La Russia sta vivendo uno dei suoi periodi più bui per quanto riguarda l’espressione dei diritti umani, civili e delle libertà. Da quando Vladimir Putin è stato eletto presidente nel 2012, per il terzo mandato, l’oppressione è diventata legge per i cittadini russi. Il quarto mandato presidenziale, iniziato dopo il voto del 2018, non ha fatto altro che confermare la deriva autoritaria e repressiva del presidente.
La corsa alla conquista di un potere di controllo sempre più accentrato e diffuso che Putin sta portando avanti, ha come conseguenza diretta la negazione dei basilari diritti delle persone. A livello legislativo, inoltre, c’è stato un vero e proprio assalto alle normative di garanzia e tutela internazionale dei diritti umani e civili.
Nel 2013 la Duma ha optato per la linea dura contro gli omosessuali, inasprendo le disposizioni nei confronti di qualunque manifestazione gay nel Paese. Le accuse di omofobia arrivate da più parti nel mondo contro Putin non hanno scalfito il presidente, che ha difeso la sua politica di sostegno alle coppie con figli, necessaria – dice – per affrontare il problema demografico.
Nel 2015, è stata approvata una legge che conferisce alla Corte costituzionale russa il diritto di decidere se lo Stato può applicare o ignorare le risoluzioni di organi intergovernativi come la Corte europea dei diritti dell’uomo.
Nel 2017 sono state emanate disposizioni che consentono alle autorità di privare la cittadinanza russa a persone sospettate di voler minacciare le basi dell’ordine costituzionale della Russia.
La libertà di stampa, di espressione, di informazione e di attività per le organizzazioni non governative ha subito negli anni una restrizione preoccupante. Le leggi che qualificano come “agenti stranieri” le ONG e qualsiasi organizzazione che riceve finanziamenti dall’estero sono state estese ai media internazionali operanti nel Paese. Di conseguenza, il Governo riesce a controllare e a sottoporre a severe restrizioni molti attori dell’informazione e della difesa dei diritti umani, stigmatizzati e costretti molto spesso a lasciare la Russia. Nel dicembre 2017, per esempio, il ministero della Giustizia ha accusato le radio Voice of America e Radio Free Europe di essere “agenti stranieri”, sottoponendole a controlli serrati.
Nel corso del 2018, il clima è diventato ancora più teso in questo ambito. Un tribunale di Mosca ha multato il New Times, una rivista online indipendente, obbligandola a pagare la somma – senza precedenti – di 22,25 milioni di rubli (337.000 dollari) per la presunta mancanza di denuncia di finanziamenti esteri. Sempre dal tribunale di Mosca è arrivato anche il blocco di Telegram – popolare servizio di messaggistica con quasi 10 milioni di utenti in Russia – per aver rifiutato di fornire codici di crittografia ai servizi di sicurezza. Nel limitare l’accesso a Telegram, le autorità hanno anche bloccato temporaneamente milioni di indirizzi IP.
Secondo una legge in vigore dal 2017, inoltre, il Procuratore può fermare in via extragiudiziale i contenuti condivisi da organizzazioni e siti web stranieri che rientrano nella categoria governativa di”indesiderabili”.
L’obiettivo di Putin di estendere il suo controllo ad ogni ambito della vita privata e sociale dei cittadini è palese. La legge contro la diffusione dell’estremismo in Russia, piuttosto vaga e applicabile in modo ampio e arbitrario, viene spesso invocata per perseguire penalmente siti internet, social e blog indipendenti.
A testimoniare questa virata illiberale ci sono le storie di uomini e donne libere, costrette ogni giorno a subire ingiuste e ingiustificate restrizioni e violenze.
Abdulmumin Gadzhiev, editore di un giornale locale indipendente in Daghestan, è detenuto in custodia cautelare da giugno e potrebbe rischiare fino a 20 anni di prigione. Le accuse parlano di “partecipazione a un’organizzazione terroristica e promozione del terrorismo”, in particolare dello Stato Islamico. La colpa di Gadzhiev sarebbe stata quella di scrivere un articolo su una fondazione di beneficenza islamica nel 2013.
Nel corso del 2018 si sono succeduti vari episodi di violenza contro la libertà di stampa. Maksim Borodin, corrispondente del sito di notizie indipendente Novy Den, è morto dopo essere caduto dal balcone del suo appartamento al quinto piano in circostanze sospette. Aveva parlato dell’uso di appaltatori militari privati russi in Siria.
