Venerdì 1 aprile Voci Globali / Global Voices ha aperto un dibattito nella sede dell’Ordine dei giornalisti di Bologna. Un confronto netto ma pacato fra professionisti dell’informazione e non che merita un approfondimento. Per cominciare. Se la casta dei reporter con il patentino “STAMPA” scende dallo scranno, può aprire anche le porte: il popolo le ruba già il lavoro e lo fa a gratis. Come la mettiamo? Una conquista comune c’è stata ed è un fatto certo: maggior informazione libera e indipendente sul web. Per il Bel Paese era un obbligo, già al 49° posto nella classifica di Reporters sans Frontières sulla libertà di stampa, qui le poche mani dell’informazione sono sempre baciate dagli stessi potenti. Ciò che si potrebbe ilarmente chiamare un “De Silvium Benedicta”. Al dunque.
L’organizzazione Global Voices Online aggrega e traduce in diverse lingue post provenienti da blog di tutto il mondo. Conta 300 volontari in una redazione popolare che tratta informazioni rare provenienti per lo più da Sud America, Cina, Africa. Assiste tramite avvocati e si attiva per i diritti dei blogger – si legga il New York Times. Mezzo milione le visite al mese per il suo sito. Per l’Italia Voci Globali è un progetto parallelo ben avviato, ha appena compiuto un anno di vita approdando insieme a Global Voices –con un box- anche sulla “prima” di LaStampa.it. Ciò che è indubbiamente un riconoscimento importante per il giornalismo cosiddetto “dal basso”.
In quella “ruspante” Bologna, a moderare il dibattito troviamo Antonella Sinopoli della redazione di Voci Globali, e del team traduttori di Global Voices Online, insieme ad Antonella Beccaria, blogger e volto nascosto della redazione online del Fatto Quotidiano e Maria Cecilia Averame, editrice “digitale”. Per l’Ordine dei Giornalisti, che ha ospitato l’incontro, era presente Roberto Olivieri, segretario del Consiglio dell’Ordine dell’Emilia Romagna. Olivieri ha parlato della necessità di regole deontologiche anche per i blogger e di non sottovalutare il problema dell’affidabilità delle fonti.
Blogger e giornalisti. Cosa contano gli uni e gli altri nel mondo della comunicazione giornalistica. Qual è il punto di distacco fra i due, quale il limes fra citizen journalism e giornalismo di scuola. La riflessione è profonda, e spazierà peraltro sull’editoria elettronica degli instant-book o degli e-book. I problemi sono molteplici, ci vogliono ordine e regole per i blog, ci vuole un’economia solvibile per l’editoria del web. Di più. Il continuo evolversi tecnico dei quotidiani online impedisce una messa a fuoco definitiva su ciò che è e cio che sarà l’Informazione della Rete.
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Mettiamo però delle boe a partire dai blogger: non sono solo avventati cittadini che “postano” alla rinfusa sulle innumerevoli piattaforme a loro disponibili. Non sono generalmente pazzi sprezzanti della privacy e dei diritti dei minori, che spacciano il falso per il vero. Spesso sono soli questo sì, senza controllo ma liberi, liberi anche di usare la prima persona nei loro post, di spulciare il web insindacabilmente. Danno vita tuttavia spesso ad articoli che sono solo un rimando più chiaro di fonti acquisite dalla stampa nazionale. Il blogger può succedere sia semplicemente un “pantofolaio” disoccupato che si esercita a fare giornalismo – uno da “copia e incolla” per intendersi -. Accade che diventi un giornalista principiante che usa il blog per dare visibilità alla sua produzione snobbata dai media. Succede anche che i suoi articoli abbiano una “doppia vita”, pubblicati al contempo su testate online e blog. E’ anche un professionista della comunicazione, come Nicolas Beau, blogger tunisino già nelle file di Le Monde e Liberation. Delle migliaia di autori del web, questi sono comunque i pochi che hanno visibilità. Visibilità duramente ottenuta grazie alla posizione che i motori di ricerca gli hanno riservato.
