondo. Una campagna portata avanti dai “Centri di Risorse per la Gravidanza” (Crisis Pregnancy Centres, CPC), di affiliazione statunitense. A seguito dell’inchiesta un alto funzionario della salute pubblica sudafricana ha deciso di prendere posizione.
Spalleggiati da attivisti cristiani, aperti sostenitori della Casa Bianca di Trump, i CPC sostengono di offrire un servizio di consulenza imparziale. Tuttavia, un’indagine condotta da openDemocracy ha rivelato che, in alcuni di questi centri, il personale cerca di convincere le donne a non abortire, o addirittura a non ricorrere a metodi contraccettivi.
Il Crossroads Pregnancy Help Centre di Pretoria dichiara sul proprio sito di offrire alle gestanti “consulenze in ambiente sicuro, informazioni accurate sulle varie opzioni disponibili, al fine di prendere una decisione consapevole”.
Tuttavia, a una giornalista sotto copertura, rivoltasi al suddetto centro in cerca di aiuto simulando una gravidanza difficile, è stato detto che “l’aborto è omicidio”, che magari stavano “uccidendo un futuro presidente”, e che quella decisione l’avrebbe “tormentata per tutta la vita”.
Nel frattempo, al Seasons Pregnancy Centre presso lo Stellenbosch Regional Hospital, a 1.400 chilometri di distanza, a un’altra giornalista veniva ventilata l’ipotesi di una possibile “sindrome post-aborto”, con “incubi e depressione”. Una condizione la cui esistenza è stata smentita da un consistente numero di attendibili studi.
Il Choice on Termination of Pregnancy Act del 1996 stabilisce che la consulenza offerta a una donna in gravidanza deve essere “non direttiva”, ovvero che un consulente non può fare pressione su una propria assistita affinché prenda una decisione piuttosto che un’altra.
Afferma Yogan Pillay, vicedirettore generale del dipartimento della Salute in Sudafrica, che tutela donne e bambini in età prescolare:
Nel momento in cui viene offerta una consulenza direttiva, si infrangono leggi e linee guida nazionali, e quindi prenderemo dei provvedimenti.
I centri Seasons e Crossroads sono tra i 50 affiliati sudafricani di Heartbeat International, organizzazione statunitense di matrice cristiana conservatrice istituita circa mezzo secolo fa, in reazione alle spinte pro-aborto negli Stati Uniti.
Una recente indagine condotta da openDemocracy in diciotto Paesi, svela come Heartbeat abbia finanziato e coordinato organizzazioni anti-aborto di tutto il mondo.
In diversi centri affiliati, alle giornaliste sotto copertura sono state fornite informazioni inesatte e fuorvianti. Ne citiamo alcune:
- L’aborto aumenta le probabilità di ammalarsi di tumore;
- La donna deve ottenere il consenso del partner per poter interrompere la gravidanza;
- Gli ospedali negano assistenza in caso di gravi complicazioni a seguito di un aborto.
I materiali formativi usati da Heartbeat, disponibili a prezzo scontato a tutti gli affiliati, contengono immagini di un istruttore che dice a un’ipotetica assistita di aspettare prima di ricorrere all’aborto o alla contraccezione d’emergenza, e che i preservativi sono inefficaci.
Ulteriori informazioni fasulle appaiono in un altro webinar, dove si dichiara che l’aborto aumenta il rischio di abuso nei confronti di altri figli, e che può far diventare il partner omosessuale.
Alle domande di openDemocracy, Heartbeat dichiara:
Rimaniamo fedeli al nostro Impegno alla cura – un documento normativo che impegna gli affiliati all’accuratezza nelle informazioni distribuite – tramite tutte le nostre risorse formative programmate per aiutare la comunità di donne in gravidanza.
E aggiunge:
Ogni Paese ha una cultura propria e un modo proprio di comunicare; rimane il fatto che l’aborto comporti di fatto dei rischi per le donne. Lo scopo che ci prefiggiamo, nell’amore e nella verità, è quello di aiutare l’assistita a comprendere l’aborto in modo più completo, in modo da poter prendere una decisione consapevole.
