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Il legame tra clima, aumento popolazione, distribuzione risorse

[Traduzione a cura di Vincenzo Straface dall’articolo originale di Mark Maslin pubblicato su The Conversation.]

Una coalizione globale di 11.000 studiosi ha elaborato un progetto per far fronte all’emergenza globale. Si tratta, per la maggior di cose che gli studiosi dicono da tempo: decarbonizzare l’economia, eliminare le sostanze inquinanti, ripristinare gli ecosistemi e le foreste , ridurre la consumazione di carne. Tuttavia è un ultimo punto ad essere piuttosto controverso: la stabilizzazione della popolazione globale.

Il motivo della controversia è che non tutti nel mondo sono equamente responsabili per l’emissione dei gas serra, la causa del cambiamento climatico. Molto più importante del quante persone stanno nascendo, è il dove, in quanto sono i Paesi più ricchi ad essere responsabili delle maggiori emissioni. Eppure è nei Paesi più poveri che la popolazione è a rischio.

La popolazione mondiale è più che raddoppiata dal 1970. La ragione principale per questo considerevole incremento è quella che chiamiamo transizione demografica. Nelle fasi iniziali dello sviluppo dei Paesi, le società tendono ad avere alti tassi di mortalità infantile che sono controbilanciati dagli alti tassi di fertilità, lasciando la popolazione relativamente stabile. Le coppie hanno così tanti figli – quanti ne riescono a fare – per assicurarsi che alcuni, in media due, sopravvivano e arrivino all’età adulta.

Man mano che la società elabora una più stabile offerta alimentare, una migliore igiene e un trattamento ampiamente disponibile per le malattie più diffuse, il tasso di mortalità cala rapidamente. Ma in alcuni casi, i tassi di fertilità restano alti per molto tempo. Il numero di nascite resta lo stesso, e poiché quasi tutti poi arrivano all’età adulta, la popolazione si espande rapidamente. A seconda di come cala l’intervallo di tempo fra la mortalità e la fertilità, la fase successiva alla transizione della popolazione può essere tra le quattro e le dieci volte più alto della prima fase, e in rari casi anche di più.

Alcune persone ritengono che l’accesso universale alla pianificazione delle nascite e la reperibilità di contraccettivi siano la chiave per ridurre rapidamente il tasso di fertilità. Ma la prima transizione demografica può essere fatta risalire all’Illuminismo europeo, solo dopo il diciannovesimo secolo, quando questi servizi non erano disponibili. Sembra invece che l’educazione delle donne fino alla scuola secondaria e oltre, sia l’elemento topico del controllo della fertilità.

Crescita della popolazione

La rapida diffusione delle vaccinazioni e l’espansione dell’offerta alimentare, create dalla rivoluzione verde negli anni ’60, hanno portato la crescita al punto più alto, la popolazione globale cresceva di oltre il 2% all’anno. Nel 1950 ogni donna partoriva in media cinque neonati. Ora che la transizione demografica è già in corso in molti Paesi del mondo, la media è scesa sotto il 2,5.

Naturalmente, mentre il tasso di natalità medio sta diminuendo ogni anno, la popolazione del mondo cresce ancora di 200.000 al giorno. Le Nazioni Unite prevedono che la popolazione aumenterà tra i 9,4 e 10,1 miliardi nel 2050 e si stabilizzerà entro il 2100 con un aumento ulteriore tra 1,7 e 2,4 miliardi di persone.

Questo previsto aumento della popolazione è stato il tema di molti dibattiti accesi, nel contesto della sempre più urgente emergenza climatica che ha permesso il diffondersi di alcuni miti.

Il primo è che non sia possibile produrre cibo a sufficienza per tutti. Secondo il Programma alimentare mondiale (World Food Programme) ci sono 821 mila persone oggi sull’orlo della fame. Eppure, produciamo abbastanza cibo per nutrire 10 miliardi di persone, per coprire quindi l’aumento previsto dalla popolazione in questo secolo.

Il motivo per cui ci sono così tante persone che muoiono di fame è perché queste non possono accedere alle eccedenze alimentari globali, di solito per mancanza di denaro. Quando i poveri perdono i propri mezzi di sussistenza a causa di rivolte civili, conflitti oppure fallimento dei raccolti, non hanno risorse sui cui poter contare e non hanno soldi per comprare il cibo di cui hanno bisogno per sopravvivere.

