Fra le Regioni con più senza tetto spiccano la Lombardia (15.802 persone senza dimora), il Lazio (8.065), la Sicilia (4.625) e l’Emilia Romagna (4.394). Ma la maggioranza è comunque concentrata al Nord, lì dove la rete di “welfare familiare” si fa tradizionalmente più incerta.
Chi in Italia finisce in strada – oggi ad alcuni può bastare anche la perdita di un lavoro o la rottura di un matrimonio – non ha più la residenza anagrafica e, automaticamente, perde cose come il diritto di voto, il diritto all’assistenza sociale, la possibilità di fare domanda per una casa popolare.
“In altri paesi, sopratutto nel nord Europa – ricorda a Voci Globali il Presidente dell’Associazione Avvocato di Strada Onlus Antonio Mumolo – tutto questo non succede: ci sono sistemi di welfare più evoluti in base ai quali chi finisce in strada ha subito diritto ad un reddito di disoccupazione e ad una casa e il percorso di rientro nella società è più agevole“.
Dare la residenza a chi vive in strada è un obbligo previsto dalla legge ma non sempre i Comuni se ne ricordano. “È difficile sapere quali sono le città italiane che hanno istituito la via fittizia che serve a dare la residenza a chi vive in strada – ricorda Mumolo – Nelle principali città la via è stata istituita e viene utilizzata, ma la situazione è spesso in bilico: ogni tanto i comuni “dimenticano” che è un obbligo previsto dalla legge dare la residenza a chi vive in strada in un dato territorio“.
E qui interviene l’Associazione Avvocato di strada Onlus – operativa dal 2001 ma istituita formalmente nel 2007, presente in 37 città italiane, sparse sul territorio, da Bolzano a Siracusa, passando per Milano, Roma, Napoli e Firenze – con l’obiettivo di dare gratuitamente assistenza legale qualificata alle persone senza dimora.
“Essenzialmente – continua Mumolo – cerchiamo sempre di risolvere ‘con le buone’ le problematiche con i Comuni e se ci sono intoppi di solito accompagniamo in anagrafe le persone che hanno bisogno di chiedere la residenza. Se la domanda non viene accettata si può pretendere una risposta scritta che motivi il rifiuto. A quel punto è possibile intentare causa al Comune e il risultato è sempre lo stesso: i Comuni sono obbligati a concedere la residenza“.
Le persone “ai margini” che bussano alla porta dell’Avvocato di Strada Onlus sono molte e oltre 2000 quelle che ogni anno ricevono assistenza.
“I loro diritti vengono calpestati perché si pensa che siano troppo deboli e privi di strumenti per reagire, ma spesso basta una telefonata o una lettera di un avvocato e la situazione si risolve in breve…“.
Oggi l’Associazione punta a realizzare l’obiettivo di aprire nuovi sedi lì dove non è ancora presente, in Sardegna, in Calabria e in Umbria. “Per aprire una nuova sede abbiamo bisogno di un gruppo di avvocati che hanno voglia di fare volontariato e di un’associazione che si occupa di persone senza dimora che sia disposta ad ospitare i nostri ricevimenti. Aprire una sede di Avvocato di strada non è difficile: serve solamente buona volontà e voglia di mettere a disposizione una piccola parte del proprio tempo“.
Ma se per un senza dimora c’è la possibilità di avere una consulenza legale gratuita, questo spesso deve fare i conti con una barriera invisibile ma non meno dura: quella psicologica, che non gli permette facilmente di liberarsi dal senso di colpa di trovarsi in una situazione di indigenza. “Purtroppo – conclude Mumolo – nella nostra società si tende a colpevolizzare chi finisce in strada: se sei povero significa che non hai voglia di lavorare, che non vuoi vivere secondo i canoni comuni o che comunque hai fatto qualche cosa di sbagliato nella tua vita. Tutto questo non è vero ma ugualmente chi vive in strada finisce per avere un senso di colpa: molti di loro si vergognano della propria condizione e spesso fanno fatica a chiedere aiuto”.
Il reinserimento in società a quel punto diventa impossibile: l’indagine Istat parla di persone che riferiscono di essere mediamente senza dimora da più di due anni. “I dati di settore – conferma Mumolo – ci dicono che dalla strada è difficilissimi uscire: i senzatetto restano in strada per anni e a volte non ne escono mai, passando da un dormitorio ad parco, alla stazione o ad un nuovo dormitorio, in una spirale verso il basso. Questo ci dice anche che il modello di assistenza non va bene, che i (pochi) soldi dedicati alla grave marginalità vengono spesi male e che il welfare andrebbe totalmente ripensato: servirebbe formazione, reddito di cittadinanza, percorsi di reinserimento reali“.
L’indagine 2011 è stata fino ad ora l’unico censimento mai realizzato sui senzatetto. La difficoltà di fotografare abbastanza fedelmente un fenomeno magmatico come quello dell’homelesness, unito ad una mancanza di interesse reale da parte delle Istituzioni, è stato infatti un ostacolo serio a rilevazioni statistiche e indagini sul campo.
Ma qualcosa sembra muoversi e l’anno prossimo il censimento verrà ripetuto.
Di questo primo censimento, preoccupante risulta però il dato dei senzatetto stranieri: quasi il 60%. “Non è un dato che sorprende molto – è l’amaro commento di Mumolo – negli ultimi anni l’Italia ha promosso politiche immigratorie improntate al furore securitario. Per chi arriva nel nostro paese è quasi impossibile avere il permesso di soggiorno per motivi di lavoro e la regolarizzazione per molti è una chimera irraggiungibile. Senza lavoro e senza reti di sostegno per uno stranieri clandestino le porte della strada sono sempre aperte“.