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Reportage dal Perù pre ballottaggio

[Nota: il post integrale di Giovanni Maiolo è pubblicato sul suo blog, ripreso dietro autorizzazione.]

Il 5 giugno il Perù sceglierà il nuovo presidente nel ballottaggio tra Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore, e Ollanta Humala, che ha recentemente preso le distanze da Chavez e ha dichiarato di ispirarsi a Lula, per apparire più moderato ed esercitare maggiore fascino sugli elettori. Il nobel Vargas Llosa, pur non essendo vicino a Humala, ha chiesto ai peruviani di votarlo perché teme, in caso di vittoria della Fujimori, il ritorno della dittatura. Ma qual è il Perù che si prepara alle elezioni? Un paese che vive ancora oggi una forte questione indigena.

Ancora oggi il Perù non ha risolto la questione indigena


L’apartheid peruviano

A Cusco, l’antica capitale Inca, ogni pietra, ogni strada, ogni edificio ha qualcosa da raccontare. Raccontano la bellezza e la genialità di un popolo annientato nel nome di dio e del re. E gli strascichi si sentono ancora oggi, perché da queste parti vige un apartheid terribile, perché non dichiarato.

Cristian è italiano e vive nell’ombelico del mondo, ha sposato un’indigena. Racconta che in molte discoteche lui può entrare, sua moglie no, perché gli indigeni ancora oggi sono considerati persone di serie B. E purtroppo tutto questo è troppo spesso senso comune. Eppure le civiltà indigene sono riuscite già secoli fa a raggiungere livelli di conoscenza incredibili. Per esempio nel caso dei terrazzamenti di Moray, che in lingua quechua significa “Pannocchia di mais”. Pizarro vedendo i terrazzamenti non coltivati pensò che si trattasse di un anfiteatro e ci organizzò della feste. Fino a pochi decenni fa questa era l’unica versione accreditata ma in realtà si trattava di laboratori di coltura. Tra un anello e l’altro ci sono tra i 4° e i 6° centigradi di differenza di temperatura della terra. Siccome così in alto (3.800m) non cresce praticamente nulla gli incas piantavano nell’anello centrale, protetto dai venti e con una temperatura più elevata. Quando mais e coca si acclimatavano li seminavano nell’anello successivo per renderli più resistenti al freddo e all’altitudine e via così fino all’ultimo livello. Un lavoro di decenni e alla fine, quando mais e coca sopravvivevano nell’anello più alto, ne distribuivano i semi a tutti i contadini per poterli coltivare. Un lavoro che richiedeva decenni, altro che ingegneria genetica. Per rendere l’idea di quanto era avanzata questa civiltà basti pensare che oggi i giapponesi stanno sperimentando lo stesso modello inca… […]

Terrazzamenti di Moray utilizzati dagli Incas per le piantagioni di mais e coca

I conquistadores spagnoli, quando moriva un indigeno, ne davano il corpo ai cani, tanto era il livello di disprezzo. Camminando con un po’ di fiatone, data l’altitudine e la carenza di ossigeno, è fin troppo facile incontrare gente seduta ad una panchina a leggere il giornale mentre un indigeno, spesso un bambino, gli lustra le scarpe.

Immagini di vita quotidiana in Perù

Yanapanakusun

Vittoria Savio è nella sua cucina e racconta di quando per strada gli offrirono un oggetto di artigianato, solitamente venduto nei negozi per 200 dollari, a soli 14 dollari.

– Perché lo vendi ad un prezzo così basso? – chiese all’ambulante.
– Perché questo è il costo delle medicine che servono alla mia famiglia.

In questa risposta c’è la descrizione del Perù in cui questa donna straordinaria ha deciso di vivere creando il “centro Yanapanakusun, para el desarrollo integral de las trabajadoras del hogar”. E l’Hogar è il focolare, cioè la casa in cui le bambine troppo spesso vengono costrette a lavorare, perché da queste parti il lavoro minorile è la norma. Quando le bambine hanno 5 o 6 anni le famiglie indigene le mandano a Cusco, così si liberano di una bocca da sfamare e sperano che in città avranno la possibilità di migliorare le proprie condizioni di vita. Ma non è così, perché le famiglie a cui vengono “donate” le utilizzano da subito come lavoratrici domestiche, spezzano i legami con la famiglia di provenienza, gli impediscono di parlare quechua per insegnargli lo spagnolo e spesso gli cambiano anche il nome. E il più delle volte il lavoro non viene nemmeno riconosciuto come tale. Il centro di Vittoria offre alle “chicas” la possibilità di uscire da questa situazione di sfruttamento. Il suo Hogar è un luogo protetto dalle violenze, che spesso sono anche fisiche, maltrattamenti e costrizioni sessuali.
Vittoria era insegnante in un liceo di Chieri in Piemonte, vita agiata come tutti quelli che vivono dalla parte “giusta” del mondo, ma ad un certo punto ha deciso di mollare tutto (trent’anni fa) e mettersi al servizio degli altri.

