[In quest’articolo i due autori pongono alcuni problemi che ci sembrano importanti. Per questo abbiamo scelto di pubblicarlo. Si tratta di una polemica in corso su cui gli autori prendono una posizione molto forte. Ovviamente le posizioni sono quelle degli autori dell’articolo originale e non della nostra redazione, ma ci sembrava utile come punto di partenza per una discussione. Per correttezza e completezza invitiamo i lettori a dare ascolto anche all’altra campana leggendosi il blog del prof. Baets e il documento completo a cui si fa riferimento nell’articolo. Traduzione a cura di Benedetta Monti, dall’articolo originale di Dhiru Soni e Mark Hay pubblicato su Pambazuka News]
Questo articolo affronta il tema delle politiche di finanziamento dell’educazione universitaria in Sudafrica, nel tentativo di mostrare come problemi di accesso ed equità, di per sé molto complicati, siano diventati ancora più contorti per l’intervento di agenzie governative e non, spesso molto elitarie. In forma più estesa queste riflessioni sono state sottoposte all’attenzione del prof. Walter Baets, presidente dell’African Business Schools Association (AABS) e preside della Business School dell’Università di Cape Town.
Speriamo di riuscire a mostrare, attraverso riflessioni anche teoriche, come il razzismo e l’elitarismo continuano a prevalere in questo Paese, anche se in una forma più “velata” rispetto al passato. I responsabili di tale razzismo e elitarismo “nascosto” sono ormai portatori di una forma pericolosa di fanatismo razziale. In breve, questi nuovi portavoce del pregiudizio razziale adesso sono diventanti dei veri e propri “prestigiatori” che si muovono “all’interno dei nostri confini”. Dobbiamo rimuovere le loro maschere per rivelare e denunciare la loro vera natura.
Nonostante il regime dell’Apartheid in Sud Africa sia stato abolito ufficialmente nel 1994, ci sono ancora forme di razzismo e elitarismo che continuano a permanere, basate su persistenti squilibri del potere. In questo modo si continuano a servire gli interessi delle élite, emarginando inevitabilmente milioni di persone indigenti che vivono nel Paese. Il problema è reso più complesso e difficile da affrontare dal fatto che l’elitarismo e il razzismo “velati” sono avvolti dalla mistificazione ed è estremamente difficile identificarli e definirli, a meno che non si faccia uno sforzo serio per rimuovere le bende che imbalsamano la bestia malvagia che i sociologi chiamano “razzismo”. Come afferma Bonilla-Silva (1996) “il nuovo razzismo esiste senza razzisti…. Oggi la segregazione e la divisione razziale spesso derivano da consuetudini, da politiche e da istituzioni che non sono concepite esplicitamente per discriminare. Contrariamente a ciò che si pensa, la discriminazione e la segregazione non richiedono ostilità, ma prosperano anche in assenza di pregiudizio o di risentimento. È frequente incontrare forme di razzismo senza razzisti…. Diversamente dal razzismo discriminatorio del passato, il nuovo razzismo è incoerente, non esplicito.”
Il nuovo ‘elitarismo’ esclude piuttosto che opprimere. In apparenza è furtivo e mite, ma la sua missione è crudele e risoluta. Soltanto quando rimuoviamo la superficie “mite” i nostri sensi iniziano a vedere e a sentire il suo nucleo marcio. Il marciume è chiaramente evidente – è come una cellula cancerogena che, se non controllata, può diffondersi e diventare distruttiva. Emana cattivo odore nel vero senso della parola.
In senso più ampio, il razzismo e l’elitarismo non disdegnano affatto l’appoggio e la cooperazione delle leggi, delle politiche e delle prassi che pongono un gruppo di persone in una posizione di svantaggio a causa della loro razza, della loro etnia oppure della loro cultura. Nell’era post-Apartheid in Sud Africa, il razzismo e l’elitarismo hanno più a che fare con i rapporti di potere tra i gruppi all’interno della società. Il semplice fatto di farne parte crea un rapporto quasi simile a quello tra schiavo e padrone, e da al gruppo dominante un potere tale da permettergli di scegliere chi prende le decisioni, quali richieste vengono accolte, quali bisogni vengono soddisfati. Chi appartiene all’elite dominante può decidere di assumersi responsabilità, compiti e ruoli senza essere democraticamente scelto o eletto.
