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Taxi Cairo, un tour attraverso convivenze difficili

Murales nei pressi di piazza Tahrir, foto di Angelo Calianno.

Murales nei pressi di piazza Tahrir, foto di Angelo Calianno.

Nota dell’autore: nomi e riferimenti che potessero ricondurre agli intervistati sono stati cambiati. Per lo stesso motivo sono state omesse precisazioni dettagliate sui luoghi descritti.

Avevo conosciuto Jibril e il suo taxi qualche mese prima quando dal Cairo ero partito per il Sudan.

Perché rimani così poco al Cairo?” mi aveva chiesto, “C’è tanto da scrivere e raccontare qui“. Allora promisi che al mio rientro mi sarei fermato di più.

Qualche mese dopo, quando venne a prendermi in aeroporto, cominciammo a chiacchierare, mi chiese se c’era qualcosa che avrei voluto vedere in particolare. Conosco già le attrattive di questa città e mi sono fatto alcuni amici tra i giornalisti, mi mancavano però dei tasselli, quelli dello strato suburbano, poco incline al racconto. Jibril mi fece quindi una proposta unica:

Non posso accompagnarti quando sono in servizio, perderei soldi preziosi, quelli dei turisti che vogliono andare alle piramidi, e ormai sono pochissimi. Però quando stacco, posso venire con te e raccontarti qualcosa, le storie sono tante e poco conosciute, in particolare quelle dei cristiani, delle danzatrici e dei maiali“.

Questo racconto però non può proseguire senza una premessa importante sulla situazione politica egiziana.

Dopo la rivoluzione e le proteste della Primavera araba nel 2011, sono cambiati molti scenari. I Fratelli Musulmani andarono al potere conquistando 235 seggi su 508, 121 invece furono presi dal partito salafita, anch’esso con una forte impronta islamica. Nel 2013 un colpo di Stato militare riportò il Paese nel caos e sospese la Costituzione, un mese dopo centinaia di simpatizzanti e attivisti dei Fratelli Musulmani vennero incarcerati e giustiziati. Molte testate giornalistiche contrarie al regime furono costrette a chiudere. Nel 2014 le elezioni (anche se con molti dubbi sulla loro regolarità), furono vinte da Abdel Fattah al Sisi, ex capitano dell’esercito, Al Sisi giurò guerra all’estremismo islamico, eppure il Paese ci ritrovò di nuovo in una sorta di regime, anche se non ferreo come la shari’a di altre nazioni musulmane.


Murales nei pressi di piazza Tahrir, foto di Angelo Calianno.

Cristiani

Il mio tour in taxi comincia dal Cairo copto, Jibril abita da queste parti, prendiamo un tè da un suo amico, sbuffa quando sente il muezzin che richiama alla preghiera:

Eccoli che ricominciano, io incolpo loro di tutta questa crisi, i musulmani estremisti. La rivoluzione doveva cambiare la situazione invece ci siamo ritrovati con palazzi semi distrutti dagli scontri, turisti spaventati e sempre più estremisti che ci odiano, prima facevo anche dieci corse al giorno per portare i turisti a Giza, ora a malapena tre in un mese, quando va bene.

Gli chiedo: “Cosa intendi quando dici che vi odiano?

Vedi, abbiamo sempre vissuto relativamente in pace, c’erano delle leggi, alcune non giuste, ma se le rispettavi, tutto andava bene. Dopo la Primavera araba però, molti dei musulmani più estremisti che fino allora con Mubarak stavano in silenzio, hanno alzato la voce e si sono sentiti in diritto di fare quello che prima non facevano, non approvano i costumi cristiani considerati “peccaminosi” e quindi attacchi alle donne senza velo, distruzione dei locali con musica occidentale, pestaggio di gente considerata omosessuale. L’odio, prima latente, sta crescendo, e ne paghiamo tutti le conseguenze. Il nuovo presidente ha condannato gli estremisti ma nella mia esperienza della nostra storia, ad un regime segue sempre un altro regime.

Il quartiere dei cristiani è blindato, i soldati e la polizia indossano protezioni e scudi anti-bomba, la metropolitana è recintata da transenne e un carro armato, metal detector e soldati presidiano le principali stazioni. Se non fossi sicuro di essere in tempo di pace, sembrerebbe un luogo di guerra.


Cairo, il quartiere cristiano copto. Foto di Angelo Calianno.

