La cronaca internazionale torna a parlare di allarme per la foresta incontaminata e per i suoi abitanti. Si tratta di un luogo e di persone dal sapore fiabesco? No. Questa parte remota di mondo esiste e vive. È il polmone verde amazzonico compreso tra Perù, Bolivia e Brasile, casa naturale del più alto numero di tribù indigene del pianeta.
Queste comunità vivono in una profonda e sana interazione con la natura, custodi di un territorio prezioso per tutti. Le popolazioni non ricalcano la vita primitiva, piuttosto sono l’esempio di quanto diversificata possa essere l’umanità.
I gruppi esistenti e conosciuti comprendono Isconahua, Matsigenka, Matsés, Mashco-Piro, Mastanahua, Murunahua (o Chitonahua), Nanti, Sapanawa e Nahua. Essi conducono un’esistenza nomade, seguendo i ritmi delle stagioni per procurarsi da vivere. Il loro isolamento e la volontà di restare fuori da ogni contatto con altri esseri umani ha una spiegazione molto semplice: il desiderio di vivere come hanno scelto.
L’infiltrazione del mondo esterno, infatti, è stato e sarà sempre letale per queste popolazioni. Distruzione, violenza e morte sono le sicure conseguenze per le tribù a seguito del contatto con commercianti illegali di risorse, taglialegna, trafficanti di droga, allevatori in cerca di terre, missionari convinti dell’importanza nella conversione ad una vita “sociale”.
La vulnerabilità di queste persone è molto alta. Anche un semplice raffreddore può portarle alla morte e, velocemente, alla scomparsa dell’intera tribù.
Difendere questi gruppi ha un duplice valore. Innanzitutto, significa riconoscere il diritto all’esistenza anche di queste tribù. Un diritto sancito come fondamentale, riconosciuto ufficialmente e in modo vincolante per i Paesi firmatari – tra i quali il Perù – dalla Convenzione ILO 169.
Il documento è l’unica legislazione che riconosce i popoli indigeni come degni di sopravvivenza e di protezione, portatori del diritto di scegliere autonomamente dove e come vivere.
Inoltre, opporsi all’invasione di queste terre e al contatto con le popolazioni industrializzate si traduce nella salvaguardia dell’ecosistema. Le terre abitate in modo pacifico e senza impatto ambientale da questi gruppi rischiano la distruzione se invase dai progetti di sfruttamento governativi.
È proprio questo rischio di massacro, umano e naturale, che minaccia nuovamente le comunità incontattate del Perù. Poche settimane fa, infatti, la soprannominata “strada della morte” è stata approvata dal Congresso peruviano.
Il progetto di legge prevede la costruzione di 270 km di strada per collegare Puerto Esperanza con la località Inapari, ai confini con il Brasile.
Il percorso attraversa il cuore amazzonico incontattato di riserve naturali, che non dovrebbero essere toccate, secondo la legge nazionale. Nello specifico, avrà un sicuro impatto devastante sulle regioni Madre de Dios, Ucayali e su parchi nazionali, come l’Alto Purus. Tutta l’area interessata è abitata da tribù indigene, tra le quali Mashco-Piro, Chitonahua, Mastanahua and Sapanawa.
Quali sarebbero le immediate conseguenze di questa costruzione e dell’intrusione? Molte, tutte tragiche per gli equilibri biologici e umani.
La “strada della morte”, infatti, andrebbe ad unirsi all’esistente Autostrada Inter-Oceanica, già responsabile di sfruttamenti e traffici illegali nell’Amazzonia.
L’interesse nazionale sventolato dai politici di Lima per giustificare la necessità della nuova costruzione rivela, in realtà, scopi ben diversi. Ragioni puramente economiche e di illegale arricchimento sono prioritarie. Non è un caso, quindi, che tra i maggiori sostenitori del progetto ci siano taglialegna, uomini d’affari ed imprenditori di Puerto Esperanza, politici ed autorità locali. Lo stesso Carlos Tubino, il politico di Fuerza Popular che ha presentato il progetto di legge sulla nuova strada, è stato sospettato di essere coinvolto proprio nel commercio illegale attraverso aerei militari, quando lui era capo militare di Ucayali.
Lo scenario per questo lembo di Amazzonia peruviana si tinge di colori davvero scuri. Alcune delle popolazioni dell’area hanno già conosciuto le tragiche conseguenze dell’arrivo di persone dall’esterno. Nonostante la creazione di parchi e aree protette da parte del governo del Perù in queste zone, le violazioni sono continue e l’attenzione di una politica giusta è davvero debole.
Le attività di sfruttamento minerario e di taglio del legname sono state, e continuano ad esserlo, le più devastanti. Condotte in modo illegale, esse hanno contribuito alla distruzione di villaggi, terre e alla morte di molte persone.
Emblematico è il caso della regione peruviana di Madre de Dios. L’estrazione massiccia e illegale di oro in improvvisate miniere sta distruggendo questa parte di foresta. Secondo alcune stime, dai cinque ai dieci ettari di ecosistema vengono distrutti ogni giorno. Non solo, l’inquinamento dei fiumi sta crescendo in modo esponenziale. La quantità di mercurio presente nei bacini d’acqua è arrivata a superare di 34 volte il limite di sicurezza consentito. Il pesce è, così, avvelenato e la salute delle tribù del posto compromessa. Una brutale pratica, questa, molto comune in tutta l’America Latina.
Molto violenta è anche l’infiltrazione dei taglialegna. La quantità di legno di mogano concentrata nelle terre amazzoniche peruviana è una vera condanna per le popolazioni incotattate. L’oro rosso, come viene soprannominato questo legno tanto ricercato, attrae boscaioli senza scrupoli, che non esitano ad usare le armi contro le tribù del posto. In Perù, i Murunahua sono stati decimati in questo modo negli anni ’90 e i Mashco-Piro rischiano la stessa sorte.
La strada, se davvero si costruirà, non farà che facilitare la penetrazione di trafficanti di questo genere. E le popolazioni indigene? Il loro diritto di esistere e di custodire la terra di tutti? La loro posizione, difesa da AIDESEP e FENAMAD, organizzazioni peruviane per i diritti delle tribù amazzoniche, appare debole.
La sete di denaro e la conseguente distruzione, sotto le false vesti della prosperità di una strada che vuole unire, sembrano avere la meglio. Di nuovo saranno calpestati i diritti umani di popoli pacifici.