Da qualche mese, nella capitale sud sudanese Juba, colorati murales, spettacoli teatrali e canzoni diffondono la frase “Ana Taban”, che in arabo si traduce con l’espressione “sono stanco”. Lo slogan, chiaro e immediato nell’esprimere lo stato d’animo degli abitanti del più giovane Stato africano, dilaniato da un drammatico conflitto interno, dà il nome ad un vivace movimento civile.
Lo scopo di Ana Taban è quello di trasformare frustrazione, disagio, paura, rabbia, sentimenti ben radicati e diffusi tra la gente, in speranza, ottimismo, volontà di cambiamento per una convivenza davvero pacifica.
L’idea originaria nasce da un gruppo di artisti della capitale Juba che, dinanzi al perpetrarsi di violenti scontri tra le truppe fedeli al Presidente Salva Kiir e le fazioni di ribelli guidate dal vice Presidente Riek Machar, decidono di riunire le proprie sensibilità artistiche e dare vita ad un movimento di educazione alla riconciliazione.
Lo Stato africano nato nel 2011 è apparso sin da subito fragile, segnato dalla guerra civile tra Nord e Sud prima dell’indipendenza e da irrisolte questioni di appartenenza territoriale. La lotta di potere e di governo tra i due maggiori esponenti del Movimento per la liberazione del popolo sudanese non ha fatto altro che allontanare la creazione di uno Stato unito, generando aspre e violente divisioni tra la popolazione.
In questo scenario, Ana Taban è molto di più di un grido contro lo scontro degenerato in atrocità tra i due principali gruppi etnici, dinka e neur, ai quali appartengono rispettivamente il Presidente Kiir e il suo vice rivale Machar. Il movimento è una piattaforma permanente rivolta ai tanti giovani sud sudanesi che desiderano cambiare in prima persona il futuro della propria nazione.
La campagna incoraggia ad essere propositivi con idee e comportamenti costruttivi che possano gettare solide radici di giustizia. La forza attrattiva del movimento è il linguaggio dell’arte.
Universale, efficace, colorato, immediato, coinvolgente: lo strumento artistico suscita curiosità tra le persone, avvicina senza provocare timore, diffonde un clima di gioia e speranza, riuscendo così ad impegnare anche i più diffidenti. Ana Taban è oggi una realtà ben radicata, soprattutto tra la numerosa gioventù del Sud Sudan, che rappresenta il 70% dell’intera popolazione.
Gli attivisti fondatori del movimento sono musicisti, dj, cantanti, attori, registi, pittori, estrosi e talentuosi artisti di strada, con un innato carisma e una grande voglia di educare alla convivenza e al senso del bene comune, dell’appartenenza ad un’unica nazione.
La storia di Ana Taban inizia sui muri della città di Juba, che cominciano man mano a trasformarsi in colorati e positivi messaggi. Tra i murales realizzati in varie zone cittadine, colpiscono alcuni disegni di profondo impatto comunicativo. Sulla strada dell’aeroporto, l’azzurro del cielo spicca su un vecchio muro e fa da sfondo a medici, professori, leader religiosi, atleti, pescatori, gente comune del popolo sud sudanese. Lo slogan che incornicia tutti i personaggi suona come una incitazione rivolta ai passanti: “Facciamo tutti la nostra parte”.
Sulle lamiere di vecchi container sparsi nella capitale, tra le rappresentazioni artistiche merita una nota il disegno in bianco e nero di tante persone raffigurate come alberi con lunghe radici. Ognuno tiene in mano un’ascia, pronto a tagliare quelle radici marce e autodistruttive che finora hanno alimentato un senso di identità sbagliato, fondato solo sull’etnicità, sfociata in cieco odio tribale e, di conseguenza, in divisione e guerra.
Un’altra lamiera si anima di persone, grandi e bambini, che alzano in alto ognuno una lettera per formare la frase Ana Taban, accompagnata da una parola chiave che indica ciò di cui il popolo sud sudanese è davvero stanco: oppressione, povertà, fame, violenza, corruzione, ingiustizia, ignoranza, tribalismo. I disegni lanciano la sfida ai giovani, il vero motore del futuro: costruire un nuovo e pacifico Sud Sudan. Un efficace murales sintetizza questa chance: un treno con la bandiera nazionale a forma di cuore va dritto contro un muro e lo fa cadere, aprendosi la strada verso un nuovo destino. “Salva l’ultimo treno” è la frase che tuona, a ricordare che c’è ancora una possibilità per una pace duratura.
Cambiare completamente la mentalità e l’attitudine dei sud sudanesi è lo scopo di Ana Taban e delle sue provocazioni artistiche. Quando gli attivisti si riuniscono per dipingere muri e lamiere, improvvisare canti e balli nei mercati e nelle piazze, mettere in scena teatri di strada e raccontare storie riescono ad avvicinare e a coinvolgere la gente comune.
Si crea così l’atmosfera giusta per lanciare importanti conversazioni, dibattiti, riflessioni, lezioni vere e proprie per promuovere innanzitutto la riconciliazione. Riconciliarsi gli uni gli altri è un atto di responsabilità, di consapevolezza di cosa significa lavorare insieme per gli stessi diritti, per la prosperità di un’unica nazione. Ana Taban vuole proprio educare al senso civico di ogni persona. Le sue campagne artistiche non menzionano il presidente Kiir o il suo vice Machar, non si schierano per la tribù dinka o l’etnia neur, non incitano alla lotta. Il grande valore del movimento sta proprio nel suo linguaggio, composto unicamente da slogan e parole positive, costruttive, imparziali quali: cittadinanza, nazionalismo, pace, fratellanza, solidarietà, impegno, attivismo, dialogo inclusivo.
La nuova generazione ha in mano la svolta, diventando consapevole del ruolo che ognuno può giocare in questa grande sfida e domandandosi: “Perché consenti che gli altri ti usino come uno strumento per i loro interessi? Perché non cominci a pensare a cosa puoi fare tu di veramente innovativo e pacifico per il tuo Paese?”
Ana Taban vuole proprio suscitare questi intimi quesiti con la forza contagiosa e portatrice di bellezza che possiede l’arte, in tutte le sue espressioni. Mentre nelle ultime settimane esperti ONU per i diritti umani richiedono urgentemente un’indagine sulle drammatiche violenze subite dalle donne in Sud Sudan durante i conflitti tribali, i canali social del movimento non si stancano di lanciare nuove campagne e canzoni. È appena uscito l’ultimo video musicale di “Malesh”, che tradotto significa “Scusa”, canzone che insegna a riconoscere gli errori e gli orrori compiuti contro i propri fratelli e a ripartire in un clima di perdono.
Tanti sono gli eventi che Ana Taban continua a promuovere, circondato da un crescente entusiasmo. Nelle parole “My country, my responsibility“, ripetute in un video da giovani attivisti del movimento, è riassunto il valore inestimabile di questa campagna. Solo abbattendo ignoranza e indifferenza la pace può mettere radici fruttuose. E i giovani sud sudanesi lo stanno capendo, armati solo di pennelli, tamburi, microfoni e tanta intelligenza.