[Post scritto per la casa editrice digitale Quintadicopertina, in vista dell’incontro “Citizen Journalism: il giornalismo dei cittadini” del 22 marzo 2014 a Genova.]
“Il giornalismo partecipativo va cercato nella nebulosa informativa costituita da migliaia di media, ognuno dei quali dotato della propria specificità. Tutti questi media creano una biodiversità informativa che pone i presupposti per una nuova fase della storia del giornalismo, basata sul pluralismo e sulla possibilità di scegliere.” Gennaro Carotenuto, 2009.
Grazie al web 2.0 e allo sviluppo delle tecnologie per la comunicazione ciascuno di noi è in grado di registrare e trasmettere notizie e fatti attraverso Internet. Il citizen journalism è il giornalismo collaborativo dei singoli cittadini, di chi ha voglia, bisogno o semplice desiderio di comunicare con il mondo.
Esistono diversi approcci a questa definizione: il citizen journalist può essere visto come quella persona che, dotata di prontezza nonché competenza nell’uso della Rete e degli strumenti per comunicare, sappia farsi capillare fonte di testimonianza. In accezioni più ampie, il citizen journalism (o giornalismo partecipativo) diventa sinonimo di biodiversità informativa, con la creazione di spazi alternativi e complementari a quelli del giornalismo tradizionale.
Nella visione di Voci Globali, il giornalismo partecipativo è un motore di trasformazione sociale alimentato dalla conversazione online che avviene ogni giorno tra cittadini di tutto il mondo in maniera orizzontale, condivisa e “glocale”. Questo fenomeno di partecipazione dei cittadini impegnati a informare una conversazione orizzontale e condivisa è potenzialmente in grado di accrescere il tasso di democrazia e trasparenza della società.
Il citizen journalist ha la possibilità di acquisire spazi di informazione alternativi a quelli tradizionali, detti anche ‘mainstream’, perché esistono problemi di credibilità delle testate per la presenza di filtri o censura, di concentrazione dell’informazione, di agenda-setting delle notizie, tutti fattori che accendono l’interesse dei cittadini consapevoli verso i nuovi canali informativi.
I modelli del giornalismo partecipativo sono variegati, potendo andare da realtà puramente “dilettantistiche” a esperimenti basati sull’ibridazione, in un mix che può essere alternativamente a maggior contenuto giornalistico tradizionale oppure “dal basso”. Un esempio di modello ibrido maggiormente orientato verso l’ambito del citizen journalism è quello della piattaforma internazionale Global Voices Online, nata dalla collaborazione tra l’attivista Ethan Zuckerman e l’ex-giornalista CNN Rebecca MacKinnon. L’impostazione giornalistica “citizen”, accompagnata tuttavia dalla presenza di giornalisti professionisti al suo interno, rende questa realtà di informazione partecipata molto interessante.
Global Voices Online è costituita da un network globale di citizen journalist animati da una forte passione civile, il cui obiettivo è dare voce a quelle comunità periferiche (spesso nei sud del mondo, ma non solo) che, per motivi di isolamento culturale o linguistico rispetto ai “centri” del pianeta, dove vengono governati i nodi della Rete, sarebbero altrimenti condannate al silenzio e al disinteresse.
Tutto ciò avviene attraverso le contemporanee attività di scrittura e traduzione: dato quest’ultimo aspetto, l’esperimento di Global Voices costituisce un esempio molto peculiare di citizen journalism, che obbliga a riflettere sugli aspetti linguistici e sul rapporto tra “giornalismo” e “traduzione”: senza quest’ultima, lungo la filiera dell’informazione, non ci sarebbero notizie dal mondo. E a svolgere il difficile compito possono essere traduttori professionisti come giornalisti bilingui, blogger-ponte o utenti dei social media versati nella propria lingua e in inglese. Un peculiare e vasto versante del fare giornalismo partecipativo.
Ma come si diventa citizen journalist? E’ evidente che non esiste una scuola, per quanto online si possa accedere a svariati tipi di corsi di formazione; nella nostra esperienza, gli aspetti più importanti per la crescita consistono nella curiosità, nell’onestà intellettuale, nell’umiltà aperta al confronto con gli altri e alla voglia di apprendere cose sempre nuove in contesti multidisciplinari quali sono quelli delle migliori realtà di citizen journalism, dov’è possibile incontrare professionisti delle più svariate discipline.
Non si possono tuttavia trascurare le debolezze del giornalismo partecipativo, che ne rappresentano un capitolo enorme. Le tecnologie del web 2.0 consentono una capillarità di accesso ai fatti che, data l’enormità del sistema, accresce il rischio di false notizie o di manipolazione delle stesse a fini ad esempio politici. Inoltre emerge spesso la tentazione del protagonismo che questi strumenti inducono, associata magari al dilettantismo e alla grossolanità.
Da qui il grosso tema del fact checking, ovvero la certificazione della veridicità delle notizie, la necessità per il buon citizen journalist di adottare un pensiero critico e di effettuare sempre un’attenta analisi delle fonti e dei contenuti. A volte può essere il web 2.0 stesso a fornire la risposta: il crowdsourcing, o intelligenza collettiva orizzontale, può consentire, ciò è accaduto molte volte, ai produttori di informazione “dal basso” di mettersi in rete, collaborare, e identificare notizie false, bufale o manipolazioni.
Non è facile prevedere il futuro del citizen journalism, e se nel lungo termine possa reggere al confronto con un giornalismo tradizionale che è sempre più capace di assimilarne gli strumenti, sfruttare le potenzialità del web 2.0 e riacquistare gli spazi persi in questi anni. Il problema è anche di sostenibilità finanziaria dei progetti, quando le stesse realtà mainstream di giornalismo online, almeno in Italia, riescono al più a raggiungere il break-even.
Crediamo tuttavia che il citizen journalism non sia, o non solo, una questione di modelli di business: “a partire dalla rivoluzione informatica si è aperto uno spazio importante per un nuovo giornalismo non generalista ma tematico, spesso orientato dalla passione civile (passion-driven journalism), che contrappone l’approfondimento e la condivisione della conoscenza alla banalizzazione della complessità imposta dai media commerciali” (G. Carotenuto).
A noi, dunque, il compito di popolare questo spazio.