Nafusa Mountains e Zuara non sono luoghi molto conosciuti se si parla della Libia. Eppure, essi hanno svolto, e continuano a svolgere, ruoli chiave per comprendere i tanti volti della complessa e frammentata realtà libica.
Situati nella Tripolitania, entrambi raccontano storie di una minoranza che, con la rivoluzione contro Gheddafi, si risveglia e cerca di far sentire la sua voce, soffocata da troppo tempo durante il regime. Sono gli Amazigh, popolo autoctono del Nord Africa, orgoglioso di considerarsi depositario della vera origine identitaria di questo ampio territorio che comprende soprattutto Libia, Marocco, Tunisia, Algeria, Mali.
Gli Amazigh, comunità berbere, rappresentano circa il 5-10% della popolazione totale libica. Nei vicini Stati di Algeria e Marocco, questo gruppo raggiunge anche il 30% e il 60% degli abitanti. La loro lingua, il Tamazigh, si distingue dall’arabo ed è gelosamente custodita come espressione di una cultura e di una identità proprie, da non confondere con le altre.
I berberi in Libia – o meglio gli Amazigh, come questo gruppo vuole essere chiamato al posto di berberi, troppo assonante con il dispregiativo barbari – stanno riscrivendo la loro storia da quando Gheddafi non c’è più.
Durante il quarantennale regime del Rais, infatti, la comunità Amazigh, una delle più rilevanti minoranze del Paese, è stata fortemente perseguitata. L’ideologia nazionalista di Gheddafi è subito sfociata nel soffocamento repressivo di qualsiasi voce minoritaria. In nome dell’arabizzazione dello Stato, i berberi libici sono stati costretti a reprimere la loro identità. Lo stesso Gheddafi non ha esitato a negare ufficialmente l’esistenza di questa comunità.
Di conseguenza, la lingua berbera, il Tamazight, è stata vietata per decenni. Anche i nomi propri di origine Amazigh sono stati cancellati. Per molti anni, questa parte di popolazione libica è vissuta nella paura di esprimere le proprie origini. La storia dei berberi in Libia, infatti, racconta privazioni gravi della libertà.
Il cantante Ashini è stato trattenuto in carcere per 5 anni solo perché cantava in Tamazigh. I fratelli Buzakhar, intellettuali impegnati a studiare e diffondere la cultura berbera, hanno avuto la stessa condanna. I servizi segreti libici hanno trattenuto e interrogato due ricercatori marocchini dell’Istituto per la cultura Amazigh appena arrivati a Tripoli nel 2011, perché sospettati di essere spie. Chiunque ostentasse un legame con il mondo berbero veniva violentemente condannato, considerato nemico dell’unità libica e araba.
In questo clima di opprimente negazione, quindi, è quasi scontato che il primo spiraglio di cambiamento sia accolto come una straordinaria possibilità di affermare la propria libertà. Anche combattendo. È proprio quello che è successo con la rivoluzione contro Gheddafi, nel territorio Nafusa Mountains.
Denominate dal Rais Western Mountains, per cancellare ogni riferimento indigeno al mondo berbero, queste montagne hanno visto rivoluzionari Amazigh impegnati nella lotta. Cancellare il regime e riaffermare la propria esistenza e i diritti negati: questi gli obiettivi dei ribelli di Nafusa.
I combattimenti sono stati importanti in questi territori e il supporto rivoluzionario degli Amazigh molto significativo. La liberazione di alcune città, come Jadu, dalla polizia del regime è avvenuta proprio grazie ai combattenti berberi. Sono loro che costrinsero Gheddafi e le sue milizie a ritirarsi verso Bengasi. La riconquista rivoluzionaria, secondo gli Amazigh di Nafusa Mountains, è iniziata proprio qui. Cacciate le forze del regime, in questo territorio è andata in scena la rinascita berbera.
Mentre la guerra costringeva scuole e strutture alla chiusura in tutto il Paese, qui la comunità ha iniziato ad aprire scuole di Tamazigh, a far parlare la radio locale nelle propria lingua, a diffondere la cultura. Un’oasi di vita nel mezzo della guerra.
Anche Zuara, città costiera della Tripolitania abitata da comunità Amazigh, è un esempio di vivacità e attivismo di queste popolazioni. Liberate dall’immobilismo imposto da Gheddafi, i berberi di Zwara si sono organizzati contro il traffico di esseri umani. Proprio la città, infatti, è stata luogo di partenza di molte barche verso Lampedusa. I cittadini hanno difeso i diritti degli immigrati e cercato di salvarli dagli abusi. Ancora oggi, nella cittadina costiera associazioni e gruppi civili si adoperano per la dignità dei migranti e contro i trafficanti.
Quale futuro si concretizzerà per la comunità Amazigh? Difficile fare pronostici in una Libia così complessa e divisa. I berberi stanno lottando per il loro riconoscimento ufficiale nel Governo e nella Costituzione che verranno. La confusione istituzionale del Paese – frutto, forse, proprio del risveglio di tante voci prima troppo deboli – non aiuta le rivendicazioni Amazigh.
È recente il rapimento di un attivista Amazigh accusato di spionaggio perché usava la lingua Tamazigh. Autrici dell’atto violento e illegale sono state le forze militari vicine a Haftar. Il generale della Cirenaica, Khalīfa Belqāsim Ḥaftar, è considerato una vera minaccia per i diritti delle minoranze e accusato di perpetrare torture su Imam e seguaci della setta ibadita dell’Islam. La fede Ibadi è praticata soprattutto da berberi, pericolosamente denominati “infedeli senza dignità”.
La strada per gli Amazigh pare lunga e in salita, come per tutta la Libia. Più volte la comunità berbera ha rifiutato la bozza di Costituzione perché non tutela, né riconosce la propria identità.
In attesa di elezioni e di un referendum per il testo costituzionale, i berberi sventolano orgogliosi la loro bandiera. Riusciranno ad essere riconosciuti come una parte della popolazione libica, tutta da ricostruire? Oppure, come alcuni suggeriscono, lotteranno per la piena indipendenza e il distacco?