Contributo disuguale

Il secondo mito è che la stabilizzazione della popolazione sia la soluzione chiave al cambiamento climatico. Questo è deviante e non aiuta a comprendere cosa sta accadendo, perché si basa su un assunto semplicistico, vale a dire che il contributo di un individuo è pari a quello di un altro.

Un terzo delle emissioni di carbonio introdotto nell’atmosfera proviene ad oggi dagli USA, un altro terzo dall’Europa. L’Africa contribuisce solo del 3%. Quindi è una bassa percentuale della popolazione del mondo che ha creato la crisi climatica. Dividendo le attuali emissioni contando gli individui piuttosto che i Paesi, si scopre che il 10% della popolazione mondiale più ricca emette il 50% delle emissioni di gas serra. Se il 50% più ricco emette il 90% significa che i 3,8 miliardi più poveri del mondo ne emettono solo un decimo.

Se si parlasse dei Paesi più ricchi con aumento del tasso di crescita, il controllo della popolazione sarebbe una soluzione all’emergenza climatica. Ma non lo è, perché si tratta dei più poveri.

A causare il cambiamento climatico è il consumo eccessivo da parte dei ricchi,non l’aumento della popolazione. Detto in altri termini, l’americano medio emette nove volte più CO2 dell’indiano medio, quindi ad essere molto più efficace per il contenimento delle emissioni di gas serra sarebbe la riduzione della popolazione negli USA, piuttosto che quella delle popolazioni in crescita altrove.

Alcuni potrebbero sostenere che si continuerà ad emettere di più man mano che le società continueranno a svilupparsi. Ma la crisi climatica è ora e il mondo ha bisogno di arrivare a emissioni zero entro il 2050. Quindi, quando le nazioni più povere si saranno sviluppate abbastanza da avere una sostanziosa classe media, dovremmo aver sviluppato un’economia verde sostenibile e pienamente funzionante e liberarci dal consumo eccessivo. In caso contrario sarà troppo tardi.

Domanda giusta, ragione sbagliata

Anche se potrebbe non essere una soluzione immediata all’emergenza climatica, stabilizzare la popolazione mondiale è comunque ancora importante. Questo perché l’impatto dell’essere umano va oltre il cambiamento della composizione dell’atmosfera. A livello globale, le attività umane spostano ogni anno il suolo, la roccia e i sedimenti più di quanti ne vengano trasportati da tutti gli altri processi naturali messi insieme. Abbiamo abbattuto tre trilioni di alberi, circa la metà di quelli sul pianeta e realizzato abbastanza cemento per coprire la superficie terrestre con uno strato di 2 millimetri di spessore. E oggi ci sono più telefoni cellulari che persone.

Con l’economia globale destinata a raddoppiare nei prossimi 25 anni, una popolazione che potrebbe raggiungere i 10 miliardi, il potenziale aumento del nostro impatto è immenso. La sfida di questo secolo è di raggiungere una popolazione globale stabile supportata da un’economia sostenibile che riduca il nostro carico sul pianeta.

Avere una popolazione stabile è essenziale anche a livelli interni. Permetterebbe ai Governi di garantire una migliore sicurezza alimentare, idrica e delle risorse per tutti i loro cittadini. Inoltre semplificherebbe la fornitura di servizi sanitari e opportunità economiche migliori per una percentuale maggiore di cittadini. Immaginiamo solo le enormi sfide che la Nigeria deve affrontare con una popolazione che è cresciuta di 100 milioni di persone in meno di 20 anni.

Sebbene l’educazione delle donne e l’accesso universale alla pianificazione familiare in tutto il mondo aiuterebbero senza dubbio a stabilizzare la popolazione e apporterebbero grandi benefici, non rappresentano una soluzione globale ai problemi dei cambiamenti climatici. I ruoli dell’urbanizzazione, della distribuzione della ricchezza e dei modelli di consumo, sono molto più importanti per comprendere e controllare le emissioni di gas serra. Non possiamo usare il mito della popolazione per incolpare i poveri del mondo per la crisi climatica.

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