Disconnesse, affollate, costose oltre la media. È la fotografia delle metropoli africane sub-sahariane che emerge dal nuovo rapporto della World Bank.
Continua il trend dell’urbanizzazione in Africa, 472 milioni di persone vivono oggi nelle grandi città e si calcola che saranno un miliardo entro il 2050.
Il mito del grande centro urbano attrae in modo inesorabile, ormai, gli abitanti delle aree rurali. Le ragioni sono diverse, la ricerca di una vita migliore e di un lavoro stabile prima di tutto. Ma da qualche tempo anche le conseguenze dei cambiamenti climatici stanno provocando una fuga dalle aree interne o costiere dove desertificazione, erosione, piogge intense o, al contrario siccità, hanno effetti devastanti sulla produzione agricola e sulla pesca.
Il problema è: quanto le città sono pronte ad accogliere una popolazione in costante crescita? Il lavoro accademico della Banca Mondiale porta un titolo che in qualche modo entusiasma, Africa’s cities: opening doors to the world. In realtà le “porte aperte sul mondo” sono ancora perlopiù una speranza. La vita nelle metropoli africane, infatti, non è affatto semplice. Una famiglia può spendere fino al 55% in più per vivere nella grande città rispetto ad altre aree – e non sempre questo vuol dire accesso a servizi primari, come l’acqua corrente o l’energia elettrica, che spesso può subire interruzioni per molte ore. Per non parlare del sistema fognario, elementare o inesistente, e dei servizi ospedalieri pubblici. E per quanto riguarda gli alloggi, spesso le paghe sono talmente basse che ci si può permettere solo alloggi di fortuna. Un esempio su tutti: a Lagos, Nigeria, due persone su tre vivono in uno slum.
Il problema è che vivere in città – soprattutto se non si è scolarizzati e non si hanno competenze lavorative specifiche – diventa un inferno per molte persone che rimangono intrappolate nel ciclo della povertà. Come evidenzia il rapporto della Banca Mondiale, mentre in altri continenti, come quello asiatico, l’urbanizzazione ha anche significato un aumento del PIL pro capite, nell’Africa Sub-Sahariana questo rimane il più basso, una media di 1.000 dollari annui.
C’è poi la questione della “disconessione” dal resto del Paese. Spesso le grandi città africane si sono sviluppate senza un corrispondente adeguato sistema di trasporti e di strade, aspetto che ovviamente incide nelle relazioni tra le persone e le famiglie divise, ma anche sulle capacità di trasporto delle merci.
A volte i trasferimenti nelle città sono dovuti al costo dei trasporti e soprattutto al tempo di percorrenza, troppo elevati per i pendolari. Traffico caotico e incontrollato, strade e mezzi di trasporto pubblico inadeguati incidono non poco sulla scelta di trasferirsi nei maggiori centri abitati.
Tornando ai costi, è stato calcolato che chi vive in una città africana spende tra il 20 e il 31% in più per affitto e servizi rispetto ai cosiddetti Paesi Sviluppati, il 35% in più per il cibo.
Ovviamente tali problemi riguardano non solo i singoli abitanti e famiglie ma anche le imprese, sia locali che estere, che decidono di investire con una sede in una metropoli africana. Se per una serie di servizi e uffici è indispensabile stare in una città, spesso la carenza di infrastrutture adeguate e la distanza dagli altri centri e le aree interne provoca una sorta di bolla che chiude le porte al business anziché favorirlo.
Il dinamismo delle metropoli africane garantisce certo molti vantaggi, ma mostra i rischi derivati dall’impreparazione e dalla mancanza di pianificazione. Le aspettative sono tante, così come le potenzialità, ma la trappola di uno sviluppo abortito è troppo chiara e visibile per non essere riconosciuta. Formalizzare l’acquisto dei terreni e garantire i diritti di proprietà, elaborare piani urbanistici, incrementare i sistemi di trasporto e assicurare i servizi essenziali: sono alcune delle soluzioni possibili. Non solo possibili, indispensabili.
Se le capitali africane – la maggior parte di loro – non smetteranno di essere un gigantesco formicaio dove ci si muove e si vive con disordine e fatica, certo lo sviluppo sarà lento e probabilmente non raggiungerà i risultati auspicati a parole. Un’inversione di rotta, quella sì, aprirà le porte dell’Africa Sub-Sahariana al mercato globale con un vantaggio per il continente e non solo per le imprese estere, grandi e piccole, che hanno comunque trovato il loro interesse a investire in Africa.