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Molestie online, giornalisti sotto attacco, le donne soprattutto

Molestie e insulti online sui canali social per intimidire i giornalisti: questo è l’ultimo preoccupante allarme per la libertà di stampa in tutto il mondo. A documentare il fenomeno c’è un’inchiesta di Reporters without borders.

Troll, singoli individui o comunità di persone che si nascondono dietro gli schermi del pc in anonimato e veri e propri mercenari online pagati da regimi autoritari sono i protagonisti di queste storie di intimidazioni, violenza verbale, diffusione di falsità e calunnie.

Tutto inizia con la disinformazione, ovvero i contenuti giornalistici sui social network sono sommersi da un’inondazione di notizie false e contenuti pro-governativi. Con lo scopo di amplificare il più possibile l’effetto denigratorio e di falsificazione, l’impatto dei contenuti pro-governativi è artificialmente migliorato dai commentatori che sono pagati dai Governi per pubblicare messaggi sui social network o tramite bot, programmi per computer che generano automaticamente post.

I singoli giornalisti, quindi, sono presi di mira, insultati e minacciati, allo scopo di essere screditati e ridotti al silenzio. Le ripercussioni negative non sono soltanto nei confronti della libertà di informazione e della diffusione della verità. Le conseguenze di questo fenomeno si traducono innanzitutto nel condizionamento della vita personale dei giornalisti.

Ad aprile 2017, il Consiglio d’Europa ha pubblicato un’indagine sulle molestie contro i giornalisti nei 47 Paesi membri. Dei 940 intervistati, il 40% ha dichiarato di essere stato sottoposto a forme di molestia che hanno inciso pesantemente sulla vita quotidiana. Di questi casi, il 53% era costituito proprio da cyber harassment.

L’impatto psicologico di tali abusi è importante. Secondo l’inchiesta europea, infatti, i giornalisti vittime di violenze online decidono spesso di modificare le loro inchieste o addirittura di lasciare la professione. Nello specifico, il 31% di essi attenua i contenuti dell’inchiesta svolta; il 15% smette proprio di raccontare i fatti; il 23% decide di non occuparsi di alcuni argomenti e il 57% nasconde di essere stato preso di mira dalle intimidazioni.

International Women’s Media Foundation ha svolto un’inchiesta nel 2013, registrando che, su circa 1.000 giornaliste donne intervistate, almeno i due terzi sono state vittime di molestie. Un quarto di esse ha subito abusi online.

A testimonianza dei dati, ci sono molte storie. La giornalista freelance indiana Rana Ayyub è stata pesantemente presa di mira dai troll per aver criticato il discorso nazionalista del Primo Ministro Narendra Modi. Sue anche le importante inchieste sulla violenza anti-Sikh nel 1984 e sul massacro dei musulmani nel 2002. Agli appellativi “islamo-fascista”, “schiava del sesso per l’IS” e “porkistana” (gioco di parole tra maiale e pakistana), si sono aggiunte diffamazioni tramite fotomontaggi sui social e ingiurie contro familiari. L’odio contro la giornalista ha raggiunto il suo apice quando, nel 2017, un falso tweet l’ha accusata di aver difeso una banda di molestatori. I troll hanno addirittura pubblicato il numero di telefono della giornalista sui social. La polizia indiana ha agito per proteggere Rana Ayubba, dopo l’insistenza proprio di RFS.

Rana Ayyub presenta il suo libro “Gujarat Files: Anatomy of a cover up”, preso di mira dal Governo. Foto da Wikimedia Commons

Khadija Ismayilova, giornalista investigativa azera, è addirittura finita in carcere per essersi occupata di inchieste sulla corruzione ad alti livelli. Le intimidazioni sono arrivate online, con il ricatto di pubblicare video della vita privata girati con telecamere nascoste. La diffusione sui social è avvenuta quando la giornalista ha rifiutato di smettere le sue indagini. Rilasciata nel 2016, oggi Khadija vive ancora sotto sorveglianza e non può viaggiare all’estero.

Scenario simile nelle Filippine. La giornalista Maria Ressa, editrice del sito online di news indipendente Rappler, ha subito minacce di stupro e di morte sui social. Insulti e intimidazioni sono state diffuse contro di lei dopo alcune inchieste sul Governo di Duterte, in carica dal 2016. La testata online Rappler è ancora presa di mira da troll e diffamazioni.

