[Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Marcela Perelman e Veronica Torras pubblicato su openDemocracy]
“Un giorno una delle madri ci ha detto che ciò che stavano facendo non ci avrebbe aiutato in alcun modo, che saremmo dovute scendere in piazza, radunarci a Plaza de Mayo perché da tempo immemorabile la popolazione si radunava in quella piazza quando voleva avere notizie su ciò che la preoccupava.”
Haydeé Gastelù de Garcia Buela.
In questo articolo sono state utilizzate le testimonianze di Haydeé Gastelù de Garcia Buela, Maria Adela Gard de Antokolez, Vera Jarach e Taty Almeida, alcune delle Madri di Plaza de Mayo, tratte dalle loro interviste disponibili nell’archivio orale di Memoria Abierta.
Il foulard bianco è diventato il simbolo internazionale della lotta per i diritti umani e della mobilitazione dei familiari, in particolare delle donne, nelle aree pubbliche. A tale simbolo è legata una storia commovente di cui sono protagoniste le madri degli “scomparsi” in Argentina. Una storia che risale alla resistenza e alla prime forme di protesta sociale contro il regime militare, che è continuata sia durante la dittatura sia nell’era più democratica, raccogliendo un ampio consenso in merito alle richieste di giustizia sui crimini contro l’umanità e l’opposizione ad ogni forma di impunità.
Mentre questa piazza vuota è una delle immagini più evocative del colpo di Stato del 1976, il progressivo ritorno sulle strade delle manifestazioni delle Madri di Plaza de Mayo e, anni dopo, le proteste di massa contro l’impunità per i crimini contro l’umanità hanno consolidato il legame simbolico, sociale e politico tra la mobilitazione sulle strade, i diritti umani e la democrazia in Argentina.
La piazza dei fazzoletti
Un evento accaduto in Argentina il 10 maggio di quest’anno ha rafforzato il legame tra i foulard bianchi e la lotta per i diritti umani: la plaza de los pañuelos (letteralmente “la piazza dei foulard”). Circa mezzo milione di persone ha raggiunto Plaza de Mayo a Buenos Aires per opporsi a una decisione della Corte Suprema del 3 maggio scorso che mirava a ridurre drasticamente la pena detentiva per i responsabili di crimini contro l’umanità commessi durante la dittatura. La Corte Suprema ha stabilito che Luis Muiña, condannato per aver commesso tali crimini, avrebbe potuto beneficiare di una riduzione di pena, rendendo la sua condanna insignificante. Questa decisione è stata considerata come una nuova forma d’impunità.
La popolazione argentina ha invaso le strade, manifestando con lo slogan: “Giudici: mai più. Nessun carnefice libero”. Tale dimostrazione di forza è stata ritenuta una tappa fondamentale nel processo di memoria, di verità e di giustizia della nostra nazione che, a livello internazionale, viene riconosciuta per i procedimenti giudiziari in corso presso tribunali ordinari che rispettano la regolarità delle procedure. Ancora una volta gli argentini hanno dimostrato di non avere intenzione di fornire concessioni, di non accettare alcun tipo di regresso nel sanzionare i crimini della dittatura.
A tempo di record, prima ancora che la marcia iniziasse, il Congresso dell’Argentina ha adottato all’unanimità un legge contraria all’interpretazione della Corte Suprema. Quella notte le Madri sono state accompagnate da centinaia di migliaia di persone che hanno alzato i tradizionali foulard bianchi sopra la propria testa – il momento culminante di una storia di lotta che è iniziata 40 anni fa nella stessa piazza.
“Il nostro obiettivo è acquisire visibilità”
Alla fine di aprile del 1977, quando il regime della dittatura era nel momento peggiore, un piccolo gruppo composto da 14 madri si riunì per la prima volta in Plaza de Mayo, considerato il centro del potere politico nel Paese, per avere risposte riguardo alla sparizione dei propri figli. Le madri che componevano questo gruppo iniziale non si conoscevano, ma si erano incontrate già durante i vari pellegrinaggi alle diverse istituzioni dopo il colpo di Stato del 24 marzo 1976.
Le madri degli “scomparsi” si erano incontrate per caso durante le ricerche a livello burocratico dei loro cari, durante l’Assemblea permanente per i Diritti Umani e anche in un ufficio del ministero degli Interni nella sede del Governo che si trovava di fronte a Plaza de Mayo, un ufficio che era stato assegnato allo scopo di ricevere le denunce dei parenti degli “scomparsi” e di offrire informazioni. Le Madri si erano incontrate anche nella Chiesa Stella Maris, sede dell’Ordinariato militare, con il segretario Emilio Grasselli che però “ottenne più informazioni di quelle che ci offriva.”
