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Burkina Faso, il futuro nella memoria di Sankara

[Traduzione a cura di Benedetta Monti e Davide Galati dall’articolo originale di Brian Peterson, pubblicato sul sito ThinkAfricaPress.]

Bambini del Burkina Faso durante la rivoluzione di Thomas Sankara

Trent’anni fa, il 4 agosto del 1984, l’ex colonia francese dell’Alto Volta venne ribattezzata ‘Burkina Faso’ nel corso di un evento rivoluzionario che ha rappresentato uno degli episodi più memorabili della storia africana moderna, sebbene conclusosi tragicamente.

Nel 1983, il giovane capitano Thomas Sankara, che era salito al potere attraverso un colpo di Stato sostenuto dal popolo – con un ampio sostegno dai partiti politici di sinistra, studenti, donne e contadini – avviò un insieme di progetti ambiziosi, incluso il cambiamento del nome dello Stato, che miravano a rendere il Paese più autosufficiente e libero dalla corruzione. Sankara cercò anche di decentralizzare e rendere più democratico il potere per facilitare le forme di governo più partecipative.

Questo progetto visionario stava godendo una serie di successi quando, il 15 ottobre del 1987, l’esperimento e la vita di Sankara furono interrotti da un gruppo di commilitoni, guidati dal suo ex alleato Blaise Compaoré e sostenuti da potenze straniere, che lo uccise. Compaoré prese immediatamente le redini del Governo mettendo così fine alla rivoluzione.

Durante i ventisette anni trascorsi dalla caduta di Sankara, Compaoré è riuscito a mantenere il potere e ha amministrato il Paese nell’impunità, sebbene ci siano stati periodici movimenti di protesta. In particolare, si assistette a diffuse manifestazioni nel 1998, in seguito all’uccisione del giornalista Norbert Zongo, mentre nel 2011 le proteste e le rivolte sono aumentate notevolmente.

E ora, nel corso dell’anno passato, l’opposizione politica è tornata ad organizzarsi e ha intensificato il proprio messaggio in attesa delle elezioni presidenziali che avranno luogo nel novembre del 2015. Finora, la discussione più accesa riguarda il tema dei limiti della carica. Nel 2000, il nuovo articolo 37 della Costituzione ha ridotto i termini presidenziali da 7 a 5 anni imponendo anche un limite di due mandati. Da allora, Compaorè è stato rieletto due volte, quindi non sarà autorizzato a partecipare nuovamente nel 2015, ma il partito al governo sta richiedendo un referendum sull’articolo.

In questo difficile contesto, le strade della capitale Ouagadougou sono oggi in agitazione, e le immagini e le parole di Thomas Sankara hanno ripreso vita – le sue citazioni affermate durante le manifestazioni, il suo volto stampato su manifesti e magliette, i suoi slogan rivoluzionari come “Homeland or Death, We will Overcome” [“Patria o Morte, Ce la faremo”] ricordati e declamati. Con uno nuovo spirito rivoluzionario, il popolo ha ripreso dal punto lasciato in sospeso da Sankara, riportando in vita la sua dichiarazione del 1987, quando erano cominciate a girare le voci di un colpo di Stato, che “Anche se mi ucciderete, nasceranno altre migliaia di Sankara.”

A capo del movimento – chiamato That’s Enough [‘Ora Basta’] – si trova il gruppo Balai Citoyen (in inglese “Citizen Broom”) e i leader principali sono il musicista reggae e conduttore radiofonico Sams’k Le Jah e il rapper Smockey. Il simbolo della “broom” [scopa] rappresenta sia i gruppi di pulizia dei quartieri che Sankara aveva promosso sia la necessità di ripulire il Paese dal malgoverno e dalla corruzione. I manifestanti vogliono che Compaorè se ne vada, e si avverte molto chiaramente la sensazione che non smetteranno fino a che ciò non accadrà. Il movimento è pacifico e festoso ed ispirato dal movimento giovanile del Senegal conosciuto come Y’en a marre [“We’re fed up” – “Siamo stufi”] che ha avuto un ruolo nel rimuovere dal potere il presidente Abdoulaye Wade nel 2012.

