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Cina, 641 milioni di utenti Internet sotto censura ideologica

[Questo articolo è a firma di Greta Pogliani. Appassionata della Cina, ha studiato Lingua e Cultura cinese. Dopo una laurea in Comunicazione Interculturale e una magistrale in Teoria e Tecnologia della Comunicazione ha lavorato tra Italia, California, India e, naturalmente, Cina. Attualmente lavora per Daxue Consulting, società di consulenza specializzata nelle ricerche di mercato in Cina. Potete trovarla su Instagram come LivingShanghai.cn.]

“Se si apre la finestra per cambiare aria, ci si deve aspettare che entri anche qualche mosca.” Uno dei detti di Deng Xiaoping rappresenta anche oggi lo sfondo ideologico della censura cinese.

È il 20 aprile 1994, anche la Cina ha una connessione a Internet. Da questo momento si avvia una rapida crescita, che vede triplicarsi di anno in anno il numero di utenti cinesi online. Il governo cinese comprende sin da subito l’importanza di Internet per lo sviluppo dell’economia del Paese ed è pronto a giocare un ruolo preponderante.

Il 20 aprile 1994, la Chinese Academy of Sciences (CAS) Institute of High Energy Physics (IHEP) realizzò la prima connessione a Internet ufficializzando l'ingresso della Cina nel Web

Un primo sguardo alla Cina di oggi mostra uno scenario sorprendente: il progresso dell’industria di Internet e il moderno stile di vita del popolo cinese, che svolge online ogni genere di attività. Il 34° Statistical Report pubblicato dal CNNIC (l’agenzia amministrativa cinese responsabile degli affari di Internet) indica che, già a giugno 2014, la Cina contava 2,73 milioni di siti Internet e una vastissima quantità di applicazioni mobili. Nello stesso periodo, si sono registrati oltre 641 milioni di utenti attivi, di cui l’83,4% accedeva al Web tramite dispositivi mobili.

La Cina potrebbe presto contare più di 1 miliardo di utenti online perché, come riportato da Daxue Consulting, lo sviluppo di Internet nel Paese cresce esponenzialmente attraverso il successo dei big player nazionali. Baidu, Alibaba e Tencent, sono solo alcuni dei protagonisti del panorama digitale cinese che hanno attirato l’attenzione nazionale e internazionale.

Un secondo sguardo però, svela lo stretto controllo da parte delle autorità cinesi: la censura è probabilmente uno degli argomenti più delicati e discussi sull’utilizzo di Internet in Cina. La Costituzione cinese garantisce libertà d’espressione e di stampa, ma i regolamenti consentono alle autorità di reprimere risorse e contenuti considerati in contrasto alle norme morali e sociali (o semplicemente in opposizione alla politica cinese).

Il Golden Shield Project, noto anche come Great Firewall of China, è il sistema di sorveglianza della rete gestito dal ministro della Sicurezza Pubblica cinese che nega l’accesso a una lunghissima lista di siti Internet, ricerche, contenuti e immagini che diffondono una cultura volgare o che (in qualche modo) minacciano la stabilità politica del Paese. È il caso di alcune pagine di Wikipedia, i servizi di Google (non solo Google Search), YouTube, Facebook, Twitter, Instagram e molti altri ancora.

Insomma, un mix di limitazioni tecniche e culturali non permette agli utenti cinesi di accedere alla rete libera. Il World Wide Web, come lo conosciamo noi.

Il nostro intuito ci dice che è sbagliato, che Internet dovrebbe essere uno spazio governato dal popolo e non dal potere arbitrario di un governo autoritario. Queste riflessioni però non bastano a chiarire una questione fondamentale: fino a che punto il Great Firewall “isola” gli utenti cinesi?

641 milioni di utenti attivi nel 2014, ma una massiccia censura limita le possibilità di accesso alla rete. Foto di pubblico dominio pubblicata su Pixabay

A questa domanda hanno cercato di rispondere Harsh Taneja e Angela Xiao Wu nel loro articolo pubblicato in The Information Society. Come descritto dallo studio, pensiamo che Internet sia un mezzo d’informazione globale, al quale tutti gli utenti (in qualunque parte del mondo) dovrebbero accedere senza restrizioni.

Eppure, i risultati di studi empirici riportati da Taneja e Wu mostrano Internet come una raccolta di singoli mercati (piuttosto che una comunità globalizzata). In altre parole, gli utenti preferiscono interagire con contenuti vicini alla propria cultura, espressi nella propria lingua madre, di cui poter discutere con amici e colleghi. Se però così fosse, allora, si potrebbe affermare che in assenza di censura gli utenti cinesi si comporterebbero allo stesso modo?

Vero è che prima del suo ritiro ufficiale nel 2010, Google ha lottato contro Baidu per ben 2 anni (Baidu è ora leader nel mercato dei motori di ricerca nel Paese). Possiamo perciò affermare che l’evoluzione del paesaggio digitale cinese renda piuttosto complicata questa discussione.

Tuttavia, l’esistenza di numerosi mezzi per aggirare la censura (ad esempio, proxy e VPN), e le continue restrizioni sulle principali piattaforme sociali cinesi dovrebbero farci riflettere. Può davvero il Great Firewall mantenere il rapporto di equilibrio che soddisfa le esigenze del governo e degli utenti cinesi? O si tratta di un’illusione?

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