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Appello sulla Siria, i media dicano la verità

Cattiva (ed errata) copertura mediatica, errori di carattere etico e basati sull’ignoranza. L’apprensione per quanto sta avvenendo in Siria è accompagnata nei siriani (e negli esperti di questioni medio orientali) che vivono all’estero e qui in Italia, dalla frustrazione per come la rivolta e la repressione del regime di Assad sono seguite dalla stampa.

Ad oltre 13 mesi dall’inizio delle proteste – di fatto la più lunga “Primavera araba” tra quelle cominciate a partire dalla Tunisia nel dicembre 2010 – la situazione è più tesa e complessa che mai. L’ONU ha dichiarato che quello che è accaduto a Houla, (85 – per alcuni 92 – persone uccise e tra questi 32 bambini) è stata una vera e propria “esecuzione sommaria“. Tanto che oggi si stanno susseguendo le esplusioni degli ambasciatori siriani in varie nazioni europee, compreso il nostro Paese.
E finalmente Kofi Annan, inviato delle Nazioni Unite, oggi ha tenuto un incontro con il presidente siriano, Bashar al-Assad, esprimendo “la grave preoccupazione della comunità internazionale per le violenze in Siria“.

Intanto dall’Italia parte la mobilitazione di chi non vuol può star zitto di fronte a chi sta diffondendo notizie sbagliate, distorte, pericolose.

Con questo appello ci dissociamo e condanniamo la posizione e il tipo di copertura mediatica che molti movimenti e testate giornalistiche italiane – da alcune d’ispirazione pacifista e anti-imperialista a quelle vicine ad alcuni ambienti cattolici o filo-israeliani – dimostrano nei confronti della rivoluzione in Siria.

Molti di questi attori continuano a offrire un resoconto distorto degli eventi in corso, sostenendo che la rivolta è guidata dall’esterno, dunque non autentica, mettendone in dubbio il fondamento pacifico e sostenendo di fatto la brutale repressione da parte del regime di Bashar al Asad.

Comincia così l’appello diffuso ufficialmente da oggi su questo blog. Ad appoggiarlo ci sono già molte firme “competenti” e conosciute, da quella di padre Paolo dell’Oglio, fondatore del monastero di Mar Musa, a Marcella Emiliani, già Prof.ssa di Storia e Istituzioni del Medio Oriente presso la facoltà ‘Roberto Ruffilli’ dell’Università di Bologna; da Michael Humphrey, professore al Dipartimento di Sociologia e Politica sociale all’Università di Sydney a Michelangelo Guida, del Dipartimento di Scienze politiche e Pubblica amministrazione alla Fatih University di Istanbul e molti altri esperti di Medio Oriente. Si può aderire accedendo al blog.

In questo testo la versione più dettagliata dell’appello.

Negli 8 punti sostenuti dai firmatari si afferma, in sintesi che:

1) La rivoluzione siriana è spontanea e di natura popolare, nata sulla scia delle altre rivolte arabe.

2) Il regime siriano è non solo corrotto, ma le politiche pseudo-liberiste che ha portato avanti negli ultimi anni hanno favorito le élites vicine agli al Asad, allargando drammaticamente la forbice tra ricchi e poveri […]

3) Non esiste un complotto straniero contro il regime siriano […]

4) Non è vero che ci sia una campagna mediatica contro il regime di Bashar al Asad […] Molti di coloro che affermano che le fonti degli attivisti siano false e artefatte, spesso non conoscono l’arabo […]

5) I principali valori in nome dei quali la rivoluzione è portata avanti non sono di natura strettamente religiosa: libertà, dignità, giustizia sociale, rispetto dei diritti umani, trasparenza nella politica. Pertanto la rivoluzione siriana non è un’insurrezione dei sunniti contro alawiti e cristiani […]

6) La deriva militare della rivolta è il risultato della brutale repressione del regime contro un movimento rimasto pacifico per lunghi mesi e che continua a esser tale in numerose località e città. […]

7) Non siamo a favore di un intervento militare in Siria. La polemica intorno a questo punto, tuttavia, rappresenta un argomento inutile e strumentale, essendo evidente che nessuna potenza straniera occidentale sia intenzionata a intervenire militarmente a sostegno della rivoluzione.

8 ) Le considerazioni di tipo geopolitico sul futuro della Siria sono doverose, ma non possono servire da pretesto per un rimescolamento delle responsabilità e un capovolgimento di ruolo tra oppressore e oppresso. […]

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