[Traduzione a cura di Luciana Buttini, dall’articolo originale di Barzoo Eliassi e Elena Fiddian-Qasmiyeh pubblicato su openDemocracy]
Il violento attacco che lo scorso 10 ottobre ha colpito il pacifico corteo del partito filo-curdo ad Ankara è qualcosa di terribile, efferato, e non si tratta di un’anomalia. In realtà fa parte di una più ampia tendenza storica e contemporanea poiché i curdi sono stati a lungo esposti a diverse forme e gradi di violenza in Turchia e in tutto il Medio Oriente.
In Turchia, le esperienze curde di un governo da un lato caratterizzato dalla laicità kemalista e dall’altro dall’islamismo conservatore, dimostrano che per raggiungere i loro diritti politici i curdi non possono fare affidamento sull’attuale quadro politico. Le loro voci e rivendicazioni politiche sono generalmente interpretate come un attentato alle forze che mantengono l’unità e l’integrità territoriale della Turchia. Le voci del popolo curdo – comprese quelle espresse durante i cortei pacifici – vengono percepite da molti come una sfida diretta ai popoli di origine turca, andando così a sconvolgere la loro capacità di essere degli straordinari gestori o amministratori dello Stato e della nazione turca. Infatti, il principio di organizzazione politica della Turchia viene meglio categorizzato come un’etnocrazia: quest’ultima stabilisce la cittadinanza e i diritti su basi etniche.
In una società etnocratica, il principio è che uno Stato di e per una particolare identità etnica rivendichi la proprietà dello Stato stesso, controlli la sua cittadinanza e abbia anche il monopolio del potere. Al contrario il movimento curdo si oppone all’ordine nazionale in cui i popoli di origine turca vengono visti come i padroni dello Stato e godono di una posizione di predominio attraverso la determinazione delle condizioni di appartenenza allo Stato e la distribuzione dei diritti e delle risorse. In questo senso, il riconoscimento dei diritti curdi viene concepito come il tentativo di rendere la Turchia meno turca e più curda. Come viene anche mostrato dalla nostra ricerca sulla diaspora curda, questo spiega il perché molti popoli di origine turca vengono identificati con la parola “Kurdistan” .
Una delle principali ragioni dietro al recente atto di violenza che ha colpito la Turchia è che i curdi hanno conosciuto un recente successo politico nelle elezioni del Paese nel 2015 quando il Partito Democratico Popolare filo-curdo (HDP) ha impedito al presidente Erdogan di realizzare il suo sogno che consisteva nella creazione di un sistema presidenziale esecutivo in Turchia, il che avrebbe comportato una maggiore presa di potere da parte del Parlamento. Al tempo stesso, sebbene i curdi siano stati le vittime immediate della nascita dell’ISIL (Stato Islamico) nella regione, sono anche apparsi come i più potenti avversari militari nella regione del Kurdistan dell’Iraq e in Rojava, le regioni della Siria prevalentemente curde.
Infatti, in questa regione della Siria la città di Kobane è diventata il simbolo della resistenza curda nel Medio Oriente e qui i curdi hanno ottenuto un crescente riconoscimento internazionale e la legittimità per la loro resistenza. Si potrebbe affermare che, in seguito a questi diversi successi in Turchia, la violenza contro i curdi possa essere proprio collegata all’esaltazione della voce curda sia a livello nazionale che regionale. Il presidente turco è ben consapevole che spesso in Turchia il nazionalismo ufficiale converge con il nazionalismo popolare e questo spiega perché durante gli ultimi mesi e settimane gli attacchi nazionalisti turchi hanno preso di mira sia le sedi del Partito filo-curdo (HDP) sia le piccole imprese curde. Ciò spiega anche in parte perché la violenza tra i turchi e i curdi ora si sia ‘spostata’ (per usare il termine di Edward Said) dal Medio Oriente all’Europa, con i principali scontri che hanno avuto luogo tra le grandi comunità della diaspora curda e turca in Germania e in Svezia.
Le diaspore apolidi in Europa
Uno delle principali chiavi di lettura del contenzioso in Turchia è la convinzione che i curdi siano determinati a voler dividere il Paese attraverso la costituzione di uno Stato curdo indipendente nella regione. Sin dal 2011, la nostra ricerca tra i curdi in Inghilterra e in Svezia, in quanto parte di un più ampio progetto comparativo su ‘Le diaspore apolidi dei curdi, dei palestinesi e dei rom nell’Unione Europea, ha analizzato con precisione in che modo i curdi vedono nella diaspora il loro essere apolidi e il loro attaccamento alla madrepatria nel Medio Oriente.