“Tacito consenso” davanti alla violazione della legge
In Sudafrica, Pillay ha esortato l’opinione pubblica a “denunciare al ministero [della Salute] eventuali azioni illegali da parte di questi centri ”; il ministero può a sua volta contattare questi centri e “chiedere perché non rispettino la legge” .
Ma Marion Stevens, direttrice della Coalizione per la Giustizia Sessuale e Riproduttiva, un network di gruppi delle società civili, si dice scettica riguardo l’intenzione da parte del Governo di prendere provvedimenti. Lei stessa aveva segnalato questi centri al parlamento già nel 1995. A più di trent’anni di distanza, sono dovunque in Sudafrica.
Stevens sostiene:
Le loro consulenze continuano ad essere direttive, hanno un programma chiaramente anti-aborto, sono molto conosciuti. Temo che il dipartimento della salute approvi tacitamente i loro servizi, senza però assicurarsi che questi siano conformi alle leggi.
Pillay, al dipartimento della Salute, risponde di non aver mai approvato questi centri anti-aborto, e di aver sempre lavorato con altri colleghi al fine di ampliare l’accesso alle interruzioni di gravidanza, aumentando le possibilità di formazione di personale sanitario in questo settore.
Al dipartimento della Salute di Western Cape, la portavoce Sandra Maritz aggiunge che non esiste “alcuna relazione” tra lo Stellenbosch Hospital e il centro per la gravidanza in crisi Seasons, che opera al suo interno.
Martiz spiega che l’ufficio si trova nella sezione amministrativa dell’ospedale, come previsto da un accordo tra il centro e un’altra ONG che si occupa di igiene mentale.
Interpelleremo il gestore del servizio riguardo le consulenze fornite [da Seasons alle proprie assistite], per capire come procedere.
L’aborto è illegale o rigorosamente limitato in gran parte dell’Africa. Il continente è al primo posto per il numero di decessi causati da aborti illegali; almeno 16.000 nel 2014, secondo una ricerca del Guttmacher Institute.
Secondo una stima dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, nel 2019 in Africa tre quarti degli aborti sono stati praticati in condizioni non idonee, con un conseguente 13% di morti materne. Inoltre, a livello globale, 7 milioni di donne vengono ricoverate per complicazioni derivate da aborti non sicuri.
In Sudafrica, Heartbeat fa parte di Africa Cares for Life (ACFL), un’associazione internazionale da cui ha ricevuto, tra il 2007 e oggi, più di 200.000 dollari, a quanto emerge da una ricerca effettuata da openDemocracy sui documenti contabili dell’organizzazione.
Ha inoltre degli affiliati in tutto il continente africano, inclusi centri in Uganda, Nigeria e Zambia, che fanno parte dell’Association for Life of Africa (AFLA), che ha ricevuto circa 50.000 dollari dal gruppo statunitense dal 2013 a oggi.
In Uganda, l’aborto è illegale a meno che non esista un rischio per la vita della madre, ma il Governo ha dei programmi che forniscono metodi contraccettivi gratuiti. Nonostante questo, a una delle giornaliste sotto copertura che aveva contattato l’Alma Family Centre, affiliato Heartbeat a Kampala, è stato detto che la contraccezione d’emergenza equivale a un “aborto precoce”.
In Nigeria, sempre in un centro Heartbeat, alla giornalista è stato chiesto chi fosse il padre, e poi le è stato offerto del denaro per coprire le spese sanitarie qualora avesse deciso di portare a termine la gravidanza.
In Zambia, alla sede dell’AFLA, il direttore dell’organizzazone ha detto a una delle giornaliste di aver ricevuto da Heartbeat un apparecchio ecografico per aiutare le donne che hanno scelto l’aborto a cambiare idea. Ad altre giornaliste sono state offerte ecografie in centri anti-aborto in Messico e Costa Rica.
Raggiunto da openDemocracy, il centro sudafricano Crossroads ha ammesso di far parte dell’ACFL. Tuttavia ha chiesto di rispondere a tutte le domande riguardanti le tecniche di consulenza solo in un incontro faccia a faccia a Pretoria, con un proprio rappresentante. Né il centro Seasons, né Alma in Uganda hanno acconsentito a rilasciare dichiarazioni.
