Notizia pressoché ignorata dai media italiani, la cui agenda è spesso appiattita su stereotipi e improntata a un allarmismo dal respiro corto, in Sierra Leone è stato dimesso pochi giorni fa l’ultimo ammalato ufficiale di ebola. Si tratta di una donna, Adama Sankoh, il cui figlio era deceduto a Freetown a causa della malattia, e ora, contagiata ma ormai guarita potrà tornare al villaggio in cui vive. L’evento, come si può vedere nel video che segue, è stato festeggiato con grandi manifestazioni di gioia dai medici e infermieri del centro di trattamento dell’ebola di Makeni, alla presenza del presidente Ernest Bai Koroma oltre che di un centinaio di persone tra stampa e politici locali, con l’ex paziente che ha vissuto un giorno da rockstar.
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Adesso, perché la Sierra Leone venga definitivamente dichiarata “ebola-free” dall’OMS, bisognerà attendere un periodo di 42 giorni, corrispondenti a due cicli di incubazione della malattia, senza l’apparizione di nuovi casi. Il Paese non è il primo ad allontanare lo spettro dell’ebola, che ha causato 4.000 decessi circa nell’arco di 15 mesi, e segue quanto già avvenuto in Liberia.
Ma, nonostante la gioia di questo momento, la preoccupazione per il futuro rimane elevata: è probabile che qualche nuovo ammalato emerga ancora, inoltre in Guinea la malattia continua a colpire e ha raggiunto anche il confine con la Liberia dove, a sette settimane dalla dimissione dell’ultimo ammalato, si sono verificati alcuni nuovi casi. Senza parlare del profondo trauma subito da questi Paesi e della gravissima crisi economica indotta.
L’immagine che pubblichiamo riprende un’infermiera operante contro l’ebola a Freetown: vogliamo ricordare con questo pezzo l’impegno profuso dalle migliaia di medici e infermieri locali e africani che hanno messo a repentaglio la loro vita – alcuni perdendola – per fermare la malattia.
Tra le preoccupazioni per il futuro della Sierra Leone vi è infatti anche l’elevato numero di vittime tra gli operatori sanitari, tra cui moltissime infermiere e levatrici (7% secondo la Banca Mondiale, a partire da un numero di circa 1.000 in tutta la nazione). Inoltre, di conseguenza si potrebbe verificare un forte aumento del tasso di mortalità materna, compromettendo il trend positivo che vedeva una sua costante riduzione dalla fine della guerra civile nel 2002: quella delle donne incinte appare dunque ora come una delle categorie maggiormente minacciate.