Ed è stato proprio qui all’Ordinariato che le Madri hanno organizzato il primo raduno il 30 aprile 1977. L’iniziativa è nata da Azucena Villaflor, proveniente da una famiglia impegnata politicamente, convinta che solamente unendo le forze e manifestando per le proprie richieste a Plaza de Mayo le madri avrebbero ottenuto quello che non riuscivano ad ottenere separatamente. Nelle interviste registrate nell’archivio orale di Memoria Abierta, alcune madri ricordano l’inizio della loro lotta. “L’idea era quella di unirsi a chi stava cercando qualcuno. Alla fine ci siamo ritrovate ad essere 14 madri alla ricerca dei propri figli ‘scomparsi’. Li stavamo cercando ed esigevamo delle risposte.”
La data del raduno venne fissata senza consultare il calendario: scelsero un sabato, ma la piazza era deserta. “C’eravamo solo noi e i piccioni.” Dato che lo scopo del raduno era quello di avere un confronto faccia a faccia con le autorità e i cittadini, le Madri decisero di riprogrammare il raduno, prima di venerdì, poi di giovedì – il giorno della settimana che da allora è diventato il giorno del raduno delle Madri nei 40 anni successivi. E ancor oggi continuano a radunarsi a Plaza de Mayo ogni settimana proprio quel giorno.
La piazza divenne il palcoscenico di cui le Madri avevano bisogno per denunciare le scomparse, sia per motivi storici che politici. E fu Azucena Villaflor ad insistere per radunarsi proprio a Plaza de Mayo, da cui avrebbero potuto “stare davanti [al palazzo del Governo] e fare le proprie petizioni”, ed è stata lei a ricordare che “da tempo immemorabile la popolazione si radunava in quella piazza quando voleva avere notizie su ciò che la preoccupava”.
Le Madri ricordano di aver sentito la necessità di unirsi perché quello era l’unico modo che “consentiva di mettere insieme le notizie che ci erano negate.” Si sentivano oppresse dall’assenza di notizie, dalla presa in giro e dallo sprezzo in cui venivano ricevute negli uffici del Governo. A causa del silenzio e della paura delle istituzioni politiche e sociali da parte della maggioranza della popolazione, l’obiettivo era quello di acquisire visibilità, ma anche di essere ricevute da Videla [presidente argentino de facto].
Senza necessità di accordarsi, le madri arrivarono a quel primo raduno senza portare valigie, per non far credere di essere armate. Alcune si erano portate vestiti da cucire, altre avevano la borsa sottobraccio che conteneva le chiavi di casa, le carte d’identità e i biglietti dei trasporti pubblici. “Potevamo crescere perché ci sminuivano.” Durante il primo raduno, piccoli gruppi composti da 2 o 3 donne sedevano a turno sulle panchine della piazza per parlare, sempre sotto sorveglianza. Non si muovevano, erano circondate da soldati armati di fucili e persone che facevano fotografie. “Chiunque affermi che non avevamo paura non è sincero.”
“Abbiamo imparato a muoverci nella paura”
Le Madri hanno poi iniziato a muoversi perché la polizia non permetteva di parlare in gruppo. “Signore, dovete spostarvi perché siamo in stato di assedio e non ci possono essere raduni. Dovete spostarvi.” dicevano gli ufficiali. Così le Madri si prendevano a braccetto e si muovevano seguendo gli ordini, ma senza spostarsi dalla piazza. Molte volte venivano cacciate. “Abbiamo imparato a scansarci e a fingere”. Se ne andavano per una strada, giravano intorno e ritornavano in piazza da un’altra strada. Alcune volte venivano arrestate e discutevano con i soldati. “No signore. Questa donna non si sente bene, non può andarsene [dalla piazza]. Come ben sa, suo figlio è stato rapito.”
Cominciarono a camminare intorno alla Piràmide de Mayo, un monumento al centro della piazza, e piano piano si formava un altro cerchio attorno al primo. “Le persone passavano e ci chiedevano: chi siete?”. Amici, parenti e giornalisti stranieri hanno iniziato ad unirsi a loro. “Erano tempi molto duri e, sebbene avessimo il coraggio di andare per le strade, non riuscivamo a scrollarci di dosso la paura di essere cacciate o arrestate, come era già accaduto varie volte. Eravamo combattute tra la paura e il desiderio di ritrovare i nostri figli.”
All’inizio non portavano i foulard sulla testa, ma quando decisero di prendere parte alla processione di Luyàn per fare sentire anche lì le loro richieste, si accordarono di indossare un foulard bianco sulla testa che rappresentava i pannolini come simbolo dei loro figli. “I foulard sono apparsi la prima volta durante la nostra visita a Luyàn, perché spesso ci perdevamo e non riuscivamo a riconoscerci…così è nata l’idea….non si trattava di un foulard, ma era un pannolino. Simbolicamente legavamo sulla nostra testa un pannolino cosicché potevamo riconoscerci.”