A settembre, l’attivista per i diritti ed editore su diversi siti web Pyotr Verzilov è stato portato di corsa all’ospedale e ha ricevuto cure in Germania dopo essere stato avvelenato. Denis Korotkov, reporter di Novaya Gazeta, ha ricevuto minacce di morte ad ottobre, poco prima che il giornale pubblicasse il suo articolo di accuse contro Yevgeniy Prigozhen, uomo d’affari strettamente legato al Cremlino.
La giornalista indipendente Svetlana Prokopyeva è stata accusata di “giustificazione del terrorismo” il 20 settembre scorso. Il fatto ha origine da una trasmissione radiofonica del novembre 2018, quando la Prokopyeva, parlando del ragazzo responsabile dell’esplosione di una bomba all’interno di un edificio del Servizio Federale di Sicurezza locale, aveva denunciato il crescente clima repressivo e di persecuzione contro ogni espressione di libertà. L’analisi della giornalista, secondo la quale il costante insulto ai diritti umani e civili potrebbe portare all’esasperazione e alla radicalizzazione della violenza tra giovani, è entrata nel mirino delle autorità russe.
Il 2 ottobre scorso, un tribunale militare russo ha condannato l’attivista e blogger Nariman Memedeminov a due anni e mezzo di prigione per “aver fatto appelli pubblici al terrorismo“. L’accusa è stata solo l’ultima delle continue persecuzioni del Governo contro gli attivisti tatari della Crimea. Memedeminov è politicamente attivo dal 2014, quando la Russia ha iniziato la sua occupazione militare della penisola di Crimea in Ucraina. Qui i Tatari rappresentano una minoranza musulmana, apertamente schierata contro la politica di annessione russa. L’accusa contro Memedeminov deriva da un video da lui pubblicato nel 2013 e riguardante un raduno di Hizb ut-Tahrir, un movimento pan-islamista che vuole stabilire un califfato ripugnando la violenza.
Lo stesso clima di terrore è stato imposto nei confronti di difensori per i diritti umani e civili. Anche in questo caso, le storie raccontano di una stretta violenta del regime di Putin verso chiunque voglia pacificamente difendere le libertà fondamentali. Gli strumenti governativi sono attacchi ed intimidazioni fisiche da assalitori anonimi e assenza di qualsiasi inchiesta formale e statale sui fatti di violenza.
Il 28 gennaio 2018, il difensore dei diritti umani Dinar Idrisov è stato picchiato da tre uomini non identificati mentre cercava di filmare una manifestazione di massa nel centro di San Pietroburgo.
Gli aggressori lo hanno colpito e hanno rotto la videocamera e due telefoni cellulari di Idrisov. A marzo 2019, l’attivista è stato nuovamente aggredito da sconosciuti mentre usciva dalla sua abitazione.
Il 20 luglio 2018, Novaya Gazeta ha pubblicato un video acquisito dall’avvocata per i diritti umani Irina Biryukova. Il filmato mostra 10 minuti di percosse e umiliazioni verso un prigioniero seminudo da parte di 18 ufficiali penitenziari nella Russia centrale. L’avvocata ha cominciato a ricevere minacce ed è stata costretta a lasciare il Paese per timore di pesanti ritorsioni. Ad oggi, Irina Biryukova ancora è in attesa di protezione da parte dello Stato.
La politica di intimidazione russa ha riguardato anche Memorial, una delle più importanti organizzazioni di diritti umani in Cecenia. Oyub Titiev, attivista del movimento a Grozny, è stato arrestato per false accuse di droga nel 2018. Attacchi incendiari, aggressioni e pestaggi si sono susseguiti nei confronti anche di altri membri dell’organizzazione.
L’elenco delle persone private della libertà e coinvolte in violente repressioni in Russia è ancora lungo e comprende manifestanti, oppositori politici, attivisti per i diritti di minoranze sul territorio.
I prigionieri politici sono aumentati da 50 a circa 300 dal 2011 ad oggi. I tribunali penali hanno inasprito le pene per chi esercita la libertà di espressione, riunione e associazione. La protesta libera e pacifica per strada può costare cara. Se nel 2004 un manifestante correva il rischio di una multa da circa 25 euro, nel 2019 la sua pena può arrivare a 5 anni di prigione.
Putin sta costruendo una Russia muta e illiberale. Nell’indifferenza del mondo, attento solo alle strategie di politica internazionale del presidente russo.