Site icon Voci Globali – Africa, giustizia ambientale e sociale, diritti umani

Israele: un Paese che si sente fuori dal diritto

Mentre proseguono i pesanti raid israeliani su Gaza e i lanci di razzi dalla Striscia, rilanciamo una tavola già pubblicata da Gianluca Costantini (disegni) ed Elettra Stamboulis (testo), la quale ci ha anche inviato sue nuove riflessioni a seguito degli ultimi eventi.
Per ulteriori approfondimenti rinviamo a questa pagina curata da Gianluca Costantini.

“Piombo fuso” è stato l’attacco dell’esercito israeliano contro il carcere a cielo aperto di Gaza nel dicembre 2008, avvenuta subito dopo l’elezione del primo presidente afroamericano, Obama.
Costò la vita a 1400 palestinesi e 13 israeliani.
Alla rielezione del presidente democratico americano lo scenario sembra prefigurarsi identico, se non peggiore.

“Colonna di nuvola” si chiama la nuova operazione: citare il libro in cui a Mosè viene indicata la strada per la terra promessa riconferma l’ipotesi reale di questo attacco: non la legittima difesa, ma l’occupazione definitiva di una terra che si sente assolutamente israeliana e che ai palestinesi deve essere tolta.

La politica israeliana però non si può mai condannare: la mancata elaborazione del senso di colpa e la sindrome della vittima sono gli ingredienti che impediscono una valutazione obiettiva della politica colonialista e aggressiva di questo Stato.

Il terribile destino di sei milioni di ebrei nella sostanziale indifferenza del mondo intero pesa sempre come un macigno nella possibilità di dialogo e critica verso Israele. Non lo si può condannare quando usa l’esercito contro un popolo chiuso in gabbia, non lo si può condannare quando lo rinchiude in gabbia, non lo si può boicottare quando riduce allo stremo tutta la popolazione palestinese per punire alcuni terroristi.

Non si può condannare il governo israeliano, perché farlo significa mettere in discussione “l’esistenza di Israele”, non significa mettere in discussione la politica di un governo. Essere critici e denunciare questo governo significa automaticamente essere messi nel cerchio degli antisemiti. Gli stessi indifferenti alla Shoah risultano ugualmente indifferenti al destino del popolo di Palestina.

L’equazione “critico verso Israele = antisemita” è rinforzata dal nuovo credo della democrazia mediorientale. Israele è l’unico paese democratico di quest’area? Un paese in cui il non essere ebreo costituisce il presupposto per essere cittadino di serie B?

L’azione e la reazione hanno misure e risultati diversi. Da Gaza si lanciano razzi Qassam, si risponde con un dispiegamento militare da videogioco. I numeri parlano chiaro. E sì, è vero, ogni vita è unica e ha un peso inestimabile. Però nella valutazione delle singole entità (la Palestina non è ancora uno Stato) i numeri e gli effetti delle azioni dovrebbero avere un peso.
Se Israele ha diritto all’autodifesa, al futuro, ci si chiede perché non debbano avere lo stesso diritto i palestinesi.

La reazione paternalistica, da bravi maestri della democrazia, dei cosiddetti Paesi occidentali, il silenzio di alcuni, le mezze parole di altri, hanno portato i palestinesi ad una situazione tragica e profondamente ingiusta. Senza giustizia non c’è pace, diceva uno slogan che è stato anche di Mandela.
L’incapacità di elaborare, e quindi di superare, il portato storico del senso di colpa, scaricato nella terra promessa come un rifiuto tossico, se non si risolverà negli USA e in Europa, porterà ad un ennesimo disastro che non farà che colmare nuovamente la cisterna inutile del senso di colpa dei coccodrilli della politica. Quello che succede a Gaza riguarda prima di tutto la storia dell’Europa e le sue colpe.

Di Elettra Stamboulis.

Exit mobile version