[Post di Cecilia Attanasio Ghezzi pubblicato su China Files e ripreso dietro autorizzazione.]
Le ultime vicende del brillante Bo Xilai, il politico “neo-maoista” che si pensava destinato alle più alte cariche istituzionali, hanno scoperchiato il vaso di Pandora. Dopo più di sei mesi di rumor, scandali e giochi di potere, il Partito lo ha espulso accusandolo pubblicamente di reati che vanno dall’abuso di potere, al favoreggiamento e alla corruzione passando per non meglio specificati “impropri comportamenti sessuali con diverse donne”. Ultimo, ma non meno importante, “il comportamento di Bo ha minato la reputazione del Partito e del Paese”.
Oggi è stato anche espulso dall’Assemblea nazionale del popolo, il “parlamento” cinese, perdendo così l’immunità e aprendo la via a un suo processo in un tribunale comune. È un momento estremamente delicato. L’8 novembre si aprirà il XVIII Congresso del Partito comunista cinese, ovvero l’appuntamento politico del decennio: cambieranno presidente, premier e circa il 60 per cento dei politici che ricoprono posizioni chiave di leadership. Ma la fiducia nel Partito non è mai stata così bassa.
Sono soprattutto le generazioni più giovani e la nascente classe media ad esternare il malcontento. Anche la Cina, infatti, sta attraversando un momento difficile. Per la prima volta in trent’anni, chi si affaccia al mondo del lavoro sa che probabilmente avrà meno opportunità di chi li ha preceduti, sarà più povero e meno garantito. Come ci ha fatto notare lo storico britannico James Palmer, “la corruzione ha sempre pervaso ogni aspetto della vita politica e commerciale cinese. È stata tollerata solo perché tutti si stavano arricchendo, ma ora non è più così”.
Inoltre la diffusione di internet e dei social media fa sì che sempre più persone siano a conoscenza di episodi che i media tradizionali, controllati dal Partito, tendono a insabbiare. Vicende come quella di Bo Xilai – o anche altri casi di cronaca legati alla corruzione di funzionari di più basso livello – non sarebbero mai venute alla luce in un’altra epoca.
L’abitudine della leadership comunista a lavare i panni sporchi in famiglia, non è più così semplice da mantenere. E sono sempre di più quelli che vedono nella corruzione dei quadri di Partito la causa di tutti i malesseri economici e sociali che la Cina si trova ad affrontare. Anche le autorità cominciano ad ammettere pubblicamente l’entità del problema.
L’Accademia cinese delle scienze sociali, il più importante think thank del paese, ha pubblicato uno studio in cui denuncia che negli ultimi quindici anni almeno 18mila funzionari sono scappati dalla Cina trasferendo illegalmente all’estero quasi cento miliardi di euro, l’1,4 per cento del pil annuale.
E sono gli stessi media di stato a riportare che nell’ultima decade circa 900mila quadri di Partito sono stati condannati per aver preso tangenti. Si tratta di 80-90mila casi di corruzione conclamata all’anno, una media così alta da costringere addirittura il premier Wen Jiabao a descrivere la corruzione come la sfida più grande che sta affrontando il Partito.
È una situazione che ha colpito la fantasia dell’artista Zhang Bingjian che sta provando a ritrarli tutti, in un’opera mastodontica che forse non conoscerà mai una fine. Da tre anni a questa parte commissiona a intere squadre di pittori amatoriali enormi ritratti dei funzionari condannati per corruzione. Ha scelto di dipingere solo i loro volti, ma dello stesso colore del taglio più alto delle banconote locali: il rosa. La sua opera, che ha intitolato con sarcasmo “la sala delle celebrità”, ha oramai superato i 3mila ritratti.
Sono uomini e donne una volta molto potenti: sindaci, segretari di Partito o capiufficio. Oggi alcuni sono in prigione, altri hanno ricevuto la pena capitale, altri ancora sono fuggiti. Sulla costa di ogni quadro il nome, il reato e la condanna del funzionario ritratto sono registrati attraverso un complesso sistema di timbri che ricorda i sigilli imperiali. “Penso che un’opera d’arte debba essere una testimonianza storica”, ci spiega Zhang Bingjian. “E la corruzione è parte integrante di questo momento storico. Se non la tramandiamo, in futuro non avremo strumenti per ricordare”.
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Il caso di Bo Xilai, infatti, è solo la punta dell’iceberg. Dai tempi dell’Impero, le “guanxi” ovvero le conoscenze, regolano gli affari e la vita politica. E in un mondo che non marca i confini tra pubblico e privato e tra politica e imprese, le “conoscenze” sono essenziali al buon esito di qualsiasi iniziativa. La segretezza che avvolge le vite dei funzionari di Partito esaspera ulteriormente la situazione.
È usanza diffusa che i parenti degli alti funzionari ricoprano cariche importanti nelle aziende di stato, a volte anche sotto falso nome. Prima della caduta di Bo Xilai, ed esempio, nessuno aveva notato che suo fratello maggiore aveva guadagnato quasi un milione e mezzo di euro come vice presidente della China Everbright International, un’azienda di stato nel campo dell’energia e dell’ambiente. D’altronde non era semplice: usava lo “pseudonimo” di Li Xueming.
“In Cina sono ancora in molti a pensare che fare il funzionario sia molto meglio che andare a studiare. Una volta ho letto di un maestro che chiedeva agli studenti di una scuola elementare cosa volessero fare da grandi”, ci racconta l’artista Zhang.
“Tutti alzano la mano. C’è chi vuole fare l’ingegnere e chi vuole aprire un negozio. Tra di loro un bambino esclama: io voglio fare il funzionario corrotto”. E ci spiega: “Perché? Il corrotto è ricco e pieno di donne. Ecco, se un bambino delle elementari pensa che fare il funzionario corrotto sia una cosa di cui vantarsi, non c’è altro da aggiungere. Abbiamo toccato il fondo”.