La caduta di Sankara

Come molti sanno, il nome ‘Burkina Faso’ è traducibile come “Il Paese delle Persone Oneste” oppure “Il Paese delle Persone Incorruttibili”, e questo soprannome sembra catturare ciò che significa essere burkinabé (abitanti del Burkina Faso) – onesti, lavoratori, orgogliosi e liberi. Questo nome inoltre riflette la visione multietnica e l’aspirazione a costituire una nazione di Sankara perché unisce la parola mooré che significa ‘onesto’ (Burkina) con la parola jula che sta per ‘Patria’ (Faso).

Ma il cambiamento del nome era anche una dichiarazione contro l’imperialismo. Parlando di questo argomento a Harlem, New York, il 2 ottobre del 1984, Sankara ha spiegato: “Vogliamo distruggere l’Alto Volta per permettere al Burkina Faso di rinascere. Per noi, il nome Alto Volta simboleggia il colonialismo”. Durante un’altra occasione, alla televisione francese Sankara ha continuato affermando: “L’Alto Volta non significa più niente per nessuno, in particolare per noi, i Burkinabés… al contrario, Burkina Faso è un nome che ha origine dalla terra stessa, che nella nostra lingua ha un significato – il ‘Paese degli Uomini Onesti.”

In sostanza, il cambiamento del nome voleva decolonizzare le menti e liberare il Burkina Faso dal dominio culturale ed economico straniero, e molti Burkinabé che hanno vissuto negli anni della rivoluzione ricordano di aver provato un senso di orgoglio nell’essere cittadini del Burkina Faso e di avere come presidente Thomas Sankara, un uomo dinamico e coraggioso. Al di fuori del Paese, Sankara era diventato un eroe rivoluzionario, etichettato come il “Che Africano”, particolarmente tra i giovani. Il suo famoso adagio “L’uomo è capace di creare tutto ciò che può immaginare” ha iniettato una dose di ottimismo e speranza nelle vite di molte persone.

Fedele al significato del nuovo nome del Paese, Sankara è vissuto in modo incorruttibile. In un’epoca in cui molti capi di Stato africani utilizzavano il potere per arricchirsi, Sankara si prefiggeva di porre fine alla pratica dell’impiego del potere politico per il vantaggio personale e ha vissuto una vita frugale e semplice, morendo con pochi averi e pochi soldi o proprietà. Sankara cercava anche di porre fine ai decenni di dominio coloniale e neo-coloniale francese mettendosi in relazione con le Nazioni non allineate. La sua rivoluzione aveva restituito la dignità alle persone conferendo loro una voce politica e attraverso riforme sociali ed agrarie. Aveva trattato molti problemi con energia, dal degrado ambientale ai diritti delle donne, dall’educazione alla produzione locale di cotone e alla salute pubblica. E se c’erano stati degli errori nel corso dell suo cammino, come Sankara stesso ammetteva, aveva sempre cercato di correggerli.

In seguito al suo assassinio, tuttavia, Compaoré fece del suo meglio per prendersene i meriti, attribuendo alle politiche di Sankara tutti i problemi del Paese, promettendo di “correggere” la rivoluzione, e usando i media per diffamarlo. E adesso, da decenni, Compaoré e il suo partito al governo, il Congresso per la Democrazia e il Progresso (CDP), sono riusciti a tenere a bada l’opposizione, in parte grazie all’utilizzo di reti clientelari, anche se è stata la natura frammentaria dell’opposizione e la proliferazione dei partiti politici a fare in modo che il CDP potesse continuare a governare.

Nel frattempo, i partiti di Sankara hanno perso da tempo la loro incisività rivoluzionaria. Il leader più importante all’interno di questi gruppi, Bénéwendé Sankara (senza legami di parentela con Thomas), nelle elezioni presidenziali del 2005 è arrivato secondo (anche se con meno del 5% dei voti), ma da allora ha visto calare la sua influenza politica. Inoltre, il movimento sociale che sta attualmente diffondendosi nel Burkina Faso ha cercato di distanziarsi dai vecchi partiti collegati a Sankara in quanto li considerano responsabili di aver infangato l’immagine di Sankara con il loro opportunismo.

Sabbie mobili?

Anche se i rapporti di forze all’interno del Burkina Faso sono stati saldamente in mano a Compaoré sin dal 1987, questo potrebbe ora cambiare in favore di vari fronti. Un importante segnale si è notato all’inizio del gennaio scorso, quando 75 figure politiche chiave del partito di Compaoré si sono dimesse. Un paio di settimane più tardi, a seguito di una manifestazione di protesta contro la proposta di referendum sull’articolo 37, questi ex funzionari hanno dato vita al Movimento popolare per il Progresso (MPP).

