Nona Faustine è una donna. Una donna grassa e nera, newyorkese e nera. Nona Faustine ha fatto del suo corpo “potente” un medium per trasmettere un messaggio altrettanto potente: la denuncia del razzismo strutturale della società americana e il ricordo della schiavitù. La fotografa artista afro-americana è nota per le sue performance live – che diventano poi mostre fotografiche – dove si presenta nuda solitamente in luoghi simbolo dello schiavismo e dell’uso del sudore degli schiavi neri, senza il quale non sarebbe stata possibile la realizzazione di un tale impero economico e politico. Wall Street, l’Hotel de Ville costruito laddove una volta c’era l’anonimo cimitero degli schiavi, l’antico palazzo di giustizia sulla costa atlantica, sono alcuni dei luoghi – tutti a New York – che fanno da scenario alle sedute fotografiche che, nella realtà, si trasformano in veri e propri happening.
Nona – che ha frequentato la prestigiosa Scuola di arti visive ed è esperta di storia afro-americana e della questione di genere – ha capito quanto incisiva ed eloquente possa essere un’immagine sfrondata di tutto. A volte qualcosa “spezza” quella nudità piena di metafore: come delle catene, usate in passato per tenere gli schiavi, come una maschera che rende quel corpo nudo anonimo ma appartenente a milioni di altre vite o come delle scarpe bianche a tacco alto, simbolo – spiega lei stessa “del patriarcato bianco al quale nessuno può sfuggire“.
“White shoes” è stata appunto – e continua ad essere – una delle sue “esibizioni” più note. Ne pubblichiamo qualche foto su concessione dell’artista.
C’era una forza dentro di me che mi spingeva a rendere omaggio a tutti coloro che hanno avuto un ruolo fondamentale nella storia di questa città e degli spazi dove questa gente (gli schiavi Ndr) ha vissuto. Volevo svelare luoghi dove esiste un legame tangibile con il passato. Volevo sentirli e lasciarli immaginare. Come appare un corpo nero oggi nei posti dove, 250 anni fa, esseri umani venivano venduti?
E ancora:
La schiavitù è un argomento controverso, difficile da discutere in America. Fa sentire le persone a disagio. Puoi vederlo da come le espressioni sulle loro facce cambiano quando cominci a parlarne e il ruolo che tale passato ancora gioca sulla nostra psiche danneggiata. […] Ci sono ferite che non sono rimarginate e le conseguenze negative di quella storia sono ancora oggi evidenti. Altro argomento controverso è il mio corpo di donna in vista: nero, grasso e nudo. Molte persone non amano affrontare un’immagine come questa, portatrice per molti di un immenso bagaglio emozionale. La schiavitù e la mia nudità: due elementi che hanno precluso il mio lavoro in alcuni ambienti.
La tratta atlantica degli schiavi, trascinò via dal continente circa 12 milioni di africani (mai se ne saprà il numero esatto) e molti – si parla del 15% – morivano prima di raggiungere il Nuovo Mondo. Un black holocaust o maafa, come lo si definisce in lingua Swahili di cui si fa fatica a parlare, di cui non si prova e non si manifesta abbastanza vergogna.
La Emory University ha effettuato uno studio accurato – elaborando un sito multifunzionale – in cui vengono esaminati 35.000 viaggi di trasporto schiavi tra il XVI e il XIX secolo. Un enorme database, timeline e documenti permettono di ricostruire in parte una storia drammatica della nostra umanità. Uno dei database contiene i nomi degli schiavi catturati e venduti a cui si è riusciti a risalire, con l’età – tra loro molti bambini, anche di 4 anni – il luogo di partenza e di arrivo, la nave su cui sono stati imbarcati. Un modo per avvicinarsi a questa gente, considerandoli e pensandoli come esseri umani. Immaginando le loro facce e le loro storie.
Nello Stato di New York, particolarmente attivo nell’utilizzo della merce umana, la schiavitù fu ufficialmente abolita nel 1827. Ma forse le cose non sono andate meglio neanche dopo… l’assassinio di Martin Luther King risale al 1968 e certo nessuno può negare che le parole schiavitù e razzismo vadano pronunciate sempre insieme.