L’Europa non è esente da questo pericoloso fenomeno. Nel 2017, la giornalista francese Nadia Daam è stata attaccata online dai membri di un forum per ragazzi, JeuxVideo.com. I troll hanno molestato la donna inondando la sua casella di posta elettronica di messaggi e siti a sfondo pornografico. Inoltre, la giornalista ha ricevuto sui social minacce di morte e di violenza contro la figlia. La denuncia per cyber harassment da parte di Nadia Daam ha portato alla denuncia dei due responsabili delle ingiurie online.

Laura Kuenssberg – Prima donna a diventare editore politico di BBC News. Foto da Wkimedia Commons

Alla giornalista della BBC, Laura Kuenssberg, è stata assegnata la guardia del corpo per alcune sue inchieste contro il Partito Laburista. Gli abusi online subiti e le minacce violente ricevute durante il suo lavoro di indagine riguardante le vicende politiche del Labour Party hanno spinto RFS a mettere in guardia la Gran Bretagna sul clima di oppressione per la libertà di stampa.

Anche l’Italia conta i suoi episodi di violenza online contro i giornalisti. Nel 2014, Silvia Fabbi del Corriere Alto Adige è stata aggredita verbalmente sui social dopo un’intervista ad un ragazzo musulmano sul tema “Convertirsi all’Islam”. L’articolo ha scatenato insulti contro la giornalista, provenienti anche da politici locali, come il candidato sindaco della Lega Nord a Merano, Sergio Armanini e il consigliere comunale Maria Teresa Tomada. Tra i commenti più pesanti: “Ma perché non le mettiamo un burka e la facciamo andare in Nigeria? Forse dopo il centesimo stupro si sveglierà.”

Più recentemente, il giovane giornalista della Stampa di Torino, Federico Gervasoni è stato preso di mira sui social a causa di una sua inchiesta sulla ricostituzione del gruppo di estrema destra Avanguardia nazionale a Brescia. In rete sono apparsi messaggi contro il giornalista, accusato di essere: “uno con tendenze all’alcol, alla droga, un tossico, suicida”. La minaccia è stata: “siamo pronti, basta un cenno e agiamo tutti insieme”.

Stessa sorte per la redazione di Tp24.it, organo di informazione online di Trapani. Le intimidazioni continuano ad arrivare sulla pagina Facebook, minacciando di morte i giornalisti.

L’allarme c’è ed ha spinto politici e rappresentanti della stampa alla creazione di una “cabina di regia” per il Coordinamento per la sicurezza dei giornalisti, presso il Viminale.

Uno dei Paesi tristemente protagonista delle molestie online contro i giornalisti è anche il Messico. Qui le campagne di disinformazione, la diffusione online di fake news e le attività dei bot hanno raggiunto livelli senza precedenti. Durante l’ultima campagna elettorale nel giugno 2018, il dibattito pubblico politico è stato falsificato da vere e proprie bande di troll armati di contenuti falsi da pubblicare sui social. La manipolazione e falsificazione della realtà, quindi, hanno raggiunto liveli incontrollabili.

Si stima che in Messico il 18% dei contenuti twitter sia creato proprio da bot. E nello Stato sudamericano i giornalisti ricevono molte minacce online oltre a rischiare proprio la vita (sono 11 i giornalisti uccisi nel 2017 e 6 nel 2018). Il giornalista Alberto Escorcia ha scoperto che account messicani sono stati usati per influenzare il referendum sull’indipendenza della Catalogna nel 2017. Colpevole di aver indagato anche sull’esistenza e l’utilizzo di 75.000 bot per oscurare la protesta contro la scomparsa di 43 studenti in Messico nel 2014, ha ricevuto minacce di morte e ha dovuto lasciare il Paese. La sua scoperta di account dormienti, riattivati per influenzare le ultime elezioni politiche messicane, si è trasformata in pesanti intimidazioni personali online.

L’allarme lanciato da RFS è grave ed importante. La manipolazione online delle notizie e la violenza contro chi indaga sulla realtà rischiano di dilagare incontrastate, poiché spesso gestite proprio dal potere politico. Molti Stati, infatti, hanno già radunato dei veri eserciti di mercenari del web.

I cyber-soldati vietnamiti, le fabbriche di troll russi, i “Little Pink” cinesi, i “Yoddhas” di Narendra Modi in India, i “troll bianchi” di Erdogan in Turchia, i cyber-guardiani della Rivoluzione in Iran sono solo alcune delle organizzazioni governative reclutate per attacchi online. Nelle Filippine, i più poveri postano fake news a favore del presidente per 10 dollari al giorno.

Proprio la complicità politica e del potere rendono la lotta al cyber harassment molto difficile.

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