Voci Globali

Europa Centrale, politiche anti-immigrati e degrado dei diritti

Un recente Rapporto di Freedom House dal titolo “Central Europe’s Faceless Strangers: The rise of xenophobia in the regionesplora l’evoluzione del sentimento xenofobico tra i Paesi appartenenti al gruppo di Visegrád, ovvero Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia e Ungheria. Di fronte alla grave crisi migratoria che coinvolge l’UE, i Paesi di quest’area hanno a volte assunto un ruolo di guida e modello per molti partiti dell’estrema destra europea. Se il livello di xenofobia è tradizionalmente alto in questa regione, anche durante l’attuale crisi la reazione anti-immigrati è risulta più forte in quest’area (e in Austria) che nel resto dell’UE (cfr grafico).


Una prima differenza che caratterizza tuttavia questi Paesi è che la retorica anti-immigrazione qui non proviene dai movimenti estremisti ma dal centro dello spazio politico (dove si sono ben consolidati nel tempo partiti mainstream di destra o di sinistra, ad esempio Fidesz in Ungheria).

Una seconda differenza è che l’avversione ai migranti non deriva da esperienze reali con gli stranieri, trattandosi di Paesi “monoculturali e principalmente monoetnici” (con l’eccezione della minoranza Rom), con scarsa presenza di popolazione nata all’estero.

I pregiudizi e l’avversione verso gli stranieri sembrano dunque basarsi su “astratte e simboliche rappresentazioni dell’ignoto“. La presenza solo virtuale del migrante, presentato come nemico e le cui caratteristiche non sono concretamente verificabili, facilita le politiche basate sullo sfruttamento del capro espiatorio, il che ha funzionato bene anche durante la crisi dei rifugiati.

Trattandosi di società post-comuniste, risulta molto forte anche l’effetto definito “sciovinismo del welfare”: molte persone in questi Paesi temono l’apparire di gruppi “stranieri” più vulnerabili in quanto potrebbero condurre a un declino del loro status e dei trasferimenti sociali a loro favore.


Lo sfruttamento politico della xenofobia va di pari passo con la questione sicurezza e l’assunzione di misure legislative di contrasto al terrorismo sempre più strette. Questo avviene in tutta Europa, dove però le minacce si sono dimostrate più concrete, e dove le strutture democratiche sono più robuste.
In sistemi meno evoluti in termini di sviluppo istituzionale e di adeguati contrappesi tra i poteri dello Stato, le misure antiterrorismo (come quelle adottate in Austria, Ungheria e Polonia) sono particolarmente preoccupanti perché minacciano di indebolire i diritti e le libertà civili e di marginalizzare le istituzioni indipendenti.

L’ulteriore rischio è che nel lungo termine siano le forze populiste ad approfittare dell’agenda politica promossa dai partiti di governo dell’area, in un contesto di “generale insoddisfazione, ostilità all’establishment, indebolimento della cultura di mutuo rispetto nella sfera pubblica“, fattori chiave del successo dei movimenti populisti.
La sfida allo sviluppo della xenofobia nella regione dovrà quindi necessariamente affrontare le cause complesse e profondamente radicate nelle società che la alimentano.

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