[…] il centro di Vittoria non si limita a dare accoglienza alle bambine ma cerca di agire all’origine del problema […] Per questo è stata creata una scuola pomeridiana, in modo che anche i bambini lavoratori possano studiare e magari raggiungere l’università e liberarsi dalle catene. È Selene, la preside, ad accogliermi nel suo ufficio, dove campeggiano manifesti a sostegno del presidente della Bolivia, l’indio e cocalero Evo Morales. In Perù la scuola pubblica è pessima. Secondo i dati dell’Unesco il 98% dei bambini indigeni è analfabeta. Nel senso che a scuola imparano a riconoscere le lettere e sanno anche leggere bene ma non comprendono quello che leggono. Quindi la scuola di Selene si concentra molto sulla comprensione del testo, ma ha grossi problemi finanziari. Vive con la retta molto bassa che gli stessi studenti, spesso contro il parere delle famiglie a cui fanno i servi, versano. E ovviamente è insufficiente. Non ci sono molti insegnanti motivati da queste parti e per riuscire a trovarli bisogna essere pronti a pagare più dei 200 dollari che questa scuola riesce a offrire.

Mosoq Runa

Notte. In una stanza dell’ospedale Los Jardines di Urubamba, città di cani, bambini, mototaxi, buche per strada e polvere, sono sveglio. Sono sveglio perché nonostante tutte le precauzioni del caso, nonostante abbia sempre bevuto acqua minerale o acqua prima bollita, sto molto male. E quindi sono sveglio e penso all’incontro di oggi. Sono a Urubamba perché qui una donna, croata di nascita ma profondamente italiana, a 40 anni ha deciso di mollare tutto, proprio come Vittoria Savio, e venire a vivere nel Perù della miseria, dove un terzo della popolazione non ha né elettricità né acqua corrente in casa. Fuori dalla porta della stanza in cui scrivo c’è un bel giardino pieno di fiori dove di giorno scorazzano bellissimi i colibrì. Ma qualche passo oltre c’è una realtà fatta di difficoltà e stenti. Ed è dei bambini che vivono qui che si occupa questa donna, dal nome Ada. Mosoq Runa in quechua significa “genti nuove” ed è questo il nome della sua casa famiglia. Ma una casa famiglia insolita, dove i bambini non vengono mandati dai tribunali e nemmeno ci arrivano perché fuggono da casa. Ci vanno di loro volontà e col consenso dei genitori. Ada a 6 anni è stata separata dai suoi, finiti in un campo profughi, e sa bene cosa voglia dire essere strappati alla famiglia. Per questo non vuole fare vivere questa esperienza traumatica ai bambini che quindi vanno a stare a Mosoq Runa sempre con un fratello o una sorella, mai da soli. E lì hanno la possibilità di studiare e di essere seguiti, e di puntare ad una vita migliore.

Ho pranzato con loro (spaghetti, dei quali sentivo fisicamente la mancanza!) e Pedro, il più piccolo, con un divertente sorriso sdentato, mi ha chiesto di sedermi vicino a lui. E poi la sfida a calcio balilla Italia-Perù. […]

Le elezioni

Il governo peruviano ha svenduto le ricchezze naturali di questo paese alle multinazionali e spesso reprime le proteste degli indigeni. Tutto questo peserà sulle elezioni presidenziali. I peruviani dovranno scegliere tra due populismi. Il padre di Keiko, nonostante i crimini commessi, è ancora rimpianto da una parte della popolazione, che sostiene con convinzione sua figlia. Le idee di sinistra di Ollanta attecchiscono fortemente in chi ha voglia di riscatto e porterebbe il Perù nell’alleanza continentale con gli stati governati dalle sinistre. Il 5 giugno i peruviani decideranno quale sarà il loro futuro.

[L’articolo completo di Giovanni Maiolo può essere letto sul suo blog Durito. Tutte le foto sono di Giovanni Maiolo.]

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