Un centro in ogni città
Daniele Gradwell, CEO di Africa Cares for Life, conferma di aver ricevuto fondi da Heartbeat, ma non fornisce dettagli su come siano stati usati. Definisce l’organizzazione non “anti-aborto”, ma “sostenitrice della vita”, e sostiene che le consulenze fornite sono “imparziali, e non manipolatorie”.
Gradwell aggiunge che l’organizzazione ha offerto consulenze a 31.000 donne tra gennaio e ottobre 2019, e spiega:
Ai nostri consulenti viene insegnato non come costringere le assistite a fare una scelta, ma come portarle a prendere una decisione con cui possono convivere.
Per il futuro, l’organizzazione ha in programma la creazione di un centro di assistenza per la gravidanza in ogni città del Paese, preferibilmente ciascuno con una propria macchina per le ecografie.
Nel corso dell’intervista, aggiunge poi che:
I volontari dei centri di gravidanza sono qualificati per l’esecuzione di ecografie su donne in gravidanza – ma non a fini diagnostici – bensì per offrire immagini del grembo materno.
Pillay, a sua volta, si dice estremamente preoccupato all’idea che a “personale non qualificato” venga consentito di eseguire delle ecografie su donne in gravidanza
È inaccettabile. Nemmeno le infermiere possono fare ecografie, a meno che non abbiano una particolare specializzazione.
Nonostante l’aborto sia legale in Sudafrica, a patto che venga richiesto entro la tredicesima settimana di gravidanza, la pratica è di fatto disponibile in meno del 7% delle strutture sanitarie pubbliche (264 su 3880), soprattutto perché, come risulta da un rapporto del 2017 di Amnesty International, molti operatori sanitari si rifiutano di eseguirla.
Jane Harries, di Women’s Health Research Unit presso la scuola di salute pubblica dell’Università di Cape Town, commenta:
Il Sudafrica ha il tasso più alto al mondo di aborti effettuati nel secondo trimestre, che sono di fatto il 20% sul numero totale delle interruzioni di gravidanza. Un dato che evidenzia una problema di accessibilità al servizio. Le gestanti devono essere viste il prima possibile. Bisogna poter accedere alla procedura in modo tempestivo, ma il dipartimento della salute fatica ad attuare il cambiamento. Anche nel settore pubblico si trovano le stesse reazioni moraliste, il che va risolto.
Usando sensi di colpa e umiliazione per spingere le giovani donne a portare a termine la gravidanza, questi centri “caricano inutilmente donne già fragili di un peso enorme”, aggiunge Marion Stevens della Coalizione per la giustizia sessuale e riproduttiva. “Non c’è da stuprirsi che molte vengano arrestate per aver abortito oltre i tempi previsti dalla legge”.
In risposta alle rivelazioni di openDemocracy il sudafricano Eddie Mhlanga, uno dei fautori della legge abortista del 1996, dichiara: “Cercare di convincere una donna a non interrompere la gravidanza a prescindere dalle circostanze personali è inammissibile.”
Mhlanga, un ginecologo ostetrico nel dipartimento della Salute di Mpumalanga, al tempo stesso codirettore dell’ONG Global Doctors for Choice, che prepara gli operatori sanitari alla pratica dell’aborto, aggiunge: “In alcuni casi, partorire un figlio semplicemente non è un’ipotesi possibile.”
E continua:
Il fatto che una donna venga violentata e che poi rimanga incinta non è il volere di Dio – sicuramente non del Dio a cui obbedisco. Queste consulenze creano dei sensi di colpa che compromettono la salute mentale delle donne, che invece dovrebbero essere aiutate a prendere una decisione, non forzate, intimidite, giudicate o minacciate.
Mhlanga comunque non si dice del tutto sorpreso dai risultati dell’inchiesta. “Il Sudafrica si trova nella morsa sempre più forte dei fondamentalisti statunitensi di destra”.