Quest’anno ricorre il quarantesimo anniversario del Tribunale Permanente dei Popoli che si occupa di promuovere il rispetto dei diritti umani nel mondo. Si tratta dell’istituzione fondata dal senatore Lelio Basso il 24 giugno 1979 a Bologna, uno strumento della giustizia ad uso popolare per condannare dal basso le violenze perpetrate dai Governi dittatoriali che si macchiano di violazione dei diritti umani elencati nella Dichiarazione Universale dei Diritti dei Popoli d’Algeri.
Il TPP ha utilizzato fino ad oggi il principio del tribunale di opinione, il quale non ha valore legale, ma si sostiene sull’autorevolezza di intellettuali e politici che, giunti da tutto il mondo, si incontrano per analizzare, studiare e ascoltare le testimonianze di coloro che sono le vittime dirette degli abusi di potere, con l’intento di esercitare una pressione morale internazionale su tali Governi, per portare al pubblico questioni legate ai diritti umani che altrimenti resterebbero ignorate.
Il Tribunale Permanente dei Popoli era sorto dal Tribunale Russell, precedentemente ideato dal filosofo e politico Bertrand Russell. Contava nella giuria, personaggi del calibro di Jean Paul Sartre, Simone De Beauvoir, James Arthur Baldwin e molti altri attivisti, giuristi e intellettuali.
Il primo Tribunale Russell, che si realizzò in numerosi incontri avvenuti tra il 1966 e il 1969, giudicò i crimini commessi dall’esercito statunitense nella guerra del Vietnam. L’evento ebbe una risonanza mediatica che con ogni probabilità influenzò gli eventi che seguirono.
Negli anni Settanta il Tribunale Russell II continuò il suo lavoro e giudicò le azioni compiute dalle dittature nel Sud America, tra cui quella brasiliana e quella cilena, mettendo sulla bilancia della giustizia internazionale i crimini compiuti. Il TPP ad oggi conta quarantasei tematiche, per le quali sono state svolte ogni volta molteplici incontri avvenuti in città di tutto il mondo, ed è ancora sostenuto e organizzato dalla Fondazione Lelio e Lisli Basso, con sede a Roma.
Certo, l’anniversario in cui il Tribunale entrerà ufficialmente nei quaranta non sarà un momento felice per i diritti dei popoli e non ci sarà nulla da festeggiare. Sarà un’infelice occasione per ricordare la penultima sessione del dicembre 2017, che aveva per tema la violazione dei diritti delle persone migranti e rifugiate, tema oggi ancora cruciale per la politica italiana ed europea, che ad oggi non ha trovato vie di decompressione e tanto meno di soluzione, né per quel che riguarda i cittadini né per quel che riguarda i politici italiani, né per gli stessi migranti che arrivano ancora sulle nostre coste, o vengono barbaramente deportati senza preavviso per indicazione del ministro dell’Interno, come nel caso di Castelnuovo di Porto.
Lo spinoso argomento migranti, su cui recentemente è inciampata l’Europa intera, circa un anno fa è stato sviluppato nella sessione del TPP svoltasi tra Barcellona, Palermo e Parigi. Si sono espressi sulle difficili questioni legislative esperti e magistrati, tra cui il presidente in carica Franco Ippolito, il magistrato Philippe Texier, il medico spagnolo Carlos Beristain, la filosofa e attivista Donatella Di Cesare, la politica e scrittrice Luciana Castellina, l’esperto di diritti umani Francesco Martone e Luis Moita, professore di teoria delle relazioni internazionali.
Dopo aver valutato attentamente il caso, pesando sulla bilancia i diritti degli esseri umani e i trattati internazionali firmati dal nostro Paese nell’ambito dell’immigrazione, la sentenza era stata univoca: l’Europa e l’Italia sono le colpevoli morali della situazione attuale, della morte di tanti migranti nel Mediterraneo e del comportamento irresponsabile del nostro Paese per quel che riguarda l’accoglienza.
Il TPP, allo scopo di rendere efficace la sentenza, aveva inoltrato all’Europa la richiesta di una moratoria sull’attuazione degli accordi firmati dall’Italia in materia e invitato il Parlamento italiano a convocare urgentemente una commissione d’inchiesta sulle politiche migratorie.
Tema della sessione è stato l’uso e la destinazione di fondi destinati alla cooperazione internazionale, al fine di identificare e perseguire eventuali responsabili dell’infrangimento delle leggi. Anche i giornalisti e i mass media sono stati citati come responsabili di una scorretta informazione sulle questioni migratorie. Infatti, secondo la sentenza è dovere dei mass media “riconoscere il popolo migrante, non come minaccia, ma come titolare di diritti umani fondamentali.”
In conclusione, le parole depositate nella sentenza erano state consegnate all’Unione Europea poco prima dell’elezione dell’attuale Governo. Oggi, dopo un anno di politica in cui i migranti sono diventati oggetto di un contenzioso politico che si traduce in un conto alla rovescia che ne minaccia il diritto alla vita mentre sono in mare, le parole della sentenza del dicembre 2017 risuonano come il tonfo di un masso che cade nel vuoto, trascinando l’Europa con sé, inascoltate.