Questo nuovo partito di opposizione è guidato da alcuni degli ex alleati più stretti di Compaoré – tra cui Roch Marc Christian Kaboré, Salif Diallo e Simon Compaoré (nessuna parentela con Blaise) – i quali sono tutti politici di grande esperienza. Kaboré, per esempio, è stato presidente dell’Assemblea Nazionale nel decennio 2002-2012 ed era stato presidente del partito CDP in carica prima della sua defezione. L’opposizione del nuovo movimento politico contro i tentativi di cambiare l’articolo 37 può essere considerata una mossa a proprio favore, ma lo stringe in un’alleanza con un movimento sociale che pone saldamente al centro della scena una governance democratica e trasparente, e il rispetto dello Stato di diritto.

Compaoré ha risposto rapidamente a questi eventi stabilendo il Fronte repubblicano, una coalizione di partiti per lo più pro-CDP che sta cercando di convincere la gente che è meglio tenere un referendum sull’articolo 37 piuttosto che lanciare il Paese nel caos.

Quest’anno, dunque, si sono tenute manifestazioni e contro-manifestazioni organizzate dall’opposizione e dal Fronte repubblicano nel corso delle loro visite nel Paese. Nei dintorni di Bobo-Dioulasso, la seconda città del Burkina Faso, i partiti di opposizione si sono uniti per formare un locale Comitato contro il referendum (CCR) al fine di coordinare le loro tattiche con i leader a Ouagadougou. Nel frattempo Compaoré ha portato il suo Fronte repubblicano nelle piazze, organizzando manifestazioni nella capitale e, nel tentativo di ostacolare i suoi avversari il più possibile, si è spinto fino ad annullare i passaporti dei leader del MPP.

Mille piccoli Sankara

Può essere che Compaoré abbia diversi assi nella manica, ma uno dei suoi problemi in tutto questo è che il fantasma di Thomas Sankara non è mai scomparso. Nonostante gli sforzi di Compaoré, le idee del suo predecessore e la sua ispirazione non potevano essere facilmente cancellati dalla storia, e per molti Burkinabé è stato soprattutto doloroso il modo poco cerimonioso in cui l’amato leader è stato gettato in una tomba anonima, e il suo nome infangato. Combattere per la verità sulla sua morte è una questione di dignità e di rispetto per l’uomo che sanno aver dato la propria vita per il loro Paese. Per anni, la questione è stata discussa in primo luogo nel contesto del movimento “Giustizia per Sankara” in Francia e su reti attive nei social media, ma ora si sta riversando nelle piazze con rinnovato vigore.

Nel 2013, dopo anni di pressioni da parte dei membri dell’opposizione, un membro francese del Parlamento ha invitato il suo Governo ad aprire gli archivi e a indagare sulla morte di Sankara. Nello scorso aprile, tuttavia, il giudice a Ouagadougou ha stabilito, dopo anni di ritardo, che non avrebbe permesso agli esperti di DNA di accedere alla tomba di Sankara al fine di verificare l’identità del suo corpo. Nelle ultime settimane, durante un’intervista, Compaoré ha finalmente confermato che “Thomas è sepolto nel cimitero Dagnoën a Ouaga,” ma nulla di più è stato rivelato.

Nel frattempo, i “piccoli” Sankara hanno raggiunto la maggiore età. Come ha detto il rapper Smockey, citando Sankara: “Una gioventù mobilitata e determinata non ha paura di nulla, nemmeno di una bomba atomica.” E dopo anni di paura e silenzio intorno alla sua morte, il tempo è maturo per i giovani per raccogliere la sua eredità. Giovani Burkinabé ascoltano i discorsi di Sankara su cassette, guardano video su di lui su Internet, e stanno usando questa storia come arma nella loro odierna lotta. Nonostante gli sforzi dello Stato per sopprimere la memoria di Sankara nel corso degli ultimi tre decenni, le persone hanno riscoperto il santo patrono rivoluzionario che ha portato orgoglio e dignità al Burkina Faso. Questa figura simbolica potrebbe essere proprio ciò di cui hanno appunto bisogno i Burkinabé per affrontare le future sfide politiche, sapendo molto bene, come Sankara dichiarò presso l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel mese di ottobre del 1984, che, alla fine, “La libertà può essere ottenuta solo attraverso la lotta.”

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