In Europa i membri della diaspora curda rappresentano in parte un prodotto della violenza politica nel Medio Oriente e spesso sono fortemente coinvolti nella lotta curda. I curdi in Inghilterra e in Svezia comprendono i singoli individui, le famiglie e le comunità emigrate o fuggite dalla Turchia in Europa, ma anche dalla Siria, dall’Iraq e dall’Iran. Considerando questo gruppo così eterogeneo, sorge spontanea una domanda complessa: in che modo i curdi possono eliminare la violenza politica, a cui sono stati da sempre esposti nella storia, nel Medio Oriente, una violenza che viene ripetuta fino ad oggi?
Da un lato, la nostra ricerca conferma che molti curdi iracheni, iraniani e siriani vedono il federalismo e l’indipendenza come la soluzione alla lunghissima violazione dei loro diritti. In questo senso, vi è in effetti un forte desiderio di creare uno Stato curdo indipendente nel Medio Oriente. Dall’altro lato, però, nella diaspora i sostenitori curdi del PKK (il Partito dei lavoratori del Kurdistan) vedono spesso il nazionalismo, lo Stato e il capitalismo come le radici stesse della disuguaglianza politica a cui i curdi sono stati sottomessi nel corso della Storia (e continuano ad esserlo ancora oggi). In tale contesto, la nostra ricerca mette in evidenza il fatto che molti curdi nella diaspora credono che non sia necessaria la presenza di più confini (con la creazione di un nuovo Stato) quanto più diritti. Ciò a sua volta rispecchia i punti di vista di molti membri del movimento curdo in Turchia che hanno mostrato la volontà di abbandonare il nazionalismo e la lotta a favore della creazione di un nuovo ordine politico inclusivo in cui le diverse comunità etnico-politiche possano vivere le loro differenze in maniera relazionale e non gerarchicamente.
Tuttavia, la maggior parte dei nostri intervistati, sia in favore sia contro l’indipendenza o il federalismo, ha lamentato il fatto che i curdi sono un “popolo negato” sia in Medio Oriente sia nella diaspora, dal momento che la loro stessa rivendicazione di un’esistenza politica è vista come una mossa il cui unico scopo è quello di destabilizzare il Medio Oriente. In quella regione la stabilità ha significato da sempre la repressione delle differenze politiche, etniche e religiose e l’affermazione dello status quo politico, così come è stato sperimentato non solo da parte dei curdi, ma anche da parte di altri gruppi interessati durante tutto il periodo della cosidetta Primavera Araba. In questa situazione, finché i curdi continueranno ad essere subordinati e sottomessi alla violenza e alla spoliazione in Medio Oriente, il movimento curdo e la sua diaspora rimarranno politicamente consapevoli e la lotta politica e militare continuerà nella regione con il sostegno della sua diaspora.
L’identità politica curda vista come una minaccia
Complessivamente, la nostra ricerca rivela che i conflitti politici tra il movimento curdo e lo Stato turco non possono essere limitati e contenuti all’interno dei confini della Turchia dal momento che questo conflitto etnico-politico ha una dimensione fortemente transnazionale e coinvolge i Paesi europei che ospitano le grandi diaspore curde e turche. In Europa i recenti e continui scontri che avvengono tra i membri della diaspora curda e turca rispecchiano proprio la violenta transnazionalità di questo conflitto: violenza – come oppressione e resistenza allo stesso tempo – che sta “viaggiando” attraverso il tempo e lo spazio. Mentre la diaspora curda è vista dalla diaspora turca come l’estensione armata del PKK, molti curdi, a loro volta, credono che la diaspora turca sia il rappresentante e il difensore dell’oppressione dei curdi da parte dello Stato turco fuori dai suoi confini.
Se le recenti violenze in Turchia porteranno a una vera e propria guerra civile dipenderà dal modo in cui reagiranno gli altri principali partiti politici turchi e i loro sostenitori. Fino a quando gli altri partiti concepiranno il conflitto come qualcosa tra il partito dominante AKP e il PKK, la guerra civile rimane una conseguenza improbabile. Ma c’è una cosa che è particolarmente evidente: la politica anti-curda e la violenza dureranno fintanto che l’identità politica curda verrà vista come una minaccia e non come il quadro di riferimento attraverso cui i curdi possano rivendicare il diritto di esistere e di avere una presenza normativa politica e reale in Medio Oriente.