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A Rosarno ricomincia la stagione delle arance, mentre nulla è cambiato

Sono ormai imminenti (28-29 novembre) le elezioni amministrative a Rosarno, unico comune calabrese e in tutta Italia ad andare al voto per il rinnovo del consiglio comunale, dopo anni di commissariamento per infiltrazione mafiosa. Lo scenario politico locale riflette tuttavia lo stato di crisi economica e degrado sociale in cui continua a versare la città, che fatica a trovare un percorso di rilancio non solo economico ma anche e soprattutto di ordine civile. I cittadini paiono vivere con un evidente torpore l’appuntamento elettorale, anche per le difficoltà che attraversano i partiti sia di centrodestra che di centrosinistra: il Pdl, al governo dal 2003 dopo un decennio dominato dalle giunte del comunista Peppino Lavorato, è lacerato a seguito dello scioglimento del consiglio comunale e non riesce a trovare una voce comune nella direzione del rinnovamento; il centrosinistra, spaccato come altrove tra le sue diverse anime, non è stato in grado di proporre un candidato sindaco; il potente Udc locale, anch’esso diviso in tre tronconi, è tuttora commissariato e non partecipa alle elezioni.
La situazione di stallo non è certo una prerogativa locale: nel corso di quest’anno, citando Susanna Camusso a poche ore dalla sua elezione a leader della Cgil, “non c’è mai stato un dopo-Rosarno”: non è mai stata impostata una nuova legislazione sull’immigrazione, nuove regole che consentano l’emersione dei lavoratori stranieri dall’economia dello sfruttamento e del ricatto imposto dai caporali.

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In questo contesto, locale e nazionale, è intanto ripartita la stagione della raccolta degli agrumi: i braccianti africani dovrebbero tornare nella Piana di Rosarno, ma per loro la situazione non è semplicemente rimasta invariata, è addirittura peggiorata. Lo spiega chiaramente, ad esempio, don Pino De Masi, responsabile regionale di Libera, in un’intervista a Repubblica; ma sono molte le associazioni e le testate indipendenti che indicano la Rosarno di oggi come nuovo caso umanitario. Ai braccianti non è più consentito di vivere nei “ghetti” dove risiedevano illegalmente in passato, come le strutture industriali dismesse (si veda questo lavoro fotografico di Andrea Scarfò’) o i casolari in campagna, ma è stato fatto pochissimo per organizzare strutture atte a ospitare degnamente i braccianti. Riprendendo un articolo di Stranieri in Italia:

Dopo le promesse politiche, avanzate a gran voce nei giorni “caldi” degli scontri, a Rosarno di progetti in vista non vi è traccia. Il più interessante era stato il progetto inaugurato nel 2007 che prevedeva di trasformare la “Cartiera”, ormai in disuso e utilizzata come rifugio dagli stagionali, in un grande centro di accoglienza e aggregazione sociale.
Il progetto naufragò pochi mesi dopo per un ricorso esposto da una delle ditte che partecipò alla gara di appalto e così gli africani rimasero a dormire nei cartoni nell’ex cartiera per tutta la stagione. Poi ci fu il progetto del Ministro Maroni che stanziò 200mila euro per fornire l’Opera Sila (un altro accampamento di fortuna a Rosarno) di box doccia. Le associazioni di volontariato che si occuparono del progetto parlarono “di fondi irrisori” per completare l’opera e tutt’ora non si sa nulla sullo stato dei lavori.

Al momento l’unico progetto ufficiale riconosciuto dal governo è “Obiettivo 2.5”, per la trasformazione del cementificio della Beton Medma, confiscato alla mafia, in un edificio da 60 posti letto e spazi dedicati alla socialità degli immigrati; pur essendo un progetto ambizioso, è in forte ritardo e pare che non potrà essere completato prima del prossimo anno.
Dove staranno dunque i braccianti? I primi arrivati dormono anche per strada o nelle auto, aiutati solo da associazioni quali Africalabria, mentre pare che in città si stia allestendo una tendopoli attrezzata per 100 persone e altre potranno forse sorgerne nella Piana: al momento, però, nulla di pronto.

D’altronde il flusso stesso di braccianti africani quest’anno si è ridotto di molto: fino ad alcuni giorni fa erano stimati in 500, contro i 2.500 della stagione scorsa. Non che questo riveli solo la loro intenzione di stare alla larga da Rosarno: gli stessi produttori di agrumi preferiscono chiamare braccianti di altre nazionalità, in particolare questo sembra l’anno dei bulgari. Come riportato da Clandestino (Carta.org):

In questo momento, i produttori di agrumi preferiscono far lavorare i bulgari che sono comunitari e non necessitano del permesso di soggiorno. Con gli africani temono di incorrere nel reato penale di sfruttamento o favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Da anni i bulgari lavorano nella raccolta delle arance a Rosarno, ma sono stati sempre in numero inferiore rispetto agli africani.

Data la situazione, l’Associazione Voci Globali ritiene fondamentale la diffusione più ampia possibile di informazioni su Rosarno, organizzando in collaborazione con l’Associazione Nessuno la proiezione a Torino (CineTeatro Baretti, 29 novembre, ore 21) de “Il sangue verde“, film-documentario curato da Andrea Segre e prodotto da ZaLab. Vengono ricostruiti gli eventi e le violenze del gennaio 2010 attraverso il racconto di sette migranti africani. Il documentario sta girando in altre località italiane, dopo la presentazione alla Mostra del Cinema di Venezia di quest’anno e dopo essersi aggiudicato il premio “Selezione Cinema Doc Autori” nell’ambito delle Giornate degli autori.

Sul suo blog, recentemente lo stesso Segre ha pubblicato un’importante lettera aperta ai rosarnesi, tornando proprio da una presentazione del film a Rosarno insieme a John Kofi, uno dei protagonisti della vicenda e della pellicola. Spiegando fra l’altro: “A John nessuno traduceva in inglese e nessuno faceva domande. John era il contenuto di cui occuparsi, l’oggetto e il soggetto della conoscenza; invece è stato dimenticato. Peccato.”

La lettera va letta integralmente per la ricchezza delle analisi e le qualità delle proposte avanzate per cercare di ristabilire una convivenza costruttiva tra i rosarnesi e i braccianti africani, nonché per promuovere la possibilità di un “confronto pragmatico” sulla questione del bracciantato straniero nella Piana di Gioia Tauro.
Rinviando al blog di Segre per la lettura integrale,riportiamo però l’ultima delle sue proposte, forse la più coraggiosa:

Ed infine, ma è forse la proposta più forte, conferire il Premio Valarioti ai lavoratori stranieri che si sono ribellati alle violenze della ‘ndrangheta e alle condizioni di sfruttamento lavorativo. Farlo con una cerimonia pubblica nel gennaio 2011, come primo atto della nuova giunta comunale dopo anni di commissariamento per mafia.

Novecento a Rosarno. Affresco sul muro della posta centrale in piazza Valarioti a Rosarno.

Peppino Valarioti fu un dirigente del PCI, amico dell’ex-sindaco Lavorato, ucciso a colpi di lupara dalla ‘ndrangheta a Rosarno nel 1980; il Premio Valarioti è stato conferito a Rosarno nel corso degli anni ’90 a persone distintesi per l’impegno sociale e contro la ‘ndrangheta. Sarebbe oltremodo significativo vedere i braccianti africani raccogliere il testimone di quei dimenticati braccianti calabresi che nel corso del novecento riuscirono ad opporsi alle ‘ndrine, occupare le terre e rendere Rosarno per qualche anno una città più felice. Ancora una volta ci chiediamo: saranno gli africani a salvare l’Italia?

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