E’ stata ormai definita la “prigione dei bambini”. Metafora di forte impatto sociale e drammaticamente autentica.
Sulle sponde di Lampedusa arrivano ogni giorno decine di bambini e adolescenti che scappano da Paesi afflitti da conflitti armati permanenti e lacerante miseria, alla ricerca di una vita migliore. Come descritto da Fabrizio Gatti nell’articolo sopra citato, a fine agosto si contavano già 225 bambini e adolescenti (oltre 200 i minori non accompagnati e 28 accompagnati), rinchiusi nelle due strutture di detenzione di Lampedusa: 111 nel Centro di Primo Soccorso e Accoglienza (CSPA) di Contrada Imbriacola, 114 nella ex base Loran dell’Aeronautica militare. Gran parte sono provenienti dalla Libia e originari prevalentemente della Nigeria, Gambia, Mali, Ghana, Costa D’Avorio, Niger. Tra i 15 e i 17 anni l’età media, ma si registra la presenza anche di minori di 12, 13 e 14 anni. I minori accompagnati sono molto piccoli, bambini prevalentemente tra 1 e 6 anni e anche neonati.
E’ il caso del piccolo Omar, di appena due mesi, figlio di genitori fuggiti dalla Libia, sopravvissuto miracolosamente alla lunga traversata, che uscirà (chissà quando) dal CSPA portando con sé un ricordo indelebile: un marchio impressogli sulla coscia sinistra. Si tratta di una grave ustione riportata a seguito di un bagno nell’acqua bollente fattogli da una di quelle operatrici che la retorica si ostina a definire “volontarie”. Voleva lavarlo, si è sbagliata.
Secondo quanto previsto dalla legge italiana, i minori migranti che arrivano in territorio nazionale dovrebbero, come scrive l’associazione Terres des Hommes, “essere identificati tempestivamente e segnalati alle autorità competenti in tempi strettissimi, per poi essere trasferiti sul territorio ed accolti in strutture adeguate alla loro protezione ed assistenza”.
Questo non accade però a Lampedusa, dove i ragazzi vengono lasciati in uno stato di abbandono per intere settimane, sospesi temporalmente, violando i diritti sanciti dalle convenzioni internazionali, in primis la Convenzione Onu sui Diritti dell’Infanzia che all’art. 22 recita:
“Gli Stati parti adottano misure adeguate affinché il fanciullo il quale cerca di ottenere lo statuto di rifugiato, oppure è considerato come rifugiato ai sensi delle regole e delle procedure del diritto internazionale o nazionale applicabile, (…) possa beneficiare della protezione e della assistenza umanitaria necessarie per consentirgli di usufruire dei diritti che gli sono riconosciuti della presente Convenzione e dagli altri strumenti internazionali relativi ai diritti dell’uomo o di natura umanitaria di cui detti Stati sono parti”.
Oltre alle allarmanti condizioni igienico-sanitarie più volte denunciate dalle organizzazioni umanitarie che hanno visitato i centri, va considerato lo stato di promiscuità in cui versano minori, famiglie con bambini, soggetti diversamente abili, malati e richiedenti asilo, spesso presenti nel cosiddetto “gabbio” – zone chiuse dei centri in cui le organizzazioni umanitarie non hanno il permesso di entrare – piuttosto che in reparti adeguati ai loro bisogni, come prescrive la normativa.
I bambini non andrebbero mai tenuti in luoghi come questi, in grado di porre in seria compromissione il loro equilibrio psicologico con ricadute inevitabili sullo sviluppo futuro della stessa personalità. Al dramma di guerre e orrori che a fatica cercano di buttarsi alle spalle, si aggiungono sofferenza gratuita e negazione del normale benessere psicofisico.
L’associazione Terre des Hommes ha avviato dal 15 giugno sull’isola di Lampedusa il progetto Faro, che mira ad offrire assistenza legale e giuridica ai minori migranti giunti in Italia, assicurando una funzione di orientamento tra le varie procedure di accoglienza vigenti e di conoscenza dei diritti a loro riconosciuti nel nostro Paese.
Riportiamo di seguito il toccante appello scritto dai minori rinchiusi nella ex base militare Loran di Lampedusa, inviato al Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano (qui il testo originale dell’appello).
Lettera da Lampedusa
Signor Presidente, commissioni giudicanti, siamo onorati di scrivervi qualche parola su di noi
Prima di tutto vi rivolgiamo una supplica per essere tirati fuori da qui. Questi sono i motivi:
1. Il posto dove siamo ospitati non è adatto a noi;
2. continuiamo ad avere degli incubi perché questo posto è ancora troppo vicino al mare (ndr la traversata per molti dei bambini è stata un’avventura drammatica);
3. la brezza fredda che arriva dal mare raffredda anche il centro in cui siamo ospitati e molti di noi si sono ammalati;
4. siamo limitati nei movimenti e non abbiamo abbastanza spazio in questo centro
5. abbiamo bisogno di tornare a scuola e continuare a studiare
6. la permanenza in questo centro è sempre più difficile e sta facendo aumentare la tensione anche tra di noi e i litigi
7. non ci sentiamo a casa
8. Abbiamo bisogno di socializzare al di fuori di qui
Per piacere, abbiamo bisogno del Suo aiuto Signor Presidente
Il percorso di accoglienza dei minori deve essere in grado di garantire protezione e integrazione, sia attraverso soluzioni di collocamento in comunità alloggio dei minori, sia attraverso il ricorso a strumenti come l’affidamento familiare. La speranza più grande è che ognuno di loro possa avere come un diritto e, non come una fortuna, un’altra occasione di vita.