Voci Globali

Diritti lavoratori migranti, Convenzione inapplicata dopo 25 anni

Effetti personali di un lavoratore migrante, Pechino. Foto di michael davis-burchat su Flickr, licenza CC.

Effetti personali di un lavoratore migrante, Pechino. Foto di michael davis-burchat su Flickr, licenza CC.

[Traduzione  a cura di Luciana Buttini dall’articolo originale di Antoine Pécoud pubblicato su openDemocracy]


Una delle baraccopoli di Machar Colony vicino Karachi, in Pakistan, 3 novembre 2009. Immagine ripresa da Balazs Gardi/Flickr. Creative Commons.
Una delle baraccopoli di Machar Colony vicino Karachi, in Pakistan, 3 novembre 2009. Immagine ripresa da Balazs Gardi/Flickr. Creative Commons.

Venticinque anni fa, il 18 dicembre 1990, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottava la Convenzione Internazionale sulla Tutela dei Diritti di tutti i lavoratori migranti e i membri delle loro famiglie. Si tratta del più ardito strumento giuridico internazionale che sia stato mai concepito al fine di tutelare i diritti fondamentali dei migranti. Tuttavia è anche uno dei Trattati più impopolari: infatti è stato ratificato solo da un piccolo numero di Stati e nessun Paese occidentale che accoglie i migranti l’ha fatto.

La Convenzione dei Diritti dei Migranti appartiene al novero dei nove “principali strumenti internazionali sui diritti umani” adottati dalle Nazioni Unite ma, con soli 48 Stati aderenti, è quella meno ratificata. 189 Stati hanno ratificato la Convenzione sull’eliminazione di ogni forma di Discriminazione nei confronti delle Donne; 196 lo hanno fatto con la Convenzione sui diritti del Fanciullo. Perfino la più recente di queste convenzioni, ovvero la Convenzione Internazionale del 2006 per la Protezione di tutte le persone dalla sparizione forzata, ha preso il posto della Convenzione dei Diritti dei Migranti con 51 ratifiche.

A peggiorare le cose, c’è il fatto che proprio quei Paesi che accolgono più migranti si astengono dal ratificare questa Convenzione, nonostante siano considerati Paesi “human rights friendly“. Le nazioni europee occidentali – dicevamo – hanno ratificato la maggior parte delle Convenzioni sui diritti umani, ma non quella sui migranti. Lo stesso vale per il Canada, l’Australia o gli Stati Uniti. La Convenzione sui Diritti dei Migranti è molto meno ratificata rispetto alla Convenzione sullo Status dei Rifugiati (nota anche come Convenzione di Ginevra) con 145 Stati aderenti. Inoltre è anche meno popolare rispetto ai cosiddetti Protocolli di Palermo contro il contrabbando e il traffico di migranti, che sono stati ratificati rispettivamente da 142 e 169 Stati.

In linea di principio, la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani si rivolge a “tutti gli esseri umani” compresi gli stranieri, i rifugiati o i migranti. Ma in pratica, non tutti gli individui godono dello stesso accesso ai diritti umani, il che spiega il motivo per cui siano stati progettati e adottati Trattati specifici che mirano ad altri obiettivi. Non si tratta solo di Trattati riferiti ai migranti: per esempio anche le donne e i bambini sono stati riconosciuti come categorie di individui particolarmente discriminati che hanno quindi bisogno di mirati strumenti di tutela.

Come gli altri strumenti, la Convenzione dei Diritti dei Migranti non contiene nessun nuovo diritto, ma fornisce un’interpretazione più dettagliata di come i diritti umani esistenti dovrebbero valere anche per i migranti. Questo è politicamente importante: per esempio spesso i migranti irregolari si trovano in una sorta di zona grigia quando si tratta di norme in materia di condizioni di lavoro, protezione sociale o il diritto di organizzarsi in sindacati. La Convenzione è l’unico Trattato che descrive chiaramente in dettaglio i loro diritti, così che dovrebbe essere più facile per i migranti clandestini e i loro rappresentanti rivendicarli e farli attuare.

Allo stesso modo, come tutte le Convenzioni di questo tipo, si crea un sistema di monitoraggio per verificare la misura in cui gli Stati rispettino i loro obblighi – trasformando i diritti dei migranti in una questione per portare avanti una discussione multilaterale, in modo da sfidare la sovranità statale. Potrebbe essere questo il motivo per cui i Governi sono così restii nel ratificare questa Convenzione? Anche quando siamo di fronte a Governi che registrano “buoni record di diritti umani”?