La nuova ‘élite’ crede di avere il potere di decidere sul destino degli altri, compresi gli studenti di colore svantaggiati, presumibilmente perché crede di avere il monopolio sul potere e sulla conoscenza. Il rapporto di potere concede a questi protagonisti di farla franca – principalmente con la convinzione di avere il diritto di pronunciarsi sugli altri, specialmente su coloro che sono vulnerabili e si trovano in situazioni spiacevoli. Generalmente i rapporti di potere permeati da un profondo sentimento di razzismo possono essere palesi o celati. Nel caso dell’Apartheid erano palesi, in quanto erano stati sanciti dalle legge del Sud Africa di quel periodo, mentre, al contrario, nel periodo post-Apartheid le relazioni di potere e il razzismo sono nascosti.
Nonostante siano passati circa vent’anni di leggi post-Apartheid, in Sud Africa l’élite razzista continua a trarre vantaggio dall’ineguaglianza sociale basata sulla razza. McKinney ha osservato che la continua ineguaglianza sociale basata sulla razza rende impossibile ai sudafricani di “allontanarsi dalla razza” o persino pensare alla ‘razza’ in modo diverso. La razza non solo continua ad avere un ruolo significativo nel modo in cui i sudafricani formano sviluppano la loro identità, ma la separazione razziale rimane una base comune dell’identificazione di se stessi e degli altri nelle interazioni sociali in Sud Africa (Collier, 2005). All’interno di questo sistema complicato, i confini razziali sono strutturati socialmente e coloro che sono in possesso del “potere sociale” agiscono come gli unici dispensatori della conoscenza e aspirano ad avere il monopolio del processo di ‘decision-making’. Perciò l’elitarismo e il razzismo non sono visti come un fenomeno che opera ad un livello individuale, ma sono considerati condizioni sistemiche che strutturano i rapporti istituzionali.
Il caso studiato del professor Baets indica chiaramente che i rapporti di potere nel nuovo Sud Africa sono ancora determinati in particolare dal controllo sulle strutture sociali e culturali, tra cui gli istituti d’istruzione superiore, allo scopo di sistematizzare e garantire una distribuzione iniqua dei privilegi, delle risorse e del potere. A questo proposito, la teoria di Bonilla-Silva (1996) è stata molto utile per contribuire alla comprensione della natura sociale e sistematica del razzismo e dell’elitarismo, dando anche informazioni sulla concettualizzazione della natura strutturata del privilegio dei bianchi in un modo più articolato. Pertanto, secondo Van den Berg e altri (2011), gli attuali esiti educativi, influenzati da problemi di accesso e di equità nell’istruzione secondaria, rispecchiano la continuazione e addirittura il rafforzamento delle ineguaglianze lasciate in eredità dall’Apartheid.
Riguardo allo ‘spazio protetto’ e all’autorità nel quadro istituzionale, rispetto alla sua posizione di rettore della Business School e alla sua leadership all’interno della AABS, Van Dijk (1992) offre un’analisi approfondita dei modi in cui sono strutturati il razzismo e l’elitarismo, incentrati sul fatto di essere bianchi e sullo stato inferiore di “non bianchi”. La sua analisi provocatoria ci rammenta le forme impercettibili e integrate del razzismo che spesso rimangono ignorate per i modi in cui i rappresentanti dell’elitarismo e del razzismo sono in grado di sviare la causa e l’effetto attraverso il loro stato e le loro risorse privilegiate. Le sue osservazioni hanno molto da offrire a livello di spiegazione teoretica, sui paradigmi applicabili alle classi meno influenti, nonché alla maggior parte delle forme istituzionali. Van Dijk ricorda al lettore la necessità di comprendere come il discorso razzista e elitario produca strutture razziali delle classi che segnano profondamente la stratificazione e il carattere organizzativo sociale delle società centrate sulla razza. Il razzismo denuncia ed è denunciato dalle sue azioni.