Danzatrici

Le prime immagini di danzatrici del ventre appaiono addirittura nei geroglifici di alcune tombe faraoniche, un’antica e splendida arte che è arrivata fino ai giorni nostri passando per le carovane del deserto con musicisti e cantastorie. Questa danza ha cominciato ad essere nuovamente stigmagizzata agli inizi degli anni ’90 quando gli islamici più conservatori, che controllavano i matrimoni nelle zone periferiche del Cairo, hanno cominciato a vietare alle donne di cantare e ballare. Quasi tutte tra coloro che prendevano parte ai matrimoni erano danzatrici di professione e dovettero quindi rinunciare alla loro fonte di sostentamento e passione per indossare un velo. In casi estremi e anche per una forma di protesta, il burqa.

Il taxi di Jibril mi viene a prendere di notte, quando ha terminato il turno. Mi porta in uno dei quartieri più periferici e cupi del Cairo, si fa fatica a capire quanta diversità possa esistere in una città di venti milioni di abitanti, lo si scopre solo venendo in questi luoghi.

Andiamo lì, c’è una persona che devi conoscere” mi dice.

Entriamo in uno squallido locale senza insegna dove si esibiscono ragazze che fanno la danza del ventre, in questo quartiere è permesso ballare solo dopo le due di notte. Una delle danzatrici conosce Jibril e dopo essersi cambiata, viene a salutarci. Nel locale il volume della musica è altissimo, non si vede quasi più nulla a causa del fumo di sigarette e narghilè.

Soheir è di famiglia musulmana, anche se lei non è praticante, vive sola con la madre anziana e malata, ha sempre avuto la passione della danza del ventre e qui a esibirsi ci viene di nascosto:

Jibril non poteva portarti in un posto peggiore, dopo due drink qui gli uomini diventano aggressivi, io ballo soltanto, ma quasi tutte le altre donne sono anche prostitute, negli ultimi anni è diventato sempre peggio, la danza ormai si è divisa in due luoghi: quella negli alberghi a cinque stelle, dove assistere costa anche 400 sterline egiziane (circa 60 euro) e nessuna di quelle donne è egiziana, sono ormai libanesi, tunisine, turche e addirittura americane, è diventata solo una cosa per i turisti. Poi ci sono questi luoghi, dove ci siamo noi, quelle a cui è vietato ballare per gli infedeli, come dicono loro. Ci accontentiamo allora di qualche mancia e una misera paga, chi ha bisogno di più soldi deve prostituirsi.

Soheir si raccoglie i lunghissimi capelli neri e ricci sotto il velo e ci saluta: “Amo i miei capelli“, dice prima di andare.

Maiali

Ho scoperto l’esistenza di Muqattam, la città spazzatura del Cairo, grazie ad un mio amico giornalista. In questo quartiere i cristiani copti raccolgono l’immondizia di tutto il Cairo, una comunità di trentamila persone vive di questo: spazzatura. I cumuli d’immondizia vengono separati con le mani e venduti alle compagnie di riciclo: strade, piano terra e garage di qualsiasi abitazione sono interamente coperti dai rifiuti. E poi c’erano… i maiali. Anche Jibril veniva qua a comprare questa carne, altrimenti quasi impossibile e costosa da trovare nel resto della città.

La storia della scomparsa dei maiali a noi potrebbe suonare bizzarra, per gli Zabbaleen però, gli uomini immondizia del Cairo, lo è meno, Ali, uno di loro, mi racconta:

Qui ricicliamo l’85% dell’immondizia che recuperiamo da tutto il Cairo, una volta però riuscivamo a riciclare anche l’organico, avevamo i maiali. Loro mangiano tutto, quindi li facevamo crescere e poi vendevamo la carne agli alberghi a cinque stelle, navi da crociera o alle altre famiglie cristiane che il maiale potevano mangiarlo. Dopo la Primavera Araba però questo fu vietato dal governo temporaneo dei fratelli musulmani, io sono riuscito a vendere i miei, altri invece hanno dovuti sopprimerli senza poterci guadagnare nulla, per noi era una fonte di guadagno importante, ora l’organico imputridisce ai lati delle strade solo per una questione morale o religiosa.

Dopo qualche tempo rivedo Jibril, salgo sul suo taxi che questa volta è diretto in aeroporto. Riparliamo del nostro tour intenso, due giorni e due notti che mi hanno fatto scoprire differenze profonde e nascoste da giornali e propagande. Il “tour dell’odio“, come lo ha definito lui, finisce con l’ennesimo controllo della polizia militare a un check point.

Ci auguriamo una buona notte sperando che appena tornerò la situazione sarà cambiata. In arabo buona notte si dice: tosbah ala khair che tradotto letteralmente vuol dire risvegliati nel bene.


Cairo, la città spazzatura di Muqattam. Foto di Angelo Calianno.

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