Nel mese di dicembre del 1977, otto mesi dopo il primo raduno in piazza, alcuni ufficiali arrestarono tre Madri che risultano tutt’oggi “scomparse”. Maria Ponce de Bianco e Esther Ballestrino de Careaga sono state rapite dalla Chiesa della Santa Croce l’8 dicembre 1977 da una pattuglia della polizia. Due giorni dopo, durante la commemorazione della Giornata Internazionale per i Diritti Umani e la pubblicazione da parte del quotidiano La Naciòn della prima petizione delle Madri che denunciavano più di mille scomparsi, Azucena Villaflor de DeVincenti fu rapita poco lontano dalla sua casa.
Nonostante l’impatto spaventoso e devastante, le Madri hanno continuato la loro lotta e non si sono ritirate dalla piazza. “Ci siamo aggrappate a quello che aveva detto Azucena: Anche se non ci sarò, voi andate avanti.”
“Quello che ho imparato sulle strade, dalle proteste, dalle discussioni”
I racconti delle Madri indicano che l’utilizzo della piazza come forma di denuncia e richiesta non ha avuto un successo immediato, ma che si è trattato di una strategia graduale che è iniziata con i raduni alle panchine, è continuata con le camminate in coppia, fino ad arrivare ai cerchi piccoli che sono diventati sempre più grandi. “Ricordo che abbiamo festeggiato quando abbiano raggiunto le 70 persone.” Il loro percorso non è stato lineare, ci sono state interruzioni, scompigli, andirivieni. “C’è stato un periodo in cui abbiamo smesso di andare in piazza a causa degli arresti. Abbiamo iniziato a radunarci nelle chiese del quartiere la mattina presto, ma spesso ci buttavano fuori.” Le Madri non erano mai state coinvolte nell’attivismo politico prima di allora, ma hanno imparato il valore della loro presenza in piazza proprio dal loro atto di protesta: “Ho terminato l’istruzione superiore nelle strade, ho imparato nelle strade, dalle proteste e dalle discussioni.”
Le marce che si svolgevano ogni giovedì simboleggiano l’affermazione di queste donne in un periodo in cui l’espressione sociale o politica nelle aree pubbliche era vietata ai partiti, alle corporazioni, alle associazioni di quartiere e alla stampa libera. La presenza delle Madri in piazza ha aperto la strada alla lotta per i diritti umani in Argentina. “Ci siamo unite solo per cercare i nostri figli, non abbiamo deciso di creare un’organizzazione con un programma specifico. Siamo nate per la marcia.” Le Madri di Plaza de Mayo fanno parte di un movimento per i diritti umani che ha conservato un attivismo incentrato sulla richiesta di “giustizia e condanna” e ha incluso un ampio programma di richiesta connesse ad altri diritti umani.
Accordo democratico
Nel 1982, durante l’ultimo periodo della dittatura, le Madri sono state protagoniste di enormi mobilitazioni, come ad esempio la “Marcha por la Vida” [Marcia per la Vita, NdT] il 5 di ottobre e la “Marcha de la Resistencia” [Marcia della Resistenza, NdT] il 9 e il 10 dicembre. A queste marce hanno preso parte anche altre organizzazioni per i diritti umani, alcuni partiti politici e sindacati. Questa confluenza di partecipanti ha rappresentato un segno premonitore dell’ampio consenso contro il terrorismo di Stato che era presente nella società argentina.
Anche dopo la dittatura le Madri hanno continuato a richiedere giustizia per i propri figli e i raduni settimanali in Plaza de Mayo sono continuati anche dopo il passaggio alla democrazia. Nel corso degli anni, le Madri si sono riversate nelle strade anche per altre richieste di carattere sociale, poiché il loro movimento di solidarietà si è esteso anche ad altri gruppi e ad altre questioni. Infatti i foulard bianchi, le richieste di riavere i propri figli e la lotta per la giustizia e la responsabilità sono state riprese nelle lotte delle famiglie delle vittime dell’ingiustizia in tutto il mondo.
Le Madri sono diventate un punto di riferimento per il movimento per i diritti umani, la loro legittimità si è rafforzata con gli anni di lotta continua. Più in generale, sono un punto di riferimento per un ampio gruppo di soggetti sociali e politici che, nonostante la diversità di prospettive, hanno creato una sorta di accordo democratico basato sulla negazione dei crimini contro l’umanità commessi in Argentina durante la dittatura.
Questo gruppo si è riversato sulle strade occupando le aree pubbliche nei momenti più critici della storia recente di questa nazione, quando la giustizia è stata minacciata in diversi modi (a causa delle pressioni militari, delle leggi, dei decreti e delle sentenza giuridiche), un fatto che si è ripetuto dalla fine della dittatura anche durante i trent’anni di democrazia.
Ed è accaduto di nuovo nel 2017 – lo scorso maggio – quando circa mezzo milione di persone ha sventolato i foulard bianchi delle Madri in un atto di protesta verso ciò che è ritenuto una forma inammissibile di impunità, in quella stessa piazza in cui nel 1977 si sono radunate 14 donne unite dal dolore e dalla lotta, per avere risposte sul destino dei propri figli.