Le denunce di razzismo nell’istruzione superiore stanno aumentando in tutto il mondo. Per esempio, Tracy McVeigh (2002), scrivendo nella rubrica del Guardian Sustainable Business, osserva che nel Regno Unito ci sono stati alcuni episodi significativi di razzismo. In particolare, ci sono state polemiche e discussioni sulla decisione dell’Università del Sussex di non licenziare il professor Geoffrey Sampson, per aver scritto un articolo sul proprio sito web intitolato “There’s nothing wrong with racism” (Non c’è niente di sbagliato nel razzismo), in cui affermava che esistono prove che dimostrerebbero che gli studenti di colore sono meno intelligenti di quelli bianchi.
Sembra che, negli ultimi anni, i razzisti e gli elitisti abbiano trovato nuovi modi per assolversi da ogni “colpa” per i loro comportamenti razzisti. Qui però c’è una strana contraddizione, come cita lo stesso Albert Memmi (1999): “Esiste uno strano tipo di enigma associato al problema del razzismo. Nessuno, o quasi, desidera vedersi come un razzista, eppure il razzismo persiste, reale e tenace.” Sembra che tali razzisti e elitisti abbiano trovato ‘nuove spiegazioni’ che sono diventate giustificazioni per il pregiudizio razziale. A questo si riferisce Bonilla-Silva (2008) quando parla di nuova ideologia razzista, identificandolo come “razzismo daltonico“. Bonilla-Silva spiega l’ineguaglianza razziale contemporanea come prodotta da dinamiche razziali; l’ineguaglianza razziale contemporanea è prodotta dalla prassi del ‘Nuovo Razzismo’, impercettibile, istituzionale, e in apparenza non razzista. Oggi i comportamenti razziali sono del tipo “vedo, non vedo” (Now you see it, now you don’t).
Il nuovo razzismo ‘daltonico’ è utilizzato come armatura ideologica per un sistema istituzionalizzato di elitarismo e razzismo nell’era post-Apartheid. Tuttavia questa nuova ideologia è diventata uno strumento politico formidabile per mantenere il nuovo ‘ordine razziale’. In effetti, questo nuova forma di razzismo aiuta a mantenere il privilegio dei bianchi senza tanto scompiglio. Cela alla vista gli architetti di questi nuovi atti razzisti e di élite, al punto che diventano molto difficili da individuare. Persone autorevoli di razza bianca possono diventare per esempio ‘supervisori’ autoproclamati senza una approvazione democratica appropriata.
Per questi nuovi rappresentanti del razzismo e dell’elitarimo è importante ricordare, come ha affermato l’ex presidente Thabo Mbeki, che “la maggioranza della nostra popolazione ha compreso che la liberazione dall’Apartheid e dal colonialismo deve avere come significato la creazione della possibilità per milioni di sudafricani e africani comuni di avere una vita migliore senza povertà, nonché la ricostituzione della nostra dignità come esseri umani.” Le persone di colore non possono essere semplicemente trattate come cittadini di seconda classe nella terra in cui sono nati, specialmente da parte di persone che sono “straniere” nel nostro Paese.
Similmente, il segretario generale della ANC, Gwede Mantasha, ha sottolineato che durante gli anni dell’Apartheid esisteva la determinazione a conservare il privilegio dei bianchi secondo l’opinione mal concepita che i bianchi sono superiori alle persone di colore. Gradualmente, mentre la nostra società si trasforma, la minoranza bianca sta scoprendo di non essere superiore. La minoranza numerica non può continuare ad essere la maggioranza culturale. Nei vent’anni del Sud Africa post-Apartheid, la maggioranza numerica ha iniziato lentamente ad assumere lo status di una maggioranza culturale.