Quanto suscitato dai piani alti dell’Ordine dei Giornalisti è che questi nerds del web, senza redazione come sono, non si confrontano, e viene a mancare loro lo “spirito collettivo” del giornalismo, con chiara asfissia del dialogo. Ma Internet si è dotata anche di questo, basta accedere alle migliaia di commenti nei social forum.
La figura del blogger è estremamente metamorfica: dipende dalla nazionalità e dall’identità del soggetto. In ciò è chiara la differenza, ad esempio, tra blogger europei e cinesi o arabi a confronto. Al cospetto del pasciuto blogger occidentale si parla del blogger rivoluzionario, costui “povero”, carente fra gli altri del diritto alla libertà di espressione, usa il post come mezzo rapido di denuncia. Internet è per lui l’alternativa alla protesta di piazza, perché spesso repressa duramente dai governi.
Per cui parliamo del blogger rivoluzionario, e del micro-blogging di cittadini che concretizzano il dissenso tramite il web. Questi ultimi non sono giornalisti, non gli interesserebbe esserlo, ma di fatto s’improvvisano tali per necessità vitale, per fame. Il volume d’informazioni che riescono a produrre, grazie alla loro presenza sul campo, è tale da intimidire i grandi media: i media osservano, fino al punto di essere obbligati a fare notizia delle loro notizie. Ciò avviene spesso per l’impossibilità di seguire tutto, spesso con stupore di fronte alla mole di materia che donano gli utenti del web. Con quali limiti? L’affidabilità delle fonti è uno di questi. Ma ponendo ad esempio le rivoluzioni africane o “arabe”, i video di Youtube sono difficilmente controvertibili. Le immagini cruente dei videotelefonini parlano chiaro. Ce ne sono a migliaia. Diverso è il caso dei “post”, dei “twits”, degli stati d’animo quelli più propri di Facebook; questi fanno opinione, sono di commento, faziosi e animati da sentimenti di massa, spesso poco ragionevoli e inattendibili, data anche la brevità in termini di caratteri imposta loro dai social network.
E’ vero poi che i blogger hanno però eretto self-made un’etica apprezzabile, e in maniera del tutto spontanea una deontologia che non dista molto da quella giornalistica. Il lettore ha diversi strumenti per stabilire l’attendibilità di un blog, fra questi Global Voices e Agoravox, le cui redazioni aggregano e pubblicano le notizie dei blogger con regole giornalistiche, i redattori sono professionisti di comprovata esperienza. Poi c’ è l’alternativa opinabile, gli “organi garanti” dell’informazione popolare, i più noti “Liquida” e “Wikio“. In realtà questi aggregatori, che decidono il bello e il cattivo tempo per un blogger, usano per lo più complessi algoritmi e traggono delle classifiche. Come di rado accade, la matematica rende onore alle lettere: il numero delle visite, gli aggettivi utilizzati, che disegnano il mood del post, pingback e link al blog ne aumentano la sua autorevolezza.
L’etica del blogger è quella intrinseca di Internet, rispettosa ma anche sprezzante, si nutre di quella lucidità che si pone d’obbligo a chi interagisce nel marasma d’informazioni della Rete. La “gratuità” del prodotto editoriale, il post, è a suo modo pura, ed esclusi i risibili proventi pubblicitari, ciò che è gratuito per antonomasia esulerebbe dall’interesse meschino, nonché dal bisogno d’ingannare. Si lavora per passione, per rivoluzione, o per affermarsi.
E’ un etica condivisa con l’utente medio del web, quello cui interessa informarsi. Abbastanza acculturato, ma anche molto incazzato, privo di peli sulla lingua, l’utente medio può “postare” oltre che in modo costruttivo anche in maniera bestiale. Il cittadino perciò interagisce, da passivo diventa attivo, scrive, si autocensura, e vuole conferme al suo posto conquistato nel mondo dell’informazione. Sta a noi riconoscerglielo.