Il sogno di un Sudan diverso, in cammino verso una democrazia stabile dopo decenni di dittatura e repressione militare, ha fatto sbocciare e dato finalmente spazio ad artisti e movimenti popolari rimasti nell’ombra per moltissimi anni. Il sit-in di protesta, posto di fronte al quartier generale delle forze armate di Khartoum, è durato circa due mesi, da metà aprile ad inizio giugno 2019. È stato l’inizio di una svolta storica.
Avviato e gestito in maniera totalmente autonoma dalla popolazione locale attraverso la guida e i continui sforzi di un’associazione di professionisti sudanese (Sudanese Professionals Association – SPA), ha rappresentato una chiara e consapevole richiesta di cambiamento non-violenta, un passo decisivo per un Paese rimasto senza una guida stabile dopo la caduta del Presidente Omar al-Bashir (11 aprile 2019).
La zona di protesta, brutalmente spazzata via il 3 giugno ad opera delle milizie RSF (Rapid Support Forces), rimarrà per sempre nei ricordi di tutti i sudanesi – e non solo – come un esperimento sociale importantissimo, riflesso e valvola di sfogo della creatività di una società composta da differenti etnie di svariata età, ceto e classe.
La mia diretta esperienza sul campo è legata principalmente ad amicizie personali, ma anche ad incontri fortuiti con generosi manifestanti che, tra un bicchiere di té o karkadé offerto durante l’ora del tramonto a chiusura del digiuno giornaliero – Id al-fitr, in periodo di Ramadan -, hanno condiviso con me i loro sogni e le loro opinioni in quel difficilissimo momento di transizione.
In quei giorni ho potuto conoscere molti ragazzi sudanesi di cui ho ascoltato le opinioni, i sogni, i progetti futuri creando, al contempo, questo reportage fotografico.
All’interno del sit-in si camminava tranquillamente per le due strade principali chiuse al traffico con piccole barricate (le stesse che saranno poi distrutte in pochi minuti dalle milizie), assistere a dibattiti politici – v’era sempre qualcuno pronto a tradurre personalmente dall’arabo all’inglese, se richiesto -, piccoli concerti e musica ad alto volume, danze per le strade e numerose persone che volevano e potevano finalmente esprimere apertamente la loro opinione con una chiacchierata, una foto, un messaggio da condividere su piccoli cartoncini scritti a mano.
La paziente determinazione di questi giovani sudanesi – principalmente tra i 20 e 30 anni – era palpabile, riconoscibile nei volti decorati con i colori del proprio Paese, durante le fiaccolate con grandi foto a ricordo degli amici uccisi nelle manifestazioni iniziate tra dicembre e gennaio e continuate fino alla caduta del Regime (aprile 2019), nei graffiti che coloravano tutta l’area centrale del sit-in. Sono state proprio queste opere d’arte ad attirare l’attenzione generale, così come il grandioso progetto – iniziato e non conclusosi a causa dello sgombero – della decorazione del manto stradale per più di due chilometri. La gioiosa, talentuosa creatività venuta alla luce ha dato la possibilità a giovani artisti sudanesi di trovare il loro spazio e di far sentire la loro voce.
Una delle lezioni che possiamo trarre oggi da questa esperienza è che, su un lungo e difficile periodo di tempo non privo di dolorose perdite personali e materiali, la genuina creatività, la paziente determinazione e la coerente non-violenza possono davvero essere l’antidoto contro ogni forma di repressione grazie alla loro sottile, apparentemente invisibile ma prodigiosa influenza positiva.
La soluzione reale contro quegli stessi regimi brutali che, non a caso, hanno sempre cercato e continuano a voler reprimere, negare, minimizzare, ridicolizzare, zittire, cancellare e uccidere ogni movimento e persona a sostegno di un cambiamento sociale, culturale, politico. Il Sudan affronta oggi, passo dopo passo, una difficilissima rivoluzione di portata storica nelle mani delle nuove generazioni di artisti, attivisti, musicisti. Coraggiosi cittadini non disposti a compromessi con il passato regime e pronti per una democrazia.