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Egitto, la faccia pubblica e quella privata di al-Sisi

[Traduzione a cura di Alessandra Melluso dall’articolo originale di Mina Fayek su openDemocracy]


Il presidente al-Sisi assiste a un intervento del Segretario di Stato americano John Kerry a una conferenza sullo sviluppo economico, Sharm el-Sheikh marzo 2015, da Commons Wikipedia.

La dissonanza cognitiva è uno stato di contraddizione e incoerenza tra le proprie convinzioni e le azioni. Ultimamente, questo termine ha descritto perfettamente l’atteggiamento dei funzionari egiziani – se si presume che essi stessi credano in ciò che dicono – e la recente visita del presidente al-Sisi in America ne è la dimostrazione più evidente.

La settimana scorsa al-Sisi è stato a New York per parlare all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Il numero di sostenitori che l’ha accolto era notevolmente inferiore rispetto allo scorso anno. Durante il suo discorso, al-Sisi ha affrontato numerose questioni, tra le quali l’estremismo, i conflitti regionali e gli ultimi progetti economici del Paese, come l’ampliamento del Canale di Suez.

Numerosi organi di stampa americani, inclusa la CNN, hanno intervistato il presidente egiziano, dandogli modo di esprimere le sue opinioni sulla Siria, la sua idea di mantenere Assad al potere e di affermare l’importanza di contrastare così il terrorismo e le idee estremiste. Rispondendo alle domande dei giornalisti, al-Sisi ha anche sottolineato che l’Egitto non è uno Stato repressivo.

Ma uno sguardo più attento a ciò che avviene nel Paese ci indica il contrario. Mentre il presidente si presenta come un moderato, sostenendo che il suo regime lotta contro l’estremismo, le sue forze di sicurezza hanno esitato a proteggere i Copti dagli attacchi degli estremisti nel quartiere di Amreya ad Alessandria. L’ultimo scontro è avvenuto nella stessa settimana in cui al-Sisi parlava alle Nazioni Unite a New York. Le abitazioni dei Copti sono state attaccate con lanci di pietre e la chiesa è stata assediata. Secondo il racconto del pastore della chiesa, la polizia non è intervenuta.

Chi aveva un po’ di fede ora l’ha persa

Non è la prima volta che il presidente si mostra al mondo con un’immagine totalmente diversa dalla realtà. Durante la visita dello scorso anno all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, mentre discuteva il “contrasto all’estremismo”, le forze di sicurezza egiziane irrompevano nelle abitazioni dei Copti nel villaggio di Deir Gabal al-Tayr a Minya. Centinaia di uomini furono arrestati e, stando al racconto delle vittime, le donne e i bambini picchiati e definiti “infedeli”. Questo è un altro chiaro esempio del conflitto tra ciò che il regime egiziano vuole far credere alla gente e ciò che fa realmente.

Quest’anno, quando la CNN ha chiesto ad al-Sisi di parlare della libertà di espressione, la risposta è stata questa: “In Egitto abbiamo una libertà di espressione senza precedenti. Nessuno può vietare a chiunque lavori nei media, nel giornalismo o alla TV di esprimere le proprie opinioni“. La dichiarazione è arrivata pochi giorni dopo l’assoluzione dei giornalisti di Al Jazeera, condannati (in un primo momento) a tre anni di prigione sulla base di prove inconsistenti e assurde.

I media egiziani sono in realtà un gruppo di supporter, che diffonde bugie senza chiedersi se si tratta di notizie reali. Ai conduttori TV Yosri Fouda e Dina Abdel è stato vietato di presentare i loro show. Persino la satira politica non è più consentita e Bassem Youssef è stato costretto a smettere il proprio lavoro.

Gruppi di attivisti per i diritti umani non hanno perso tempo e hanno replicato alle dichiarazioni di al-Sisi, ricordando che attualmente ci sono 60 giornalisti dietro le sbarre. Il Comitato per la protezione dei giornalisti (CPJ) conta almeno 18 giornalisti detenuti. Il sindacato della stampa egiziana ha affermato che il numero di giornalisti in carcere è salito dai 22 dell’inizio dell’anno ai 35 di agosto.

Alcuni giornalisti sono rimasti dietro le sbarre per mesi senza processo o accuse specifiche. Il fotoreporter Mahmoud Shawkan è stato arrestato mentre seguiva la cronaca dello sgombero del sit-in dei Fratelli Musulmani a Rabaa nell’estate del 2013. Il suo processo è stato fissato solo di recente per dicembre 2015. Shawkan è detenuto ingiustamente da oltre due anni e senza accuse.

Durante il discorso all’Assemblea generale delle Nazioni Unite, al-Sisi ha annunciato una nuova iniziativa denominata “Speranza e Azione per una Nuova Direzione”, che mira ad “impiegare giovani capaci di costruire il proprio futuro“. Personalmente non ho sentito niente riguardo a questa iniziativa, né conosciuto qualcuno che ne  sapesse qualcosa. Questo è piuttosto tipico delle iniziative del Governo – solo parole e nessuna azione, coinvolgimento pubblico o approfondimenti.

D’altra parte, all’inizio del suo Governo, al-Sisi aveva incontrato un gruppo di giovani esperti informatici e imprenditori, compresi alcuni amici e colleghi di lavoro. Hanno espresso idee e progetti, che potevano dare beneficio al Paese nel campo dell’educazione, dell’e-commerce ecc. L’incontro era stato celebrato dai media egiziani come l’inizio di una nuova era nei rapporti tra il regime e i giovani del Paese, e ai presenti era stato assicurato che il Governo avrebbe sostenuto le loro ambizioni. I miei amici non sono stati mai ricontattati e i loro progetti sono rimasti in sospeso o eliminati dall’accordo. Si può senz’altro ipotizzare che fosse una trovata pubblicitaria.

Col passare del tempo, la cosa certa è che tra il regime e i giovani si è creato un rapporto di antipatia. I giovani sono stati enormemente emarginati, perseguiti e molti stanno patendo in carcere solo per aver protestato. Chi aveva un po’ di fede, ora l’ha persa.

Dunque, mentre il regime egiziano cerca di mostrare al mondo un’immagine di rispetto delle libertà e dei diritti, essi vengono violati. E mentre usa gli organi di stampa per assicurarsi il sostegno dell’opinione pubblica, il regime fa davvero il minimo per garantire il benessere dei suoi cittadini.

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