Bonilla-Silva (2008) osserva correttamente che “alla cosiddetta élite bianca ‘daltonica’ non dovrebbe essere permesso di affermare attraverso le proprie spiegazioni e giustificazioni ‘scaltre’ il proprio diritto di discolparsi da ogni responsabilità del razzismo“, sia in modo aperto che in modo celato.
Data la natura insidiosa del nuovo razzismo velato, il ruolo degli intellettuali per l’esposizione delle azioni vili dei razzisti e della élite diventa un imperativo. A questo proposito, gli intellettuali, specialmente del settore dell’istruzione secondaria, devono avere un ruolo obbligatorio nell’esposizione del fanatismo che esiste nelle loro fila e all’interno dell’ambito più ampio della società. Non possiamo semplicemente affermare di vivere in una società post-Apartheid che ‘non è razzista’ ed è libera dal pregiudizio. Il razzismo è reale, coinvolge tutti coloro che vivono in Sud Africa, e servirà uno sforzo congiunto per sradicarlo.
Le Università promuovono l’idea e il raggiungimento di potenziali competenze da parte degli studenti durante il periodo universitario. Ci si attende che i nostri studenti raggiungano la conoscenza, le competenze e le mentalità (compresi le qualità e i valori), ed è ironico che forse abbiamo il bisogno di chiedere il conseguimento della leadership e delle caratteristiche del personale nelle Università, particolarmente dei valori condivisi e delle qualità umane che migliorano il concetto di università e società.
All’interno di questo contesto, com’è possibile che un accademico senior, un manager di un’unità accademica di un’Università e presidente dell’associazione delle ‘business schools’ possa pronunciarsi in modo negativo e generalizzare sulla qualità degli studenti in Sud Africa e sulle offerte accademiche negli altri istituti accreditati senza cercare una giustificazione? Dove si trova l’aspetto della collegialità in tale leadership? È questa la qualità della leadership che dovremo emulare e sostenere? Come può una tale persona insegnarci i valori intrinsechi alla leadership? I problemi di accesso e di equità negli istituti superiori sono troppo importanti per essere lasciati a individui ingannevoli che preferiscono nascondersi dietro i “veli del razzismo e dell’elitarismo” e impedire ai nostri leader del futuro un uguale opportunità di avere successo nella vita.
In termini di leadership, il caso del professor Beats ci ha avvertito sulle sfide riguardo alle capacità in Sud Africa e in tutto il mondo. Non si tratta più di una sfida alla leadership, ma di una maggior sfida allo sviluppo: in che modo crescere menti migliori. Sembra che lo sviluppo della leadership sia giunto al punto di essere troppo concentrato sull’individuo e elitista. Dobbiamo far avanzare rapidamente un nuovo paradigma nella leadership che raccomanda la teoria che essa sia è un processo collettivo che dovrebbe essere diffuso attraverso le reti di persone, delle organizzazioni e delle istituzioni.
Infine, vorremo usare l’esortazione di Noam Chomsky (1967) rivolta agli intellettuali a lasciare il proprio segno nel sostenere la sofferta libertà che il Sud Africa ha realizzato nel 1994:
Lasciatemi infine tornare a Dwight Mcdonald e alla responsabilità degli intellettuali. Mcdonald cita un’intervista con un ufficiale pagatore di un campo di concentramento che scoppiò in lacrime quando gli fu detto che i russi lo avrebbero impiccato. ‘Perché dovrebbero? Che cosa ho fatto?’ chiese. Mcdonald conclude che ‘Soltanto coloro che sono disposti a resistere all’autorità quando i conflitti sono troppo intollerabili secondo il proprio codice morale, soltanto loro hanno il diritto di condannare l’ufficiale pagatore. La domanda ‘Che cosa ho fatto?’ è una domanda che potremo fare anche a noi stessi quando ogni giorno leggiamo le nuove atrocità commesse in Vietnam – quando creiamo, oppure parliamo, o tolleriamo gli inganni che saranno utilizzati per giustificare la prossima difesa della libertà.