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Migrazioni, film e documentari africani che cambiano la narrazione

Se molti viaggi migratori hanno i Paesi africani come punto di partenza, è purtroppo vero che nella narrazione globale sulle migrazioni manca proprio il punto di vista di chi questi viaggi li affronta. Questo è invece l’obiettivo della Ong STEPS che si occupa di portare la prospettiva degli africani sulla scena internazionale, producendo film e documentari su temi d’attualità che siano strumenti di cambiamento sociale e sensibilizzazione. Tramite l’impact producing, è infatti possibile agire concretamente per migliorare la vita degli individui, delle comunità e delle politiche documentate nelle pellicole.

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Sud Sudan, laddove i crimini internazionali rimangono impuniti

A gennaio scorso, il Governo del Paese africano ha approvato l’istituzione di una Corte ibrida competente a giudicare i crimini commessi dalle parti in conflitto a partire da dicembre 2013. L’annuncio – accolto con cauto ottimismo dalla comunità internazionale visti i precedenti – non è stato però seguito dai fatti. Ad oggi, della Hybrid Court for South Sudan (HCSS) non vi è ancora la benché minima traccia. E le conseguenze della sua mancata creazione risultano assai rilevanti sia sotto il profilo nazionale che regionale. E le atrocità commesse in Sud Sudan rischiano di non avere colpevoli.

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Uganda, le periferie del mondo che non interessano a nessuno

Inoltrarsi nelle periferie dei Paesi africani (come in tante altre periferie del mondo) vuol dire lasciare la sfavillante realtà di città in crescita, di sviluppo rapido, di proiezione verso il futuro. Vuol dire rendersi conto che questa crescita, questo sviluppo non toccano (o alcune volte peggiorano) la vita di migliaia, milioni di persone che ancora combattono contro fame, povertà, esclusione. Un viaggio dal Nord all’Est dell’Uganda in campi rifugiati, ghetti e popolazioni che non sono più padrone delle loro scelte e stanno perdendo il contatto con la loro storia, le loro vite, le loro tradizioni.

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Africa, le aree di crisi che segneranno la stabilità del continente

Se lo Yemen, la Siria, l’Afghanistan sono i Paesi i cui ormai lunghi anni di guerra stanno contribuendo a devastare il sempre precario equilibrio geopolitico in Medio Oriente, è l’Africa che continua ad alimentare il numero di conflitti nel mondo. E il 2019 si annuncia come un periodo alquanto complesso. Sul fronte della sicurezza molti i Paesi in aperto conflitto o che manifestano forte tensioni. Riuscire a ristabilire la pace, che parte soprattutto dallo stato di diritto e dalla giustizia sociale, è la sfida del continente per questo nuovo anno. In questo articolo i Paesi e le situazioni da tenere sotto osservazione.

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Sud Sudan, scaduti termini accordo di pace. Speranza in bilico

Costruire la strada verso la stabilità non è affatto semplice per il più giovane Stato africano, un territorio distrutto da una guerra etnica violenta e lunga. L’intesa raggiunta con l’ultimo accordo tra le parti prevede il ripristino di un equilibrio istituzionale, territoriale ed economico su base etnica e la fine di ogni violenza. Scontri e aggressioni, però, non si placano e il Paese resta impantanato in una grave emergenza umanitaria. Circa 400.000 sono le persone rimaste uccise l 2013, anno di inizio del conflitto. Più di 4 milioni gli sfollati. Sette milioni di persone necessitano di aiuti umanitari urgenti e l’80% vive al di sotto della soglia di povertà assoluta.

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Sud Sudan, è tragedia umanitaria. Si spera nel tavolo di pace

Nel Paese si sta consumando la peggiore crisi umanitaria della storia africana dopo il genocidio del Ruanda. L’Autorità intergovernativa per lo sviluppo del Corno d’Africa sta tentando di riaprire il dialogo, chiamando tutte le forze politiche, militari e sociali a collaborare. Cessate il fuoco, accordo per nuove elezioni, rilancio dell’economia, ripristino della giustizia, demilitarizzazione: questi sono gli obiettivi del processo di pace. Intanto il più giovane Stato africano è in preda a violenza, scarsità di cibo, malnutrizione.

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Sud Sudan, Ana Taban: arte e musica per dire ‘basta guerra’

Per dire basta alla guerra civile e alle violenze etniche che continuano a dividere il giovane Stato africano, c’è chi ha scelto il linguaggio dell’arte. “Ana Taban”, ovvero “sono stanco”, è il movimento civile nato e diffuso da mesi nella capitale Juba con lo scopo di educare le nuove generazioni alla riconciliazione attraverso eventi artistici. Dai murales agli spettacoli teatrali fino alle canzoni con video diffusi sui social, Ana Taban parla alla gente di perdono, responsablità, impegno attivo, lotta al cieco tribalismo.

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Sud Sudan, non una crisi etnica ma costituzionale

Quello che sta accadendo nel Paese è il frutto di una centralizzazione del potere dovuta alla Costituzione di transizione del Paese redatta nel 2011. Modifiche che hanno ridotto il federalismo e che hanno conferito al presidente una serie di poteri economici, politici, sociali. Non si tratta, dunque, di lotte intestine, come conviene far credere, ma di lotte che mirano a gestire privilegi al di sopra della gestione democratica degli affari del giovane Stato africano. Una breve lettura che aiuta a far luce sui fatti interni del Paese.

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La forza dei giovani attivisti sudanesi

Le proteste in Sudan confermano la nascita di una nuova generazione di militanti che usa la Rete per diffondere le notizie e sta rapidamente emergendo tra le principali forze politiche del Paese. Al centro di questa lotta vi è il Girifna, movimento non violento che ha coordinato le recenti proteste, marce e la diffusione di notizie sulle violazioni dei diritti umani contro manifestanti e attivisti.

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Sud Sudan, muore una donna incinta su sette

In Sud Sudan il parto e la gravidanza provocano più morti del recente conflitto. Lo rileva il rapporto del 2012 di un gruppo di esperti di Ginevra, Small Arm Survey (Sas), “La sicurezza delle donne in Sud Sudan: minacce in casa”. In questo post raccontiamo un’esperienza dall’ospedale di Mapuordit.

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