In definitiva, le ragioni che si celano dietro il basso tasso di Paesi che hanno ratificato la Convenzione sono politiche ed economiche. In parole povere, applicando in maniera analitica la logica domanda-offerta, notiamo che gli Stati che accolgono i migranti non ricevono alcun reale incentivo per poter a loro volta garantire alla maggior parte dei migranti l’accesso ai loro diritti. Alcuni Paesi come il Regno Unito possono accedere praticamente a un illimitato numero di lavoratori stranieri disposti a svolgere lavori sporchi senza offrire alcuna protezione giuridica. Invece, quando si tratta di lavori considerati di alto prestigio a livello sociale e quindi adatti a migranti qualificati, lo stesso Paese deve concedere un’ampia gamma di diritti per attrarre lavoratori qualificati. Ne consegue che in pratica i diritti dei migranti non sono una questione di standard universali, quanto piuttosto di obiettivi economici dello Stato così come stabiliti nelle politiche interne sull’immigrazione. A questo proposito, la Convenzione risulta fondamentalmente incompatibile con le politiche esistenti di migrazione dei lavoratori poiché concederebbe i diritti a tutti i migranti, indipendentemente dalle loro competenze o dal valore di mercato.

Al di là degli aspetti economici, i Paesi che accolgono i migranti hanno anche pochi incentivi politici per ratificare la Convenzione. In primo luogo, perché i migranti sono degli stranieri, non hanno il diritto di voto e quindi non possono fare pressione elettorale sui Governi. In secondo luogo, perché in un contesto in cui i sentimenti anti-immigrazione sono molto diffusi, è improbabile che gli elettori nazionali manifestino la loro solidarietà nei confronti dei migranti ricordando ai Governi di concedere loro dei diritti. In terzo luogo, perché gli Stati che accolgono i migranti percepiscono una mancanza di “reciprocità” a livello internazionale: i flussi migratori tendono, infatti, a essere unidirezionali, ovvero dal “Sud” verso il “Nord”. Perciò, gli Stati del Nord sono restii nel concedere i diritti ai migranti, sapendo che i loro Paesi di origine non hanno bisogno e motivo di concedere lo stesso, in cambio, a emigranti provenienti da Paesi al Nord del pianeta.

Sebbene a volte può sembrare che i diritti umani siano caratterizzati dal fatto di essere depoliticizzati (dal momento che tutti sono almeno formalmente d’accordo che siano qualcosa di importante per tutti), sicuramente questo non vale nel caso dei diritti dei migranti. Al contrario di altri Trattati simili, la Convenzione dei Diritti dei Migranti rimane qualcosa di contestato – come se nel panorama dei diritti umani i migranti fossero in qualche modo meno degni rispetto ai cittadini del Paese che li accoglie. E questo non potrebbe essere più sbagliato: l’idea stessa che si cela dietro i diritti umani è proprio quella di andare al di là della distribuzione dei diritti sulla base della nazionalità, della ricchezza o del potere. Oggi, i flussi migratori sono in gran parte controllati da una brutale logica di mercato. La Convenzione vuole andare contro questa logica: questo spiega perché goda di così scarso favore, ma anche perché ha la potenzialità di cambiare le politiche di migrazione in almeno tre modi.

In primo luogo, la Convenzione può contribuire a far crescere maggiore preoccupazione in materia di tutela e diritti dei migranti, così da stabilire standard e princìpi in una delle aree meno regolamentate della globalizzazione. In secondo luogo, facendo di questi diritti l’oggetto del controllo internazionale, la Convenzione può incoraggiare ad una prospettiva molto più globale ed equilibrata nel contesto della migrazione, così da controbilanciare i modelli di cooperazione internazionale incentrati sulla sicurezza, che si stanno sviluppando rapidamente. Infine, la Convenzione, mettendo al centro di tutto il lavoro e gli interessi dei lavoratori, va a sfidare le attuali politiche di immigrazione: di per sé la parola lavoratori è davvero importante poiché prevede la convergenza sia degli interessi dei lavoratori nazionali che dei migranti – e questo è proprio ciò che aveva giustamente previsto l’OIL più di un secolo fa. Questo è in netto contrasto con gli attuali argomenti manageriali che affrontano l’analisi dei costi e dei benefici della migrazione, presupponendo una netta distinzione tra una comunità nazionale e un’altra di stranieri che condiziona la presenza di questi ultimi agli interessi dei primi.

La logica universale dei diritti umani è particolarmente importante nel contesto di questo provocatorio divario tra “noi e loro”, ed è per tutte queste ragioni che, a venticinque anni dalla sua adozione, la Convenzione dei Diritti dei Migranti merita ancora di essere sostenuta.

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